Se n’è andato a ottantatré anni, in silenzio e in punta di piedi, Gigi Radice. Da anni sofferente di quel brutto male che risponde al nome di Alzheimer, Radice negli ultimi anni è stato ingiustamente dimenticato da quasi tutti gli addetti ai lavori nonostante sia stato uno dei migliori tecnici italiani negli Anni Settanta e Ottanta. Ripercorriamo brevemente in questo articolo al sua storia di calciatore e (soprattutto) di allenatore.
Un terzino/mediano tignoso (Milan, Padova, Triestina)
Brianzolo purosangue, classe 1935, Luigi Radice detto Gigi non è stato un fuoriclasse della pedata bensì un ottimo calciatore: mediano sinistro dalla proverbiale tigna, militò in un Milan di fuoriclasse (Nordahl, Schiaffino, Liedholm, Altafini per fare alcuni nomi) dando il classico apporto del gregario (in mezzo alla sua avventura rossonera ricordiamo anche una parentesi con Padova e Triestina). La svolta della sua carriera avviene nel 1961 quando Nereo Rocco lo sposta da mediano a terzino (è stato uno dei primi a fluidificare). Gigi raggiunge così la maglia azzurra disputando gli infausti mondiali del 1962 in Cile vincendo l’accoppiata scudetto nel 1961/62 e Coppa Campioni nella stagione successiva (anche se nella finale di Wembley non scende in campo). Nel 1964/65 però un brutto infortunio al ginocchio costringe Radice ad appendere gli scarpini al chiodo a soli trent’anni.
Gli esordi in panchina (Monza, Treviso, Cesena, Fiorentina, Cagliari)
Gigi però è un tipo tosto e tenace e non riesce proprio a vedersi lontano da un campo da calcio, nel 1966 inizia così la sua seconda fase nel mondo del calcio nelle vesti di allenatore del suo Monza. Che Radice sia un predestinato nel ruolo di tecnico lo si vede dai risultati che ottiene nella sua prima stagione da tecnico: promozione in B per i brianzoli che l’anno dopo riescono pure a mantenere la categoria. Dopo una parentesi al Treviso (quarto posto in C) ed altri due anni sulla panchina del Monza (con tanto di quinto posto nel 1969/70) Radice inizia la scalata nei piani del calcio che conta portando in Serie A il Cesena nella stagione 1972/73, risultato storico perché mai nella loro storia i romagnoli erano stati in A. Le idee e lo stile del Radice tecnico rispecchiano quelle di quando giocava: ha modi duri, spicci, tratta i suoi calciatori come figli come il suo grande maestro Rocco e inoltre ha la classica “fame di calcio” tipico di chi in campo faceva il gregario. Inoltre Gigi è un innovatore avendo come modello di riferimento, oltre a quello pragmatico e verticale tipico del calcio italiano, il gioco “totale” dell’Ajax e dell’Olanda. Radice prova a portare un po’ di Arancia meccanica già nel 1973/74 a Firenze dove fa giocare un calcio spumeggiante ai suoi ragazzi lanciando pure un certo Giancarlo Antognoni, in estate però litiga con la dirigenza e viene sostituito sulla panchina gigliata dal suo vecchio maestro Rocco. Nel 1974/75 Radice centra una soffertissima salvezza con il Cagliari (non più lo squadrone dei tempi di Scopigno) dopo essere subentrato a Chiappella.
