AGGIORNAMENTO 19/02/2017
Conferenza stampa del capo della polizia malese che ha comunicato i nomi di quattro nordcoreani ricercati per la morte di Kim Jong-Nam: Ri Ji-Hyon, O Jong-Gil, Ri Ji-U e Hong Song-Hac. Altre tre persone sono ancora in corso di identificazione, ma non sono sospettate, sono considerati elementi utili per le indagini. Tutti e sei sono entrati in Malesia nei primi giorni di febbraio e hanno abbandonato il paese il 13 febbraio. Pare che abbiano percorso la tratta Kuala Lumpur-Giacarta-Vladivostock-Pyongyang.
Indubbiamente gli elementi comunicati in questa conferenza stampa rappresentano un punto di forza per indirizzare le indagini verso la “pista nordcoreana”.
Ma non è tutto scontato come sembra: come già scritto in precedenza i rapporti bilaterali tra Pyongyang e Kuala Lumpur sono (erano?) buoni e sono molti i nordcoreani che lavorano in Malesia. In attesa di maggiori informazioni dalla polizia malese non è assurdo pensare che i sette cittadini nordcorani fossero semplicemente uomini d’affari in ritorno verso il proprio paese, magari per celebrare il Giorno della Stella Lucente, il compleanno di Kim Jong-Il del 16 febbraio.
L’ambasciatore Kang Chol è stato comunque convocato dal Ministro degli Esteri malese per una consultazione in merito alla presenza dei suoi connazionali nella capitale.
Sono state diffuse anche le immagini del circuito chiuso del KLIA2 che testimoniano l’agguato, dalle quali si evince solo la presenza delle due ragazze fermate.
Nel frattempo la posizione dell’unico nordcoreano fermato pare modificarsi: Ri Yong-Chol (impiegato presso un industria elettronica malese) infatti pare che solo la sua automobile fosse presente in aereoporto. Ma in merito non sono ancora arrivate conferme ufficiali.
***
La morte di Kim Jong-Nam, primogenito di Kim Jong-Il oltre che fratellastro di Kim Jong-Un, sta assumendo contorni sempre più surreali, tanto da meritare un’analisi di fatti e possibili ipotesi.
Il personaggio
Innanzitutto chi è Kim Jong-Nam? Primo figlio dell’ex Leader della Corea del Nord, Kim Jong-Il, e della seconda moglie, Song Hye-Rim, è stato a lungo considerato il delfino del padre, il più accreditato alla successione di Leader del paese est-asiatico.
Grande appassionato di sviluppo tecnologico, in particolare ammiratore del Giappone, Jong-Nam ha avuto un ruolo importante fino ai primi anni duemila nel potenziamento dell’industria elettronica nordcoreana. In ossequio alla tradizione che vuole il nuovo leader insediatosi come portatore di un potenziamento dell’ideologia Juché, quella sviluppata da Kim Il-Sung, Kim Jong-Nam spronò il padre (che già aveva indirizzato il paese secondo l’idea del Songun) a plasmare la Corea con il suo “Saeroun kwanjom” (“nuovo pensiero“).
Cadde in disgrazia nel 2001, in seguito all’arresto all’aeroporto di Tokyo: sembra volesse passare una vacanza a Disneyland, entrando in Giappone con un passaporto falso della Repubblica Dominicana. Da allora viveva in esilio, prima a Mosca, successivamente a Macao.ù
Nella città cinese, pare, vivesse grazie a finanziamenti provenienti da Pyongyang e ad un lavoro di intermediario per fondi di investimento cinesi.
Presentato per anni come un “playboy, giocatore d’azzardo e vita da nababbo”, ora viene fatto passare per un “intelletuale colto e raffinato”. Una forbice enorme, con giudizi funzionali al tentativo di demonizzare la Corea del Nord. Probabilmente la verità sta proprio nel mezzo, perché se è vero che Kim Jong-Nam, nel suo decennio da delfino del padre si è dimostrato capace di intuizioni non banali, è altresì vero che la sua salita è stata bloccata dai suoi stessi eccessi.
