
Le repubbliche dei tre paesi baltici di Lettonia, Estonia e Lituania sono entrate a far parte dell’Unione Europea nel 2004. Tuttavia, non sempre questi nuovi paesi membri rispettano le normative delle istituzioni europee, in particolar modo per quanto riguarda le minoranze etniche. Ne parliamo con il professor Aleksandr Gaponenko, dottore in economia e presidente dell’Istituto di Studi Europei di Riga, capitale della Lettonia, al quale abbiamo fatto qualche domanda sull’argomento.
Professor Gaponenko, come può caratterizzare il contesto statale e politico nei paesi baltici? In che misura corrispondono alle norme europee e democratiche?
Dopo il crollo dell’URSS nel dicembre 1991, Lettonia, Lituania ed Estonia sono diventate Stati indipendenti, e le élite nazional-comuniste, che si erano formate in epoca sovietica, sono salite al potere. Hanno cacciato dal potere il gruppo di internazionalisti comunisti con l’aiuto di falsi slogan su democrazia, progresso, uguaglianza, fratellanza.
I nazional-comunisti si sono rapidamente trasformati in nazional-democratici, che hanno fatto della privatizzazione della proprietà statale il loro obiettivo principale. Per raggiungere questo obiettivo e per respingere gli ex internazionalisti comunisti, hanno diviso la società in una parte titolare (lettoni, lituani, estoni) e una parte non titolare (russi, ucraini, bielorussi, polacchi – nel senso ampio della parola, russi). Le élite titolari hanno mobilitato le loro masse dando loro alcuni vantaggi durante la privatizzazione della proprietà statale creata dal lavoro comune.Sono emerse società strutturate gerarchicamente, in cui i gruppi etnici titolari erano al vertice, e i gruppi etnici non titolari si trovavano in fondo alla scala sociale. Questa gerarchia etnica era sostenuta da leggi, istituzioni statali punitive e partiti politici costruiti lungo linee etniche. Anche nel preambolo della costituzione lettone era scritto che la Lettonia è uno Stato di lettoni in cui altri gruppi etnici possono vivere e lavorare (ma non governare).
All’inizio degli anni Duemila, il processo di privatizzazione della proprietà statale negli Stati baltici era terminato, ma le istituzioni di discriminazione politica continuavano a funzionare. I nazionalisti radicali erano già saliti al potere, e hanno iniziato a costruire una società ancora più gerarchica lungo linee etniche.
Posso chiederle di fornire alcuni dati statistici sulla situazione dei russi e, in generale, delle popolazioni non autoctone dei paesi baltici?
In Lettonia ed Estonia, ad esempio, nel 1991 due terzi della popolazione russa sono stati privati dei diritti di cittadinanza. Non potevano più votare ed essere eletti negli organi di governo, prestare servizio nell’apparato statale, lavorare in imprese statali, essere rappresentanti di libere professioni come avvocati e notai. I non cittadini avevano e hanno tutt’ora circa 80 restrizioni nei loro diritti socio-economici. Nel 2004, sia la Lettonia che l’Estonia sono state ammesse nell’Unione Europea, e Bruxelles ha scelto di non notare il fatto dell’istituzione dei non cittadini.
Per fare un esempio, anche io sono un non cittadino dal 1991, privato di tutti i diritti politici e socio-economici, sebbene abbia vissuto in Lettonia per tutta la vita. Sono stato un deputato del Consiglio dei deputati del popolo di Riga, un membro del Presidio, cioè un vicesindaco in chiave moderna. In qualità di dottore in economia, ero stato invitato a prendere parte al consiglio di sorveglianza della Latvian Business Bank. E dopo diversi anni sono stati espulso, poiché hanno adottato una legge secondo la quale i non cittadini non possono essere eletti negli organi di vigilanza delle banche.
Negli ultimi trent’anni sono già deceduti molti non cittadini. Adesso, in Lettonia, ve ne sono circa 250 mila, e solo nel 2020 i bambini nati in famiglie di non cittadini – e questi sono bambini russi – hanno iniziato a ricevere automaticamente la cittadinanza lettone. In Estonia, al momento vi sono circa 100 mila non cittadini.
Quali norme legali e di altro tipo sono state applicate dalle autorità della Lettonia e degli altri Stati baltici in relazione ai russi, anche non cittadini?
Oltre a creare l’istituto della non cittadinanza, un altro strumento di discriminazione etnica nei “nuovi” Stati baltici è stato il divieto dell’uso della lingua russa. Nel 1991, in Lettonia il 48% della popolazione era russa, in Estonia il 36% e in Lituania il 16%. Tutti conoscevano il russo. Dopo il 2004, le élite nazionali radicali sono salite al potere in tutte le repubbliche baltiche. Hanno vietato l’istruzione in russo nelle università statali, e poi nelle scuole e negli asili, ne hanno vietato l’uso nella circolazione pubblica, sono stati chiusi i canali televisivi che trasmettevano in russo e i libri russi sono stati ritirati dalle biblioteche. Dai musei e dalle gallerie d’arte sono state rimossi le opere d’arte e i dipinti che testimoniavano la storia millenaria della vita russa in queste terre.