Torino: Zona Mista + pressing = scudetto
Nell’estate 1975 il Torino, fino ad allora eterna incompiuta del calcio italiano, decide di servirsi delle prestazioni del quarantenne di Cesano Maderno che riesce ad entrare nei cuori granata al primo colpo vincendo il settimo ed ultimo scudetto dei granata con questa formazione: Castellini in porta, in difesa Santin e Mozzini marcatori sulle punte avversarie, Caporale libero, Salvadore fluidificante a sinistra. A centrocampo un’inedito trio formato da Pecci vertice basso “alla Pirlo” protetto dai cursori Patrizio Sala e Zaccarelli, in attacco il tornante Claudio Sala giostra attorno al duo Graziani-Pulici. Il gioco di quel Torino è semplice ma allo stesso tempo molto sofisticato: una volta persa palla l’intera squadra parte in pressing per recuperare palla e verticalizzare il più velocemente possibile verso le due punte che segnano grappoli di gol. Tra innovazione e tradizione Gigi Radice diventa così uno dei primi allenatori a brevettare la cosiddetta Zona Mista cioè marcamento ad uomo con libero staccato in difesa e copertura/aggressione degli spazi a centrocampo con gli elementi disposti a zona secondo il modello olandese. Non siamo ancora alla rivoluzione copernicana di Sacchi ma a qualcosa che ci va molto vicino. Dopo l’impresa del 1976 Gigi avrebbe l’opportunità di bissare l’impresa l’anno successivo ma la Juve dell’amico Trapattoni (che accompagnava spesso ad allenamento ai tempi del Milan) riesce a fare 51 punti sui 60 disponibili superando di una sola lunghezza i cugini granata! Il Toro negli anni successivi ha una flessione di rendimento e non riesce ad imporsi in Europa (eliminato nel 1976/77 dal Borussia Mönchengladbach in Coppa Campioni e l’anno successivo dal sorprendente Bastia in Coppa Uefa). Il 17 aprile 1979 la vita di Radice cambia la seconda volta quando sull’Autostrada dei Fiori la sua Fiat 130 si schianta contro un autoarticolato: Gigi riporta gravi ferite ma il suo grande amico Paolone Barison, suo ex compagno al Milan che al Toro lo aveva seguito nelle vesti di osservatore, muore sul colpo. Per il “tedesco” lo shock è enorme e l’anno successivo termina il suo quinquennio granata con un esonero.
Sull’altalena (Bologna, Milan, Bari, Inter)
Nel 1980/81 Radice riparte da una nobile decaduta come il Bologna e qui compie la sua seconda grande impresa portando al settimo posto una squadra partita con un poco invidiabile -5 in classifica. Nel 1981/82 Radice corona il suo sogno andando a sedersi sulla panchina del Milan, la squadra rossonera però è lontana anni luce dai fasti dei suoi tempi da calciatore e, anche a causa di alcuni episodi sfortunati, ottiene una clamorosa retrocessione in Serie B. Gigi Radice diventa così il primo tecnico a portare in cadetteria il diavolo. E’ un colpo temendo per il brianzolo cui tocca ripartire da Bari (Serie B) per tornare su una panchina prestigiosa come quella dei cugini nerazzurri. Gigi capita in un periodo particolare della storia interista e cioè nell’anno del passaggio tra il vecchio Ivanhoe Fraizzoli e l’ambizioso Ernesto Pellegrini. La squadra parte male ma poi (marchio di fabbrica di Radice) cresce cammin facendo centrando un ottimo quarto posto.
Torino: seconda avventura… secondo posto!
Pellegrini però ha altre idee e Radice ritorna così nel posto in cui è stato più felice e cioè Torino: in riva al Po però Gigi non si dimostra una semplice minestra riscaldata portando i granata ad un grande secondo posto alle spalle del straordinario Verona di Osvaldo Bagnoli, altro grande amico di Gigi nonché ex compagno al Milan. E’ il Toro dei cervelli Leo Junior e Dossena e del panzer austriaco Schachner che gli anni successivi non riesce a spiccare il volo definitivo anche a causa di una proprietà, quella di Sergio Rossi, che in estate pensa più a monetizzare che a rinforzare la squadra. Dopo un quinto, un settimo ed un undicesimo posto nel 1988/89 l’artefice dell’ultimo scudetto granata viene esonerato e a fine anno il Toro consoceranno la seconda retrocessione della loro storia.
Roma poi ancora Bologna e Firenze (con esonero a sorpresa!)