Il delitto del 13 febbraio
Ora passiamo ai fatti di Kuala Lumpur: il 13 febbraio Jong-Nam si trovava nell’aereoporto 2 della capitale malese (KLIA2) per imbarcarsi su un volo verso Macao. Prima dell’imbarco è aggredito da due ragazze giovani che gli spruzzano un gas in faccia. Fonti sudcoreane parlarono di due agenti segreti nordcoreani che lo avrebbero attaccato con degli aghi avvelenati. Kim Jong-Nam chiede un aiuto al personale dell’aereporto e, con il peggiorare della situazione, viene chiamata un’ambulanza. Nel tragitto verso l’ospedale Jong-Nam muore.
Immediatamente nelle ore successive, stampa sudcoreana, citando fonti del governo di Seul, rilancia la notizia della morte di Kim Jong-Nam, senza che la polizia malese abbia ancora rilasciato alcun comunicato in merito. Questo particolare fa pensare che i sudcoreani monitorassero Kim Jong-Nam o che comunque fossero in contatto diretto con lui. Appena il 14 febbraio, alle 11 di mattina, la polizia di Kuala Lumpur rilascia un documento comunicando che l’uomo morto è di nazionalità nordcoreana e risponde al nome di Kim Chol.
Le reazioni e le indagini
Sono smentite da subito le voci che vorrebbero le due ragazze di nazionalità nordcoreana. Solo il 15 febbraio Kuala Lumpur conferma che il deceduto è Kim Jong-Nam, in seguito al confronto delle impronte digitali, fornite da Seul. Viene inoltre arrestata la prima esecutrice: è la vietnamita Doan Thi Huong (l’ormai celebre ragazza con la maglia “LOL”). Il giorno successivo finiscono in manette Siti Aishah, indonesiana che lavorava come hostess in un nightclub, è il fidanzato di nazionalità malese. Nella serata del 16 febbraio la polizia malese in breve comunicato annuncia il fermo di un quarto sospettato: in possesso di documenti nordcoreani, si chiamerebbe Ri Yong-Chol e sarebbe nato il 6 maggio 1970. Una mossa che sembra l’asso pigliatutto per risolvere l’intricata faccenda, ma che in realtà la intorpidisce ancora di più. Stando all’agenzia sudcoreana Yonhap News il sospetto poteva avere una relazione sentimentale con la complice vietnamita Doan e, oltre ad essere già stato presentato ai genitori, aveva accompagnato la fidanzata in più occasioni a fare acquisti di lusso sia in Vietnam che in Corea del Sud (!). Viaggi che, secondo l’intelligence sudcoreana confermano che il sospetto possa avere più passaporti falsi. L’ambasciatore nordcoreano ha chiesto di visitare il sospetto, ma non è stato ancora confermato se ha avuto modo di vederlo o no.
Le prime dichiarazioni dalla Cina giungono appena il 15 febbraio, con il portavoce del ministero degli esteri cinese, Geng Shuang: “stiamo seguendo da vicino la questione”. Stando alle dichirazioni ufficiali dell’Ambasciata nordcoreana in Malesia viene chiesto il ritorno della salma a Pyongang prima dell’autopsia, secondo le consuetudini diplomatiche (Kim Jong-Nam era in possesso di passaporto diplomatico). Le autorità malesi però impongono comunque l’autopsia, senza la presenza di funzionari nordcoreani (altra violazione delle norme) che conferma la morte per avvelenamento.
Dopo un iniziale accordo per il rilascio della salma e il trasporto verso Pyongyang, le autorità malesi hanno richiesto ulteriore tempo e hanno respinto la legittima richiesta dell’ambasciata. Abdul Samah Mat, il capo della Polizia malese, chiede la prova del DNA con un familiare di Kim Jong-Nam per rilasciarlo alle autorità nordcoreane, nonostante l’identificazione sia già ufficiale.
