Il seguente articolo vuole ripercorrere in breve la carriera di colui che negli ultimi ha occupato più di chiunque altro i vari tabloid europei, cercando sempre e comunque di scavalcare i propri avversari in panchina con la sua nota verbosità. Stiamo parlando di Josè Mourinho, soprannominatosi “The Special One”.

I primi anni

José Mário dos Santos Mourinho Félix nasce a Setúbal il 26 Gennaio del 1963, figlio dell’ex portiere di Vitória Setúbal e Belenenses, Felix Mourinho, segue il padre allenatore durante gli incontri, redigendo già all’età di 15 anni dei rapporti agonistici e tecnici sui vari giocatori. Il giovane Mou respira fin da subito il calcio, si muove con disinvoltura negli spogliatoi, non solo come collaboratore del padre, ma anche come calciatore. La sua carriera in campo (militerà all’União Leiria e nella rosa del Belenenses) non sarà esaltante quanto quella a bordocampo, e dopo pochi anni abbandonerà l’idea per dedicarsi totalmente al lavoro della vita, quello di guida tecnica.

Laureatosi all’Instituto Superior de Educação Física, comincia così la sua professione come docente di educazione fisica, seguendo alcune squadre locali di licei o istituti professionali e cooperando talvolta con ragazzi disabili, esperienza che lo segnerà positivamente.

La gavetta da collaboratore

È il 1987 quando viene chiamato ad allenare gli allievi del Setúbal, sua città natia. L’anno successivo invece è chiamato come assistente dall’Estrela Amadora, con la quale vince il suo primo trofeo, la Coppa di Portogallo. Negli anni seguenti affianca prima Jesualdo Ferreira e poi Bobby Robson allo Sporting Lisbona. Questi poi lo chiama al Porto come suo vice, e qui Mourihno vince un’altra coppa di Portogallo e due campionati.

Robson nella stagione seguente guida il Barcellona alla vittoria trionfando in Coppa di Spagna, Coppa delle Coppe, e Supercoppa di Spagna. Mourinho è lì con lui a festeggiare questi successi in veste di assistente e giurerà eterna fedeltà alla maglia blaugrana. Nel campionato successivo rimane infatti come secondo al sopraggiunto Louis Van Gaal, con lui vince ancora altre tre coppe, ovvero la Liga, la Coppa di Spagna e la Supercoppa europea; nel 1999 la squadra si ri-confermerà campione di Spagna.

Il 16 Maggio 2000 è una data importante per Mourinho, vince infatti il suo primo trofeo guidando il Barcellona nella finale di Copa Catalunya contro il Mataro, sfida vinta per 3-0.

La carriera come tecnico

Dopo la chiamata a settembre del Benfica, Mourinho può dirsi un allenatore di primo livello. Inizia infatti sulla panchina delle “aquile” la sua carriera da tecnico. Dopo nove partite lascia la conduzione della squadra e si unisce all’União Leiria, rimanendo lì per quasi due stagioni conquistando una quinta posizione e una terzo posto l’anno successivo.

È nel 2001 che raggiunge la panchina che lo consacrerà, quella del Porto. Dopo aver concluso la restante stagione 2001-2002 iniziata dall’esonerato Octávio Machado con la qualificazione alla Coppa UEFA 2002-2003, fa il suo amaro esordio in Champions League, finendo ultimo nel proprio girone.

La vera rivoluzione mourihnana partirà solo nel campionato seguente. Lo Special One infatti punterà su giovani talenti, come Ricardo Carvalho, Costinha, Deco e Hélder Postiga. Le nuove leve si dimostrano subito incisive e a fine stagione il Porto trionfa nettamente su tutti e tre i fronti: campionato, coppa di Portogallo e Coppa UEFA. Mourinho conquista così il suo Treble piccolo. Qualche mese dopo si riconferma con la vittoria nella Supercoppa nazionale ma perdendo quella UEFA contro il Milan. L’annata 2003/2004 lo vede comunque protagonista, il Porto infatti vince la sua seconda Champions League 17 anni dopo la prima, i Dragoni si impongono 3-0 sul Monaco nella finalissima del Veltins Arena.