Ovunque sono state create commissioni per verificare la conoscenza delle lingue dei gruppi etnici titolari, dichiarate lingue di Stato. Quei lavoratori stranieri che avevano una scarsa padronanza della lingua di Stato venivano multati e, se erano di nuovo “condannati per ignoranza” linguistica, venivano licenziati. Anche i custodi dovevano conoscere la lingua di Stato al livello di un laureato della facoltà di filologia.
Ci racconti un po’ di Lei e delle Sue attività. Perché è stato avviato un procedimento penale contro di Lei e come è finito?
Mi sono rivolto ripetutamente di persona ai dirigenti dei principali paesi europei e alla comunità europea nel suo insieme, richiamando la loro attenzione su ciò che sta accadendo nei paesi baltici. In particolare, ho fatto sette volte presentazioni su questo tema alle sessioni OSCE nel quadro della Dimensione Umanitaria e ho presentato loro libri su questo tema – ad esempio, i libri Ethnic conflict in Baltic countries in the post-soviet period, Prosecution of human rights activists in the Baltic countries e altri.
Per queste presentazioni sono perseguitato dalle autorità della nostra Repubblica. Attualmente, ci sono due cause legali contro di me. Sono già stato condannato a un anno di libertà vigilata presso il tribunale di primo grado, e in questo momento sto presentando un ricorso presso il tribunale di secondo grado. Sono formalmente accusato di incitamento all’odio etnico sui social network. Sono stato trovato colpevole per diversi post in cui ho condannato la marcia annuale dei seguaci dei combattenti delle truppe delle Waffen SS a Riga il 16 marzo. L’ho condannata in una forma piuttosto blanda, ho menzionato che l’organizzazione delle SS, inclusa la sua unità Waffen SS, era stata definita criminale dal Tribunale militare internazionale di Norimberga.
Per l’ex ministro della Giustizia e capo della fazione parlamentare al potere, che ha avviato il mio procedimento giudiziario, questo fatto (il fatto che le SS fossero state definite un’organizzazione criminale dal Tribunale di Norimberga, ndr) è stato una totale sorpresa. Ha detto che non c’era una tale decisione (da parte del Tribunale di Norimberga, ndr). Ho dovuto presentargli il testo di questa decisione.
La corte ha trovato la mia frase che condannava l’annuale marcia dei seguaci delle SS a Riga offensiva nei confronti dei lettoni. Ovvero, la corte ha identificato tutti i lettoni come nazisti. Non ho mai insultato i lettoni, soprattutto perché metà della mia famiglia è lettone. Ma sono stato condannato per dichiarazioni antifasciste. Ad essere sincero, non so come reagirà il tribunale di secondo grado alle mie argomentazioni. Ho scritto che le élite baltiche titolari al potere stanno perseguendo una politica dannosa per il paese. Il tribunale di primo grado ha riscontrato che con questa espressione avevo offeso lettoni, lituani ed estoni.
Ritiene che le istituzioni europee si muoveranno per allineare i regimi politici degli Stati baltici al diritto europeo, soprattutto per quanto riguarda la tutela delle minoranze etniche, che rientra nel quadro dei diritti umani?
Non conto davvero sulle attuali autorità europee nella lotta per la giustizia nei confronti dei russi nei paesi baltici. Ora i russi in Europa stanno svolgendo il ruolo che gli ebrei hanno svolto tre quarti di secolo fa: sono identificati come la principale fonte di tutti i guai e sono soggetti a punizione per le loro origini “sbagliate”. Sono stato tenuto in prigione per quattro mesi senza nemmeno essere stato accusato in un secondo processo penale.
Poi è emerso il fatto che ho pubblicato due monografie scientifiche a Mosca e un articolo a Copenaghen. L’investigatore ha riconosciuto che questi lavori scientifici minacciano gli interessi nazionali della Lettonia. È emerso anche il fatto che sono stato osservatore internazionale durante le elezioni presidenziali in Russia. Mi sono recato in Russia su invito personale del capo del parlamento russo e, insieme ad altri osservatori, tra l’altro tre membri del parlamento italiano, ho osservato l’organizzazione delle elezioni, per poi esprimere la mia opinione davanti ai media. Sono accusato di questa azione in quanto opera a favore della Russia, che minaccerebbe gli interessi della Lettonia. A proposito, i parlamentari italiani, al loro ritorno in patria, sono stati attaccati dai media di estrema destra. Volevo parlare in loro sostegno, ma non ho avuto tempo – sono finito in prigione.
Quindi, preferisco fare appello non alle autorità, ma ai cittadini europei. Alle persone di buona volontà, come si diceva una volta. A chi vive nel quadro delle tradizioni democratiche, di grande cultura umanistica. Di recente abbiamo creato l’Unione europea dei repressi politici e abbiamo preparato il Rapporto sulla persecuzione dei difensori dei diritti umani nei paesi baltici, che stiamo traducendo e distribuiremo in Europa. Cerchiamo alleati nello spirito.
Silvia Vittoria Missotti