L’ampliamento del Canale di Suez, la crescita esponenziale dell’influenza cinese e l’evoluzione dell’industria navale sarebbero, secondo uno studio presentato a Bruxelles da Intesa San Paolo e SRM – Centro Studi sul Mezzogiorno, le tre principali ragioni del ritorno del Mediterraneo ad un ruolo centrale negli equilibri internazionali. Secondo tale studio il Canale di Suez avrebbe registrato finora dei dati di crescita da record, chiudendo il 2017 con 909 milioni di tonnellate transitate per un totale di oltre 17mila navi, segnando quindi un aumento rispetto al 2016 pari all’11%.
Si tratta di un risultato indubbiamente lusinghiero per un paese che ha completato in tempi decisamente rapidi l’ampliamento del Canale di Suez in collaborazione con Cina e Russia, e che soprattutto esce da una non breve stagione di conflittualità politiche interne a dir poco gravi, con gli effetti della primavera araba del 2011, il rovesciamento del trentennale governo di Mubarak, la breve parentesi della fratellanza musulmana di Morsi al potere e quindi il ritorno al governo laico di Al-Sisi.
A favorire tali dati, secondo lo studio, ha contribuito anche la tendenza a realizzare navi dalle dimensioni sempre più grandi, un fatto che ha indotto non soltanto all’ampliamento di Suez ma anche del Canale di Panama, oltre che a dare impulso ad un progetto concorrente, sempre nell’America Istmica, riguardante il Nicaragua. Anche in questi due casi il ruolo della Cina e delle sue grandi imprese è stato determinante.
La nascita di navi sempre più grandi richiede, come contropartita, la ricerca di rotte sempre più proficue e sicure in termini di navigazione, con molti scali intermedi dove poter scaricare e caricare le merci. Ciò naturalmente ha effetti non da sottovalutare sullo sviluppo dei porti presistenti, come del resto sulla natura del commercio internazionale.
A tutto questo ha dato un enorme contributo, nuovamente, la Cina, che da anni riveste un ruolo indiscusso come principale paese manifatturiero e “commerciale” al mondo. A ciò s’aggiunge anche il progetto della Nuova Via della Seta, “One Belt and One Road”, vale a dire un collegamento via terra e via mare prospettato da Xi Jinping al suo arrivo e che, sulla scorta dell’antica Via della Seta, collegherebbe la Cina e quindi l’Asia all’Europa, abbracciando insieme anche l’Asia Centrale, quella Pacifica ed il Continente Africano. Basti solo pensare che, ad oggi, gli investimenti cinesi nei porti e nei terminali del Mediterraneo ammontano già a 4,5 miliardi di euro.
In un simile scenario, l’Europa continua a mantenere una posizione egemone nel settore marittimo, coi suoi numerosi armatori che da soli controllano ancora il 40% della flotta mercantile mondiale. Di conseguenza, anche i porti italiani, dopo anni di crisi, riprendono a crescere e non arrestano tale positiva tendenza, al punto che nel 2017 hanno superato il mezzo miliardo di tonnellate di traffico merci. In particolare, è positivo il dato relativo all’internazionalizzazione dell’attività dei porti stessi: la componente internazionale degli scambi via mare dall’Italia, infatti, ha conosciuto un vistoso aumento del 12,4% rispetto al 2016.
Se ne deduce quindi una forte ripresa in termini d’importanza di Suez, un canale da sempre strategico nei traffici fra Asia e Mediterraneo, in un quadro oltretutto di positiva e costruttiva concorrenza anche con le vie di terra che attraverso l’Asia Centrale collegano l’Europa all’Oriente più estremo. Ciò restituisce importanza al Mar Rosso, dove le navi transitanti per Suez devono passare, e quindi valorizza e spiega anche l’importante processo di pace e d’integrazione in atto in Africa Orientale fra Eritrea, Etiopia e Somalia, il cui effetto più immediato è quello di rimettere al lavoro anche i porti eritrei a beneficio delle regioni e dei mercati interni. Ma al contempo tutto questo restituisce importanza anche al conflitto nello Yemen, fino ad oggi dolorosamente trascurato, e per il quale la comunità internazionale è sempre più chiamata ad interrogarsi per individuare una soluzione pacifica, mediata e politica.
Anche l’avvicinarsi ad uno scontato epilogo del conflitto in Siria semplifica la gestione di molte questioni mediterranee, ma in particolare di questioni relative alla sicurezza dello sfruttamento delle vie di terra integrate a quelle marittime e che mirano a collegare Cina e Russia al Mediterraneo e all’Europa. Gli equilibri politici in Medio Oriente vanno quindi assumendo una conformazione decisamente nuova, con la riduzione del peso politico specifico delle potenze che storicamente vi hanno sempre avuto, almeno fino ad oggi, la maggiore voce in capitolo, a favore di quelle emergenti. Tutto ciò ha effetti drastici ed indubbiamente positivi anche per quanto riguarda la stabilizzazione del quadro libico, del resto fondamentale come via di collegamento tra il Mediterraneo e l’Africa subsahariana.