Mou vince e convince in patria e decide quindi di abbandonare il club vincitore per spostarsi in Inghilterra, in veste Blues. Alla corte di Abrahmovic si presenta al meglio, durante la sua prima conferenza si dà il soprannome di “Special One”, e dimostra fin dal principio molta sicurezza e fiducia nei propri mezzi. La cavalcata in Premier League viene senz’altro ricordata ancora oggi dai tifosi della squadra e soprattutto dagli avversari. Il trionfo infatti viene caratterizzato dalla strepitosa quota punti, ben 95, un record per la massima serie inglese.

Il Chelsea quindi è campione d’Inghilterra dopo mezzo secolo, la squadra di Londra si aggiudica anche la Curling Cup. Mourinho ha meno fortuna in Champions League, dove viene sconfitto in semifinale dal Liverpool di Benitez e in FA Cup dove si arrende al Newcastle. Nel campionato successivo agguanta la Community Shield battendo l’Arsenal e la sua seconda Premier con un bottino impressionante di 91 punti totali.

Nonostante le sconfitte nelle restanti competizioni, Mourinho rimane anche per il terzo anno. Nell’ultima stagione rimane in lizza per ogni manifestazione fin quasi alla conclusione perdendo ai calci di rigore la semifinale di Champions, ancora una volta contro il Liverpool, il Chelsea perderà successivamente anche la Premier a scapito dei Red Devils di Ferguson. In compenso vincerà FA Cup e Coppa di Lega.

La quarta (breve) stagione di Mou, la 2007-2008 si conclude dopo soli due mesi, poco dopo il pareggio con il modesto Rosenborg in Champions League, con la concordanza delle due parti viene rescisso il contratto. Lo Special One chiude la sua esperienza inglese con sei trofei in bacheca.

La parentesi italiana alla guida dell’Inter

A giugno del 2008 Mou vola in Italia, Moratti lo vuole fortemente per proseguire il dominio in Serie A e affermarsi finalmente anche a livello europeo. Al suo fianco in questa esperienza gli stessi collaboratori di sempre, Rui Faria e André Villas Boas. Il 24 agosto apre subito il suo percorso interista con un trofeo, vince la Supercoppa Italia ai rigori contro la Roma. Trofeo conquistato in ben tre paesi diversi (Portogallo, Inghilterra e Italia).

Stabilisce un record di 41 punti al termine del girone d’andata di Seria A, nessun allenatore straniero aveva saputo raggiungere un simile traguardo. In Champions League viene sconfitto da un ottimo Manchester United agli ottavi di finale, ma in finale di stagione arriva la seconda coppa, ovvero lo scudetto.

La stagione successiva, quella del trionfo, è caratterizzata da molti successi oramai impressi nella mente dei tifosi nerazzurri. Nell’annata 2009-2010 Mourinho vincerà campionato, Coppa Italia e Champions League, agguantando un Triplete storico, in quanto mai nessuna squadra italiana era riuscita nell’impresa prima di quel momento. Decisivo a più riprese il numero ventidue della squadra, El Principe Milito, autore di tutte le reti nelle partite fondamentali (unica rete contro la Roma in coppa italia, gol decisivo nell’ultima di campionato e infine doppietta al Bernabeu in Champions League). La Coppa Campioni mancava in casa nerazzurra da 45 anni, e Mourinho ne diventa l’assoluto emblema. Da lì in poi si aggrega alla cerchia ristretta di tecnici che hanno vinto la massima competizione europea con due club diversi.

Lo Special è un po’ meno “Special”

Lo Special One, totalmente soddisfatto dei risultati raggiunti nel Bel Paese, si trasferisce in Spagna, proprio nella compagine che ha offerto lo stadio della finale di Champions League, il Real Madrid. La buona sorte che accompagna il portoghese qui inizierà a vacillare.

Mourinho dopo aver vinto meritatamente il FIFA World Coach of The Year, vince il 20 Aprile 2011 il suo primo trofeo sulla panchina Blancos, riportando la Coppa del Re dopo 18 anni a Madrid (1-0 contro il temuto Barcellona). Giunge secondo in campionato proprio dietro i blaugrana ed esce di scena a livello europeo nelle semifinali di Champions League contro gli stessi catalani. Riceve nonostante tutto il premio Muñoz come miglior tecnico in Liga.