Mentre il Ministro degli esteri malese, Ahmad Zahid dichiara che la questione non rovinerà i rapporti tra le due nazioni, l’Ambasciatore nordcoreano a Kuala Lumpur, Kang Chol, accusa le autorità malesi di ostacolare il trasporto della salma a Pyongyang e di lavorare con le forze ostili alla Corea del Nord.
Le due ragazze fermate, Doan e Siti, concordano nella versione sostenendo che pensavano di partecipare ad una candid camera e di non sapere che stavano spruzzando del veleno in faccia a Kim. Secondo la stampa vietnamita le due sarebbero state pagate 100 dollari per mettere in pratica “lo scherzo”. Fin qui i fatti.
Le ipotesi
Fin dalle prime ore sono apparse numerose ipotesi, che andiamo ad elencare ed analizzare:
1. È la vendetta di Kim Jong-Un.
Il “fratellastro” aveva come obiettivo numero 1 l’ex delfino del padre, considerato elemento di disturbo e possibile sostituto. Tralasciando l’ipotesi cinese (che analizziamo di seguito), risulta difficile pensare che Jong-Nam poteva essere considerato un avversario interno per Jong-Un.
Dimenticato a livello ufficiale da quasi sedici anni, sarebbe impossibile reinserirlo dall’oggi al domani nel protocollo ufficiale nordcoreano. Lo stesso Jong-Un, che pur è stato oggetto di una successione “lampo” viste le condizioni del padre, ha fatto un lungo tirocinio alle spalle del Leader. Inoltre, per quanto non sia pensabile che Jong-Nam non avesse mantenuto qualche entratura a Pyongyang (d’altronde era ancora in possesso di passaporto nordcoreano), rimaneva comunque un elemento per nulla decisivo nelle politiche nordcoreane.
2. Un messaggio ai disertori
In attesa di chiarificare la posizione del fermato nordcoreano, pare più logica l’ipotesi di un messaggio della dirigenza nordcoreana ai vari disertori: in particolare pensiamo a Thae Yong-ho, il viceambasciatore di Londra, fuggito in Corea del Sud.
Fra l’altro, il blog “Young DPRK Watchers” ha segnalato che in almeno un’occasione, un paio d’anni fa, Thae Yong-ho e Kim Jong-Nam erano stati visti assieme. Il messaggio sarebbe chiaro: vi colpiamo, ovunque e in qualsiasi modo! Se Jong-Nam era politicamente ininfluente, rimaneva ancora un personaggio mediaticamente ingombrante, anche se ormai ridotto a vita privata. Anche lo scrittore giapponese Yoji Gomi con cui aveva pubblicato le sue memorie, con cui era in ottimi rapporti, non lo vedeva più dal gennaio del 2012.
Ipotesi più logica, dicevamo, che però presenta comune delle incongruenze: un servizio segreto affidabile come quello nordcoreano si affiderebbe a due ragazzette straniere per far fuori un elemento così “mediatico”, scatenando questo putiferio?
Inoltre, fatto che in pochi hanno segnalato, la Malesia è un paese con buoni rapporti con Pyongyang (l’8 febbraio i due paesi avevano firmato un Memorandum d’intesa per regolare gli scambi culturali): che senso avrebbe creare questo putiferio in un paese amico, quando già sei in una situazione internazionale complicata? Già ai tempi dell’attentato di Rangoon del 1983 durante la visita del presidente sudcoreano Chun Doo-Hwan la Birmania, che fino ad allora aveva buoni rapporti con Pyongyang taglio i ponti diplomatici per quasi un trentennio. Avrebbe senso riproporre un canovaccio simile?
Dulcis in fundo, ma qui la ricostruzione è farsesca, qualche giornale ha fatto addirittura trapelare che i servizi nordcoreani seguissero Jong-Nam attraverso il profilo personale di Facebook, dove era solito postare le foto dei suoi viaggi.