Radice però non resta a lungo a spasso: la Roma nell’estate del 1989 ha già prenotato Ottavio Bianchi che però non vuole ancora risolvere il suo accordo con il Napoli. Gigi così giunge a Roma con l’etichetta di semplice traghettatore ma ben presto entra nei cuori dei tifosi giallorossi che vivono una stagione memorabile coronata da un ottimo quinto posto finale. E’ l’anno delle partite al Flaminio (l’Olimpico era chiuso per restauri in vista degli imminenti mondiali) e delle prodezze del tedesco (questo sì vero!) Rudi Völler, idolo indiscutibile dei tifosi romanisti. Nonostante gli ottimi risultati Radice non prosegue la sua avventura sulla panchina giallorossa (con grande rammarico perché il successore Ottavio Bianchi non entrerà in sintonia con la piazza) lasciando la Capitale senza fare polemiche. Nel 1990/91 ritorna a Bologna, prova a salvare i rossoblù, ma non ci riesce. Nel 1991/92 altro ritorno, questa volta a Firenze, dove giunge una comoda salvezza da subentrato. Negli anni Novanta il calcio sta cambiando grazie alla “Sacchi mania” e così anche Gigi Radice, che fino ad allora non si era mai distaccato dalle classiche marcature a uomo in difesa, decide di sperimentare la zona integrale nel suo secondo anno fiorentino. I risultati sono altalenanti tra, goleade fatte ed imbarcate subite, ma alla tredicesima giornata i gigliati sono secondi in classifica dietro al lanciatissimo Milan. I viola però perdono un’inopinata partita contro l’Atalanta e Cecchi Gori, inspiegabilmente, decide di esonerare il tecnico brianzolo dopo averlo riempito di insulti nello spogliatoio. La decisione lascia tutti a bocca aperta, qualche malalingua tirerà fuori la storia di una tresca tra Radice (o suo figlio, anch’esso calciatore, Ruggero) e la moglie di Cecchi Gori, Rita Rusić, verità o semplici dicerie? Sta di fatto che i viola senza il “sergente di ferro” Radice, con l’opinionista Aldo Agroppi in panca, retrocederanno in Serie B!
Il crepuscolo (Cagliari, Genoa) e l’ultimo colpo di coda (Monza)
Arriva così la parabola discendente di Radice che a Cagliari tenta nuovamente di imporre la zona, durando però una sola partita. Nel 1995/96 Radix allena in B il Genoa ma ancora una volta non termina l’anno. Ci vuole l’aria di casa per rivitalizzare il tedesco dagli occhi di ghiaccio che nelle ultime battute del campionato 1996/97 ritorna da dove aveva incominciato, a Monza, per cercare di compiere l’impresa: riportare il Monza in Serie B. Missione compiuta al termine di una finale di play-off al cardiopalma (3-2) contro il Carpi di De Canio con gol decisivo di Tonino Asta, futura bandiera del Toro, non a caso. Il calcio però non è più il mondo di Gigi Radice, uomo duro ma sincero, leale ed integerrimo sempre pronto a difendere il suo gruppo dalle grinfie di dirigenti e procuratori. E’ forse per questo motivo che dopo cinque partite di campionato cadetto nel 1997/98 Gigi Radice viene e cacciato dal suo Monza e, di fatto, estromesso dal mondo del calcio. Senza la fragranza dell’erba appena tagliata e le scarpe bullonate addosso la vita di Gigi va avanti con un pizzico di tristezza: taglia di fatto tutti i contatti con un mondo che gli ha dato tanto ma che allo stesso tempo è stato ingrato nei suoi confronti e si isola sempre di più con la sua famiglia e gli amici più intimi. Poi un silenzio che dura almeno un lustro, interrotto qualche anno fa dalle parole della moglie Nerina e del figlio Ruggero “Gigi ha l’Alzhaimer, non ci riconosce più!”. Nonostante questi proclami quasi tutti si diemnticano dell’ex allenatore del Toro che spira il 7 dicembre 2018: fai buon viaggio Gigi!