Nella stagione seguente perde sempre contro il Barcellona la Supercoppa di Spagna e nuovamente la possibilità di agguantare la finale di Champions perdendo ai rigori contro il Bayern Monaco. Vincerà però con un record assoluto di punti e reti realizzate la Liga (100 i punti fatti e 121 i gol realizzati dal Real Madrid). Questo gli farà ricevere per la seconda volta il prestigioso riconoscimento Muñoz.

La terza e ultima stagione per Mourinho inizia positivamente conquistando stavolta la Supercoppa di Spagna battendo i catalani 2-1. Perde però le restanti competizioni, venendo sconfitto in finale di Coppa del Re dai cugini dell’Atletico e uscendo amaramente alle semifinali di Coppa Campioni per la terza volta consecutiva, non riuscendo ad approdare alla finalissima di Wembley. In Liga viene distaccato nettamente dal Barcellona di ben 15 punti, i blaugrana eguagliano il record punti del Real della stagione precedente (100p). Mourinho al termine della stagione decide perciò di abbandonare Madrid dopo le esigue vittorie finali e fare ritorno in Inghilterra, al suo amato Chelsea.

Il 3 giugno 2013 torna all’ovile, alla corte di Abrahmovich che lo rivuole per dare nuova linfa ai blues. Il portoghese, forte dei propri vecchi trionfi in Premier si prepara alla nuova sfida.

Subito il 30 agosto torna faccia a faccia con il suo rivale storico, Pep Guardiola, ma il suo Chelsea viene piegato ai calci di rigore da un Bayern Monaco più freddo e preciso. La Supercoppa UEFA è vinta dai bavaresi. Mourinho in seguito perde la sfida unica ai quarti della Capital One Cup contro il modesto Sunderland, per poi replicare in negativo agli ottavi in FA Cup contro i Red Devils. Saranno proprio i rivali di Manchester ad aggiudicarsi il titolo a fine stagione, e Mourinho proseguirà la maledizione della semifinale in campo europeo, perdendo per la quinta volta consecutiva nella doppia sfida la possibilità di prendersi la finale.

La seconda stagione vede il suo Chelsea in testa, in FA Cup però esce eliminato dal Bradford City con il risultato di 4-2. Ottiene la finale di Coppa di Lega e batte gli Spurs per 2-0 aggiudicandosela. Settimo trofeo complessivo in veste blues. Sfortunatamente in Champions viene superato nel doppio confronto dal PSG agli ottavi (non accadeva dal 2009 ai tempi dell’Inter).  Il 3 maggio il suo Chelsea vince per la terza volta (sotto la sua guida) il titolo di Premier League.

La terza e ultima stagione sulla panchina del Chelsea è un autentico disastro in termini di risultati e di gioco. Dopo aver perso 1-0 la Community Shield al Wembley Stadium contro l’Arsenal, viene eliminato agli ottavi della Coppa di Lega dallo Stoke City. A dicembre i blues risultano persino 16esimi in Premier, perdendo ben 9 partite in sedici turni di campionato. Dopo la sfida persa contro il Leicester di Ranieri, la società e Mourinho rescindono consensualmente il contratto. Il Chelsea rimane in corsa esclusivamente per la Champions League, essendosi aggiudicata un posto per la fase finale del torneo.

L’approdo allo United

Passano pochi mesi, è il 27 Maggio 2016 quando la dirigenza dei Red Devils lo ingaggia per sedere sulla panchina del Manchester United, il suo sogno nel cassetto, la squadra del suo mito Alex Ferguson. L’organico ha ricevuto notevoli rinforzi, tra tutti: Mikhitaryan (ex Borussia), Ibrahimović (preso a parametro zero) e infine Paul Pogba, con una spesa stratosferica di 100 milioni di sterline. Quest’ultimo voluto fortemente dallo stesso Mou.

L’inizio è promettente, nella fase pre campionato tutto sembra volgere al meglio, il 23 agosto vince il suo primo trofeo, la Community Shield, grazie al gol di Ibra nel 2-1 finale contro le Foxes di Ranieri. Trionfa nelle prime tre di campionato, contro Bournemouth/Southampton/Hull City. I Red Devils non brillano in quanto a gioco ma i risultati arrivano ugualmente, soprattutto grazie all’apporto di Ibrahimović. Arriva dunque il derby tanto atteso, da una parte Mou, dall’altra Guardiola con il suo City. Il match è squilibrato, i Citizien non sembrano mai in difficoltà, Mou sbaglia alcune scelte tattiche nel primo tempo e le corregge nel secondo, la musica non cambia molto, nonostante una lieve reazione il passivo poteva essere più ampio.