3. L’ipotesi cinese
Kim Jong-Un avrebbe fatto fuori il fratellastro perché era una pedina dei cinesi in caso di “successione forzata”. In sostanza, i cinesi lo tenevano al caldo in vista di un colpo di mano a Pyongyang.
A questa ipotesi viene portato come elemento a supporto anche l’esecuzione di un altro familiare di Kim: lo zio Jang Song-Thaek, considerato molto vicino a Pechino. Per quanto i rapporti sino-nordcoreani in questo momento non siano al massimo storico, ma nemmeno deteriorati come si vuol far credere, l’ipotesi ci pare fantasiosa.
Innanzitutto, come già scritto, i cinesi non sono intervenuti fino a due giorni dopo l’omicidio e, da più fonti, è evidente come i media cinesi abbiano ripreso la notizia solo a cose fatte, a differenza di quelli sudcoreani che erano molto ben informati.
Inoltre, se davvero Kim Jong-Nam era una pedina così importante, è pensabile che possa essere ucciso in un aeroporto del sudest asiatico da due ragazzine? È pensabile che viaggiasse senza protezione?
4. Seul vuole forzare la mano
Un’ipotesi che ribalta i fattori: la dirigenza sudcoreana vuole forzare la mano a Washington mostrando al mondo il lato barbaro dei vicini del Nord, guidati da un tiranno capace di ammazzare come un cane il fratello ribelle. Da qui la messa in scena ai limiti di una commedia thriller B-Movie, con figuranti pescati per un centinaio di dollari tra night club e ragazzotte divorziate cadute dalle nuvole e un agente con mille personalità e passaporti falsi.
Allo stesso tempo è un modo per innervosire Pyongyang, che proprio il 16 febbraio celebrava la nascita di Kim Jong-Il, l’anello di congiunzione tra Jong-Nam e Jong-Un. Come detto i sudcoreani conoscevano bene le mosse di Kim Jong-Nam e questo è un elemento da tenere in considerazione.
Inoltre, è non sono mai banali questi interventi, sul giornale Kyunghyang Shinmun di Seul il 2 febbraio (undici giorni prima della morte) è passato un articolo in cui si sosteneva che Jong-Nam stava lavorando da intermediario fra il fratellastro e la presidentessa sudcoreana Park Geun-Hye.
5. Vittima di debiti di gioco
Le modalità dell’agguato fanno pensare a qualcosa di dilettantesco. Ad una questione ben meno importante di un affare di stato. Ad esempio qualche debito non pagato. Come detto Kim Jong-Nam era vittima dei suoi eccessi. Dalle scorribande in Giappone, alla vita da nababbo a Macao, la Las Vegas d’Oriente, dove nei casinò era solito spendere cifre considerevoli.
Pare inoltre che la linea di credito aperta con Pyongyang sia stata chiusa qualche anno fa. Il fatto che le assalitrici siano state manovrate da qualcuno ormai pare evidente.
Questa teoria è supportata dal deputato sudcoreano Kim Jong-Dae, secondo il quale la morte di Jong-Nam è stata causata da un regolamento di conti con una banda criminale,
Allo stesso tempo rimaniamo dell’idea che nessun servizio segreto al mondo, che possa considerarsi serio, si affiderebbe a così poca professionalità (Dong è stata arrestata il giorno dopo mentre cercava l’amica nello stesso aereoporto!), soprattutto se il bersaglio venisse considerato così tanto importante.
Poca professionalità, è vero, ma dietro la apparente poca professionalità si potrebbe nascondere di più, proprio perché è “poca professionalità”… d’altronde non sappiamo come agiscono i servizi segreti sudcoreani.
Già, sudcoreani, perché a guardarla nell’insieme c’è una sola cosa che emerge chiara: la Corea del sud sapeva. E se sapeva allora significa proprio che sa!