Hendrik Johannes Cruijff si è spento improvvisamente a sessantotto anni e se n’è andato in punta di piedi con lo stesso stile inconfondibile che lo contraddistingueva quando in campo furoreggiava con il ciuffo al vento e il quattordici dietro la schiena. La notizia rivelata nell’ottobre scorso di un tumore ai polmoni non lasciava presagire molto all’ottimismo sulle sue condizioni  di salute, anche se la notizia del decesso del Pelé bianco ha veramente colto tutti di sorpresa.

Non è ipocrisia o pura banalità post-mortem sostenere che Cruijff sia stata la personalità più grande e geniale mai apparse su un terreno di calcio perché ha saputo imporre la sua filosofia di gioco e di vita sia da calciatore che poi da allenatore e dirigente. Maradona, Pelé e Di Stefano, gli unici calciatori che in un’ipotetica classifica all-time possono stare un gradino sopra a JC, sono stati leggendari solo in maglietta e calzoncini e con un pallone tra i piedi, Cruijff invece è stato un personaggio influente e dominante in tutte le sfaccettature possibili del Pianeta Calcio, del resto un calciatore “totale” lo si intuisce anche da questi particolari! A mio avviso la grandezza di Johann Cruijff (o Cruyff secondo la traslitterazione catalana) non è stata tanto quella di aver rivoluzionato il calcio: giocatori “totali”, poliedrici e carismatici, capaci di difendere, impostare, segnare, aiutare i compagni di squadra c’erano già stati nella storia del calcio basti a pensare allo scozzese Alex James (Arsenal anni Trenta), al nostro Valentino Mazzola o a Bobby Charlton ed Alfredo Di Stefano. Proprio quest’ultimo è stato il vero idolo d’infanzia e prima fonte d’ispirazione calcistica dell’olandese assieme a un certo Faas Wilkes, attaccante dribblomane dell’Inter dei primi anni Cinquanta, uno dei primi campioni prodotti dal paese dei tulipani. La grandezza di Cruijff e del suo Ajax “totale” fu soprattutto quella di fare del calcio una moda, un marchio di fabbrica con risvolti e implicazioni anche politici e sociali. Infatti, se in campo calcistico gli uomini di Michels ebbero il merito di aver modernizzato l’antica lezione dei danubiani, inventori indiscussi del calcio totale, riverniciandola con concetti tipicamente olandesi e nordici (gli alti ritmi di gioco, l’ossessione di attaccare gli spazi di prepotenza e di fisico), fuori dal campo quello di aver saputo interpretare al meglio un’epoca di grandi cambiamenti sociali e di costume, ma anche in questo caso Cruijff non fu il capopopolo di una rivoluzione bensì il primo interprete di un’epoca di cesura e transizione.

Nato da una famiglia umile, orfano a soli dodici anni di padre, Johann è stato erroneamente dipinto come un ribelle quando in realtà non lo è mai stato. Il perché del suo tipico cipiglio altero e all’apparenza scostante non va ricercato in un’indole sovversiva ma piuttosto nella casistica del classico poveraccio luterano, uno spilungone sgraziato e dai piedi piatti che con il pallone sapeva fare qualsiasi cosa, toccato dalla mano invisibile della predestinazione divina. Conservatore per indole ed educazione, Cruijff però era anche allo stesso tempo una persona creativa, che non si rassegnava allo status quo e alla scialba banalità della routine e che ha sempre sostenuto che è sempre possibile proporre qualcosa di particolare e allo stesso tempo radicale, e in questo JC è stato un po’ figlio del Sessantotto e del “potere alla fantasia” trasmesso da quel particolare periodo storico. E’ stato proprio questo speciale connubio fra salda tradizione ed ardita innovazione il cocktail micidiale proposto dal filosofo Cruijff una volta divenuto tecnico e dirigente, già, è davvero singolare che uno delle più grandi teste pensanti mai apparse su un campo di calcio non abbia conseguito nemmeno la licenza media (Johann infatti abbandonò la scuola a dodici anni dopo la morte del padre per aiutare la madre)! Alla base del credo calcistico del Profeta c’erano due oggetti elementari e allo stesso tempo democratici ed accessibili a tutti: la strada e il pallone. Sulla prima impari a essere più scaltro e allo stesso tempo più geniale perché la strada, con le sue nude asperità, è sempre maestra di vita, specialmente per chi come il Papero d’oro (un altro dei suoi numerosi soprannomi)non è nato con la camicia. Con il secondo, oltre che affinare la tecnica individuale, ti impari anche a muoverla più velocemente possibile negli spazi idonei, già “attaccare gli spazi” è stata sempre una sorta di ossessione per un olandese nato sotto il livello del mare e desideroso di conquistarsi uno spazio vitale sottraendo terra al mare! Se Garibaldi è stato “l’eroe dei due mondi”, Pelé e Maradona gli eroi di un intero popolo, Cruijff un po’ come Puskas, l’altro giocatore che potrebbe insidiargli lo scettro di migliore europeo di sempre, è stato semplicemente “l’eroe di due Nazioni”: Paesi Bassi e Spagna, o meglio Catalogna. Già, se è pur vero che Olanda e Catalogna sono terre simili, borghesi, mercantili, facoltose e un po’ con la puzza sotto il naso, Cruijff ci ha messo del suo per portare avanti le sue idee, nel suo doppio viaggio da Amsterdam a Barcellona. Forse lo spirito pratico olandese, popolo legato alla zolla e alla navigazione, lo ha facilitato in questo campito di ambasciatore calcistico, però è indubbio che ci vuole del genio non comune nell’adattare il gioco fisico e muscolare dell’Ajax e dell’Arancia Meccanica al proto tiki-taka del suo Dream Team che nel 1992 conquistò la prima Coppa Campioni nella storia del club blaugrana! La costante di questo progetto però è sempre stata la ricerca ossessiva del bel gioco e dello spettacolo, con un pizzico di spocchia e arroganza (Capello e il suo Milan ancora ringraziano!) tipico di un calvinista convinto nell’esistenza di mondo bipartito: in alto nei cieli la Civitas Dei del calcio totale, in basso sulla terra la Civica Mundi, riservata a plebei mediterranei rozzi e catenacciari. Ora che Johann ha finalmente raggiunto lassù sulle nuvole quel senso sublime e celestiale che in vita ha sempre cercato di raggiungere, tanti amici e avversari storici lo stanno aspettando: George Best, Bobby Moore, Eusebio, Giacinto Facchetti, chissà che spettacolo ci stiamo perdendo!