Lo Special One perde un scontro importante, ma non è l’unica macchia. Qualche giorno dopo perde in Europa League al suo debutto contro il Feyenoord, 1-0. Passano pochi giorni e arriva l’ultima sconfitta, stavolta in campionato contro il Watford di MazzarriZuniga punisce i Red Devils, il finale è sconfortante, un pesante 3-1 che i tifosi del Manchester non ammettono e non riescono a far passare in sordina. Lo Special One dopo la debacle con il Chelsea, e prima gli scarsi risultati ottenuti in Spagna, ora sembra di nuovo in difficoltà. Dopo la sconfitta subita sono iniziati a circolare su web foto che lo ritraevano con addosso la capigliatura di Van Gaal, allenatore precedente dai metodi discutibili e risultati scarni. Il popolo dei Red Devils ha mandato un chiaro segnale, niente più sconfitte o annate buie, si deve vincere.

Mourinho: il personaggio

Mourinho è sempre stato un personaggio scomodo, una figura dal forte impatto mediatico. Fin dai suoi esordi come secondo in carica ai tempi di Van Gaal si è dimostrato molto fiducioso dei propri mezzi, “José era un giovane arrogante che non rispettava l’autorità. Non era sottomesso e mi contraddiceva quando pensava mi sbagliassi. Ho finito con l’ascoltarlo più di quanto ascoltassi gli altri assistenti. Se dovevo fare una sessione di allenamento e non avevo le idee chiare, chiedevo a lui” scriverà Ciaran Kelly, giornalista sportivo autore di un libro dedicato al portoghese, Josè Mourinho: The Rise of the Translator (Bennion Kearny Limited, 2013).

Negli anni il Mou si è distinto spesso per ogni tipo di controversia con colleghi, giocatori, arbitri e la FIFA stessa, denigrandola puntualmente sotto diversi aspetti. Fin dai tempi del Chelsea e di quella parola poco cortese (“Voyeur”) rifilata a Wenger, Mou non risparmiava nessuno dalle sue critiche, come delle regole FIFA riguardo a incontri poco lineari con avversari opposti (l’appuntamento fuori orario con Ashley Cole), che gli costò una multa salata. In Italia si rese famoso per il gesto delle manette in Inter – Sampdoria, questo atto gli valse una sanzione di 40.000 euro “per avere contestato ripetutamente l’operato arbitrale con atteggiamenti plateali, in particolare mimando le manette; per avere inoltre, nell’intervallo, rivolto all’arbitro e agli assistenti espressioni ingiuriose e per avere, nel corso della gara, contestato ripetutamente la presenza dei collaboratori della Procura federale”.

Con il Real Madrid nella penultima giornata della fase a gironi di Champions, suggerì a Xabi Alonso e Ramos di farsi espellere in modo da saltare solamente il match successivo e ritornare “puliti” agli ottavi di finale, senza alcuna diffida. Un guizzo che poteva ritenersi astuto ma che venne smascherato quasi nell’immediato, scatenando non pochi malumori nel mondo calcistico, e ancora una volta la sua “condotta impropria” gli causò un’altra multa. Questa volta vennero puniti anche i suoi giocatori.

In seguito Mourinho fu deferito dalla commissione disciplinare della UEFA secondo l’articolo 5 sui principi di condotta per il caso dell’arbitro Stark, reo (secondo l’opinione del portoghese) di aver favorito il club blaugrana durante la sfida di Champions League in semifinale. Poco tempo dopo questo rancore nei confronti del Barcellona si trasformò in offesa fisica, Mourinho prese alle spalle Tito Vilanova, allora secondo di Guardiola, e gli infilò un dito nell’occhio accompagnandolo con un sorriso compiaciuto. Immortalato dalle telecamere non sfuggì ad una squalifica doverosa.

