La Corte d’Appello di Torino ha ribaltato la sentenza di primo grado riguardante le morti e le malattie provocate fra il 2008 e il 2013 dalla precedente esposizione all’amianto negli stabilimenti Olivetti d’Ivrea. Al processo di primo grado c’erano diciassette imputati, accusati d’omicidio colposo e di lesioni plurime, e vi furono tredici condanne e quattro assoluzioni. Carlo De Benedetti, all’epoca alla guida del colosso d’Ivrea, proprietario del Gruppo L’Espresso, era stato condannato a cinque anni e due mesi di prigione, e la stessa sorte era toccata anche a suo fratello Franco, allora suo vice in Olivetti. Con la sentenza della Corte d’Appello di Torino, tutti e tredici gli imputati sono stati quindi assolti.

L’indagine era stata avviata nel 2013 dalla Procura d’Ivrea, a causa della morte avvenuta a partire dal 2008 d’alcuni ex operai Olivetti per mesotelioma, un tumore provocato dall’esposizione all’amianto e che colpisce la membrana che riveste i polmoni. In base all’accusa i dirigenti dell’azienda non potevano non sapere che l’amianto avrebbe comportato tali rischi alle proprie maestranze. In particolare fu il silicato, talco a base d’amianto usato per la produzione di macchine da scrivere e stampanti, a causare il tumore in quattordici dipendenti, dei quali due soltanto sono poi sopravvissuti.

Non si conoscono ancora le motivazioni vere e proprie dell’assoluzione, che pare essersi “aggrappata” alla controversa ricerca scientifica in merito al cosiddetto “effetto acceleratore” nelle malattie provocate dall’amianto. A “Repubblica”, quotidiano non a caso di De Benedetti, un avvocato ha dichiarato: “In pratica un dirigente è considerato responsabile solo per i primi due anni d’esposizione del lavoratore all’amianto. In questo caso De Benedetti è stato in carica a partire dal 1978 e i dipendenti erano stati colpiti dalla patologia in un periodo precedente. Se fosse accertata l’esistenza di un ‘effetto acceleratore’ sarebbe diverso. Ma nella comunità scientifica non c’è un consenso unanime. E quindi la giurisprudenza non può tenerne conto”.

E pensare che ai tempi di Adriano Olivetti, la Olivetti d’Ivrea era un esempio non soltanto in termini d’innovazione e di “potenza industriale”, ma anche di democrazia e d’illuminismo dentro la fabbrica e nei rapporti lavorativi. Ai tempi di Carlo De Benedetti, invece, è stato l’esatto contrario. Curiosamente la magistratura italiana ha assolto De Benedetti, mentre le sue indagini sulla morte alquanto misteriosa di Adriano Olivetti e del suo braccio destro Mario Tchou non sono mai approdate ad alcunché. Anche in questo caso, si potrebbe sempre dire con ironia “curiosamente”.