fusione nucleare

La fusione nucleare è il processo che più o meno direttamente già ci fornisce energia tramite il Sole, dove ogni secondo atomi di idrogeno vengono fusi per formarne uno più pesante di elio, generando così, per difetto di massa, l’energia solare che tutti abbiamo modo di apprezzare.

La fusione nucleare è riproducibile anche sulla Terra

Anche sulla Terra si possono riprodurre  queste reazioni termonucleari. In particolare le reazioni che coinvolgono i nuclei dell’idrogeno e dei suoi isotopi,  come ad esempio la reazione che si verifica tra i nuclei di due forme pesanti dell’idrogeno, gli isotopi deuterio e trizio. Nei futuri reattori a fusione i neutroni, che trasportano l’80% dell’energia prodotta, saranno assorbiti in un “mantello”, posto intorno al nocciolo del reattore stesso, contenente litio, il quale si trasformerà in trizio secondo reazioni ben conosciute.

Riuscire a controllare tale procedimento sul nostro pianeta permetterebbe di ottenere una fonte di energia ad emissioni zero in grado di alimentare intere città.

I limiti dell’attuale procedimento

L’ostacolo principale che si incontra affinché il procedimento risulti vantaggioso sia dal punto di vista energetico che economico, è la temperatura a cui avviene la fusione. Occorre infatti scaldare l’idrogeno fino a portarlo allo stato di plasma, stato della materia nel quale gli elettroni vengono “strappati” dagli atomi. Il primo problema che si incontra è di natura prettamente tecnica: Il plasma di idrogeno raggiunge temperature di 100 milioni di gradi, sufficienti a fondere qualsiasi materiale vi sia sottoposto. Il secondo è di natura economica: Serve molta energia per scaldare l’idrogeno e portarlo allo stato di plasma.

Una partnership da 50 milioni di dollari

In questo contesto si inquadra il lavoro del Massachusetts Institute of Technologies e della ENI, che insieme alla Commonwealth Fusions Systems (spinoff del MIT), hanno annunciato un finanziamento di 50 milioni di dollari per costruire un prototipo di reattore a fusione che sarà operativo entro 15 anni.

Il reattore del MIT, chiamato SPARC, avrà le dimensioni di un furgone ed erogherà 100 megawatt di potenza, sufficienti ad alimentare una piccola città senza alcuna emissione di CO2.

Per quanto riguarda la struttura sarà adottata una configurazione chiamata tokamak: una camera toroidale dove il plasma surriscaldato circolerà in sospensione grazie al campo magnetico generato dai magneti superconduttori. Proprio questi magneti superconduttori sono la novità e il primo passo per la costruzione di SPARC; essi infatti avranno il compito di impedire al plasma di entrare in contatto con la struttura del reattore.

La svolta tecnica è rappresentata da nuovo materiale superconduttore, un nastro di acciaio rivestito con un composto chiamato ossido di ittrio-bario-rame o YBCO, che ha permesso di produrre magneti più piccoli e potenti. Questo fattore riduce la quantità di energia che deve essere spesa per innescare la reazione di fusione. In oltre più alto è il campo magnetico, maggiore sarà la compattazione del carburante.

Accordo sul programma di ricerca

Eni in oltre ha anche firmato un accordo con il Mit finalizzato allo svolgimento di programmi di ricerca congiunti sulla fisica del plasma, le tecnologie dei reattori a fusione e quelle degli elettromagneti di nuova generazione.

Se nel giro di 15 anni, tutto andrà secondo i piani, SPARC sarà il punto di partenza per la costruzione di un reattore due volte più grande per un’applicazione su larga scala della fusione nucleare controllata.

Il progetto alternativo: ITER

Il prototipo del MIT non è l’unico progetto che mira a sfruttare la fusione nucleare per produrre grandi quantità di energia senza emissioni di inquinanti. Altre notizie promettenti giungono da ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor); un progetto nato da una collaborazione internazionale basato in Francia.

A differenziare i due progetti sono le dimensioni; ITER infatti è un cilindro di 30 metri di diametro per altrettanti di altezza che sarà in grado di forniture un output energetico 5 volte superiore a SPARC che, in compenso, è 65 volte più piccolo.

Fabrizio Conti