La spettacolarizzazione del ruolo di tecnico

Questi esempi rispecchiano la sua personalità, carica di luci ma anche di ombre. Un allenatore che ha sempre messo se stesso di fronte alle telecamere, non solo per ostentare la sua dialettica ma anche e soprattutto in favore della squadra per cui militava. Teatrale nei gesti e spiccato nelle parole, Mou non è solo un tecnico, presenta prima di tutto un personaggio che ha saputo rompere le convenzioni di un “lavoro” che di spettacolare nulla aveva.

Le sue conferenze stampa tanto amate qui in Italia ci hanno regalato momenti di puro divertimento, come quella della presentazione, quando stupì tutti con quel “io non sono pirla però…”, per finire con l’ammonimento al calcio italiano in merito alla triste vicenda che la riguardava di recente “Con il vostro silenzio avete costruito Calciopoli”.  Non ha mancato mai una parola di troppo, l’eccesso che solo lui ha sempre potuto permettersi e che gli ha consentito di pagare entro certi limiti, agguantando consensi e notorietà. La sua intelligenza tattica e le vittorie parlano per lui, all’attivo possiede una bacheca ricca che vanta ben 22 titoli conquistati in quattro paesi diversi, da aggiungervi il fatto che sono stati conseguiti nei campionati più difficili d’Europa (Inghilterra, Spagna, Italia). Ancora più numerosi risultano essere i premi individuali per la figura di tecnico che rappresenta.

Mourinho: i metodi di lavoro

Un’ascesa quella dello Special One che deriva dal suo concetto di “assimilazione dell’organizzazione tattica” a quello di uno stress fisico e come essi siano indissolubilmente legati. Secondo il modello del portoghese, ogni azione di gioco coinvolge quattro dimensioni differenti: quella tattica (cosa si deve fare), la dimensione tecnica (quale giocata ne consegue), la dimensione fisica (quale risposta dal corpo), la dimensione psicologica (con quale stato emotivo). Ogni esercizio che lo Special One mette in campo durante gli allenamenti ha sempre questi elementi portanti, per cui dopo continue ripetizioni, il calciatore dovrebbe in un tempo X saper controllare ogni situazione che accade con maggior sicurezza, poiché abitudinaria attraverso l’addestramento.

Tutte le azioni di gioco rientrano in quattro macro categorie: azioni di attacco, di difesa, transizioni difesa-attacco e transizioni attacco-difesa. L’atteggiamento che ne consegue dipende dal Modello di Gioco, a sua volta “prodotto” dall’idea del tecnico in carica, dall’organizzazione della squadra (età dell’organico, capacità ecc) e dalla variabile costituita dal binomio – cultura del club/campionato in cui milita. Come visto il metodo si può diversificare e rendere idoneo indipendentemente dai fattori, purché sia realizzato al meglio. L’intensità è il pilastro fondamentale per questo tipo di lavoro, senza, il fallimento è dietro l’angolo.  Maggiore sarà il numero di variabili che il calciatore dovrà tenere in conto, maggiore sarà l’intensità derivata dall’esercizio.

I motivi di un declino 

A questo punto entra nel merito la seconda e ultima parte del titolo: perché questo declino?

Che il Metodo Mou, in buona parte appreso da Vitor Frade (professore all’Università di Oporto e collaboratore del FC Porto) e in altra fetta dalle esperienze maturate, sia stato il motivo di successo dell’allenatore non vi è dubbio. A questo va accostato anche il forte apporto motivazionale che Mourinho riesce ad instillare nei suoi calciatori, talvolta divenendo molto più che un semplice allenatore ma quasi un confidente.

Se tutto questo ha spesse volte funzionato senza inceppi entro i confini nazionali, riuscendo fin dalla prima esperienza a vincere il campionato e/o la coppa di Lega, in campo internazionale il suo concetto calcistico non ha avuto il medesimo risultato. Se osserviamo attentamente il suo palmares notiamo infatti una disparità netta tra le due categorie di titoli (19 nazionali e soltanto 3 Europei). Mourinho ha vinto 2 Champions League con due club differenti e una Coppa Uefa in 16 anni di carriera. Eppure le occasioni per accrescere questo numero in campo internazionale non sono mancate, ma puntualmente dal 2010 Mourinho non sembra essere in grado di imporsi attraverso quell’idea che i primi anni gli diede tante soddisfazioni. Dopo il Triplete, il punto più alto della sua vita sportiva, lo Special One ha avuto l’onore e il piacere di guidare l’armata Blancos, piena zeppa di giocatori eccellenti e trascinata da un fuoriclasse come Cristiano Ronaldo, ma che durante la sua gestione tecnica ha saputo vincere “soltanto” 3 titoli in tre anni. Non un risultato degno da Real, e ancor di meno per Mourinho. Ha fallito l’obiettivo Decima, riuscito soltanto l’anno successivo del suo addio grazie ad Ancelotti, al primo tentativo.

