Apprendiamo, senza alcuna meraviglia, che il G7 ha visto, paradossalmente, il trionfo di un assente. Anzi, dell’assente per eccellenza: Vladimir, Vladimirovic Putin. Immaginiamo lo sconcerto nel lettore: ma come, tutti i media sottolineano la compattezza di quel consesso nel condannare la Russia, e però Putin avrebbe comunque trionfato?
Esatto: Putin, di fatto, con le proprie azioni e parole, ha talmente rotto gli equilibri mondiali, che anche da assente, era l’argomento principale di discussione. Dato che il contenuto dell’incontro è stato diffuso da centinaia di organi di stampa, daremo per scontato che il lettore lo conosca già.
Obama ostentava sicurezza, ma in realtà era preoccupato. Per quanto noi non siamo nel novero degli ammiratori di Obama, dobbiamo convenire che questi è meno stupido di quanto si possa pensare. Il destinatario delle sue pietose minacce e delle sue accuse assurde non era certo Putin. A meno di non aver di gran lunga sopravvalutato l’intelligenza di Obama, possiamo stare certi che persino lui sa bene che quelle minacce, lungi dallo spaventare Putin, non faranno altro che ricompattare i russi attorno a lui, senza contare i leader dei Paesi asiatici e latino-americani, che sempre più guardano alla Russia come a un punto di riferimento.
No, Obama si rivolgeva agli europei: quelle minacce erano al contempo il bastone e la carota. Erano la promessa di un impegno a difendere i Paesi europei; sopratutto, però, era un impegno a rovinarli, qualora avessero compiuto passi concreti per alleggerire le sanzioni o anche solo per riavvicinarsi alla Russia. Il XXVI dei Trentasei stratagemmi cinesi recita: “Additare il gelso per maledire la sofora.” Crediamo che non abbisogni di spiegazioni.
Il G7 è stata l’occasione per Obama di dimostrare al mondo americanizzato (ridotto praticamente a Europa, Nord America, Australia, e poco altro) che gli USA hanno ancora il controllo della situazione. Inutile dire che solo chi lo sta perdendo (o lo ha perso) sente il bisogno di ribadire di avere il controllo.
Bush padre non l’avrebbe mai fatto. Ma non perché più buono, civile o altro: semplicemente, il mondo negli anni ’90 sembrava dovesse appartenere agli americani e per sempre e quindi non vi era alcuna necessità di strillare come una scimmia. Al massimo, gli USA si concedevano di tanto in tanto il ruggito del leone, un suono secco, udibile in ogni angolo della savana, che dice: “sta passando il padrone di questo luogo: fatevi da parte!”
Vent’anni dopo tale dominio assoluto si è incrinato in più punti. E perciò, mentre Russia, Cina e altri Paesi si affrettano verso la dedollarizzazione dei rapporti commerciali, agli americani non restano che due strade: quella del rinnovamento, o quella della reazione. Quest’ultima è quella più istintiva, e ha caratterizzato la gran parte dei regimi e dei gruppi di potere ormai in declino irreversibile. Così l’Anciente Regime, lo zar, la monarchia francese restauratrice nel 1830, etc. Hanno tentato di difendere il trono vacillante, aggrappandovisi con maggiore forza. E sono stati detronizzati.
L’altra scelta è quella più insidiosa, ed è quella “gattopardesca” del cambiar tutto per non cambiare nulla. Ma occorrono tanti elementi, tra cui un’analisi lucida e spietata della realtà. Non è da tutti. Per fortuna: i regimi gattopardeschi sono meno insopportabili di quelli puramente reazionari. Ma proprio per questo sono i più resistenti: non si oppongono al cambiamento, ma lo guidano.
In ogni caso, Obama evidentemente appartiene al primo tipo, mentre Kerry e Kissinger sono del secondo tipo, e quindi molto più pericolosi.
È presto per dire cosa ne sarà di questa pazza Europa, che ha venduto la propria libertà per un gay pride, ma di certo ci sentiamo di dire che fra 20-30 anni il ruolo di Russia, India e Cina sarà ancora più importante che oggi, che quindi l’Europa dovrà scegliere se affondare con gli USA, oppure rinnovarsi lavandosi col fuoco che arde (ancora) a Est.
Nel chiudere questo editoriale, vi segnaliamo la simpatica iniziativa del sito “Conflitti e Strategie.” Si tratta di una lettera a sostegno della Russia ed è possibile firmarla a questo indirizzo.
Massimiliano Greco