Dalla mezzanotte di ieri, dal momento che sono falliti i negoziati che erano tesi a prevenirli, sono entrati in vigore i dazi sull’acciaio e sull’alluminio di produzione europea voluti da Trump. Tali dazi, ovviamente, non coinvolgono solo l’UE, segnando così un duro colpo alla storica amicizia (anche economica) fra le due sponde dell’Atlantico, ma anche il Canada e il Messico, ovvero altri due paesi con cui fino all’arrivo di Trump gli Stati Uniti vantavano un solido legame, e che oggi invece sembrano sempre più allontanarsi da Washington. In quest’ultimo caso, peraltro, va fatto notare come sia soprattutto l’accordo di libero commercio del Nord America, il NAFTA, a uscirne duramente segnato, se non addirittura compromesso.
La reazione del Fondo Monetario Internazionale è stata immediata: “Tutti perdono in una protratta guerra commerciale” e “Incoraggiamo i paesi a lavorare costruttivamente insieme per ridurre le barriere e risolvere i disaccordi commerciali senza il ricorso a misure eccezionali”. Tuttavia occorrerebbe dire come, guardando anche al caso dei rapporti fra Stati Uniti e Cina, spesso Trump utilizzi questi dazi come strumenti contrattuali per spuntare le condizioni migliori. In pratica Trump è un presidente “monomarcia”, che usa in ogni condizione e con ogni interlocutore la stessa strategia di sempre. Se tanto dà tanto, non ci si dovrebbe allora stupire se a breve fra Stati Uniti e Unione Europea ritornasse il sereno, con nuovi impegni reciproci ad aumentare il proprio interscambio commerciale. Con la Cina, perlomeno, è andata così.
Certo, Trump deve dare anche delle risposte alla sua base elettorale, composta anche dai lavoratori dell’industria di base che si sono affidati a lui abbandonando in molti casi i democratici, e onorare il suo slogan elettorale “America First”. Per il momento le varie cancellerie europee hanno giudicato, comprensibilmente, le scelte di Trump come “ingiustificate e pericolose”. E, sul tavolo, sono persino già pronte le controreazioni dell’UE, con dazi che potrebbero colpire numerosi prodotti statunitensi, dai jeans alle arachidi non senza dimenticare nemmeno le sigarette, di cui le multinazionali a stelle e strisce sono produttrici dominanti a livello mondiale. Secondo il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, “Questo è protezionismo puro e semplice, inaccettabile”, e a cui pertanto da rispondere in maniera simmetrica ed adeguata.
Secondo le prime stime, gli Stati Uniti potrebbero perdere, dalla “rappresaglia commerciale” europea, qualcosa come 7,5 miliardi di dollari. Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha chiosato: “Risponderemo con tutti i mezzi a nostra disposizione”. Tuttavia, secondo il Segretario al commercio USA Wilbur Ross, i dazi voluti dalla Casa Bianca avranno effetti molto limitati sull’economia europea, e anche i contro-dazi europei non riscuoteranno chissà quale particolare impatto sull’industria e l’economia americane. La Germania, nel frattempo, invita alla cautela, anche perché circola la voce che Trump pensi pure d’estendere i dazi anche alle automobili di produzione europea, una misura che colpirebbe proprio l’industria automobilistica tedesca, ovvero quella i cui prodotti sono maggiormente esportati negli Stati Uniti.
La strategia di Trump è anche quella di puntare sui trattati commerciali bilaterali in luogo dei grandi mercati unici, un tipo di rapporto dove poter fare maggiormente valere il peso dell’economia americana e del dollaro USA. Ma, nel caso dell’UE, applicare una simile strategia nel lungo termine può solo portare a possibili fughe in avanti o divisioni, qualcosa che a Bruxelles desta ben più che qualche semplice preoccupazione.