Il problema pertinente da analizzare risiede nella sua tempra inossidabile, quel voler ad ogni costo esasperare l’ambiente circostante, anche quando c’è ben poco da recriminare ad arbitri o avversari, bensì qualcosa a se stessi. Il portoghese caricò di molto la molla all’interno dell’ambiente blancos, andando in conflitto dapprima con i “senatori” della squadra e poi direttamente con la stampa, declinando la responsabilità del cattivo gioco a cause esterne.

Al Chelsea altri problemi, stessa radice (quello più noto fu il licenziamento del medico dello staff), ma altri meno noti anche con collaboratori e più di qualcuno con giocatori chiave (Hazard su tutti, definito tra le righe “un simulatore di infortuni”). Di lì la continua discesa, e il voler ripetere ad oltranza la fiaba del “noi contro il mondo”, un motto che alla lunga non ha più attecchito. Il calcio del portoghese non ha mai esaltato le folle di tifosi, di qualsiasi squadra fossero, Mou ha sempre ricercato il suo tipo di calcio, piacesse o meno a chi faceva da spettatore non gli è mai importato.

La filosofia “conta il risultato non la prestazione” è un’etichetta più che conforme al tecnico in questione. C’è da aggiungere che spesso gli si critica di voler solo il meglio per poter vincere o raggiungere determinati risultati, dopo Florentino Perez, anche il magnate Abrahmovich ha messo mano al portafoglio in modo consistente per accontentare ogni spesa voluta dallo Special One, acquisti obbligatori per riportare la Champions laddove mancava. Inutile dire che gli acquisti fatti non hanno portato nulla se non un bilancio più rosso.

Acquisti sbagliati? Probabilmente qualcuno si, non sarebbe il primo dopo quelli fallimentari del passato (Quaresma docet), successivamente compensati però da vittorie importanti, e non si deve nemmeno incriminare di per sé il voler chiedere top players per vincere, in fondo è la regola dei club più rilevanti, il problema semmai è saperli gestire. Nel 2003 vinse con un Porto che la stragrande maggioranza ritiene tutt’ora nella media, ma l’anno successivo parte di quella squadra andò in finale di un Europeo, forse non era poi così male. Nel 2010 vinse una Champions con giocatori eccellenti come: Sneijder, Eto’o, Cambiasso, Julio Cesar, Samuel, Maicon e il vero Balotelli. Da aggiungervi Chivu (nella sua miglior condizione) e l’exploit di Milito che regalò di fatto con i suoi gol il tris di vittorie fondamentali. Ottimi giocatori, tanta motivazione e uno spogliatoio unito, la ricetta base per squadre vincenti.

Un consiglio al tecnico portoghese

Mou ha gestito bene la propria immagine, i propri ingaggi e in passato i rapporti con i suoi giocatori e le società che lo richiedevano. Oggi quel tocco magico con le squadre sembra svanito, sembra essersi dimenticato il punto focale, ossia la gestione del singolo che diventa poi il collettivo, rincara soltanto sull’ambiente circostante dimenticandosi quello di casa propria.

Ecco il vero problema di Mourinho oggi, non sta nella tattica o nelle superstar che desidera in mezzo al campo, ma nella gestione dell’atmosfera. Dopo le difficoltà recenti a Manchester United, Mourinho deve fare mea culpa, comprendere i propri errori e ripartire da essi per ritrovare l’armonia con se stesso trasmettendola poi ai suoi collaboratori e alla squadra. Stop alle lamentele, niente alibi o “mind games” e soprattutto più rabbia, quella che Mourinho sembra aver perso da un anno a questa parte.

“Non sono il migliore del mondo, ma non c’è nessuno migliore di me”

Federico Camarin