Com’era facile prevedere la manifestazione denominata Family Day, tenutasi a Roma sabato scorso, ha suscitato un vespaio di polemiche. Dal punto di vista della partecipazione è stato un grande successo: non c’era il milione di persone vantato dagli organizzatori, ma le 400.000 presenze riferite dal Viminale non sono da sottovalutare.
Le critiche sono state pesanti, la manifestazione è stata definita, tra l’altro, bigotta e medievale: parole che esprimono un giudizio di merito duro, ma sul quale si può essere più o meno d’accordo. Scalfarotto, esponente del PD e sottosegretario alle Riforme del governo Renzi si è invece spinto a definirla “inaccettabile”: nonostante il nome della sua formazione politica d’appartenenza è andato contro i principi della democrazia, per i quali
ogni opinione dovrebbe avere cittadinanza.
In un sistema democratico neanche l’idea più aberrante dovrebbe essere definita inaccettabile, aggettivo che piuttosto si potrebbe riservare a una proposta che si ritienga assurda, oggi però si tende ad usare in tali casi una parola ancora più forte come “irricevibile”: queste scelte semantiche hanno lo scopo, più che rigettare delle idee, di squalificare o addirittura demonizzare l’inerlocutore.
Se la parola inaccettabile è perlomeno imprecisa, oltre che usata in genere con malizia, forse si potrebbe ammetterne l’uso, in un senso certo molto estensivo, per riferirsi ad affermazioni che siano ritenute dalla quasi totalità delle persone assurde ed ingiuste: non si tratta però del caso in questione.
I manifestanti del Family Day sono stati accusati di non voler affermare dei diritti, ma soltanto toglierne ad altri: quest’accusa non sembra avere fondamento per quel che riguarda l’opposizione alla genitorialità da parte di coppie omosessessuali.
Il discorso è diverso per quel che riguarda il matrimonio, sebbene si possano fare obiezioni di tipo nominalistico, per cui sarebbe meglio parlare di unione civile per distinguerle dal matrimonio che contiene la radice mater.
Nel rigettare la richiesta degli attivisti Glbt di poter avere dei figli invece uno degli argomenti è la difesa del diritto dei bambini di crescere con una madre ed un padre: si avrebbero allora dei diritti in contrasto e quello dei minori dovrebbe prevalere.
Forse è una forzatura definire un diritto la presenza di padre e madre, piuttosto lo si può considerare una condizione ideale, che purtroppo gli accidenti della vita negano a qualcuno.
Del resto negi ultimi anni si è assistito a un uso eccessivo del termine diritto, per fare soltanto un esempio è stato definito come un diritto la salute, che è piuttosto un equilibrio, uno stato di grazia: molto più sensato è parlare invece di diritto alla cura.
Crescere con i propri genitori può essere, più che un diritto, una benedizione, ancor di più se si tratta di persone amorevoli e capaci.
Gli orfani prima e poi i figli di divorziati sono sempre stati considerati dei bambini sfortunati, una convinzione che potrebbe anche sembrare ingenua, ma che ha trovato ripetute e solidissime conferme nella ricerca scientifica: numerosi studi hanno ribadito che tali condizioni costituiscono un fattore di rischio per la salute e il benessere dell’individuo. Bisogna qui intendersi su che cosa significhi l’espressione fattore di rischio e per comprenderlo con chiarezza si pensi a questo classico esempio: la separazione dei genitori rappresenta un fattore di rischio per l’insuccesso scolastico dei loro figli, lo rende più probabile. Ciò significa che durante l’anno scolastico nel quale i genitori si separano i figli peggiorano il loro rendimento a scuola in un una misura che è significativa dal punto di vista statistico. Ci sono degli alunni i cui risultati non risentono, altri che addirittura migliorano, magari buttandosi nello studio per non pensare ad una situazione esistenziale che li fa soffrire, ma sono di più quelli che peggiorano e se si prende in considerazione un numero abbastanza grande di casi, quello che in metodologia si definisce un campione numericamente rilevante, si rileva che il calo nelle prestazioni avviene in una misura abbastanza grande da escludere che ciò sia dovuto al caso.
In generale ci sono molte condizioni di cui si è dimostrato che costituscono fattori di rischio, ovvero aumentano la probabilità di incorrere in qualche problema o danno.
Si deve distinguere tra i concetti di pericolo e di rischio, che risultano sostanzialmente diversi in quanto il pericolo contiene in sé la certezza del verificarsi dell’evento avverso, mentre il rischio implica solo la possibilità.
La ricerca scientifica ha rilevato che le condizioni di orfano e di figlio di separati o di divorziati sono fattori di rischio per un’ampia gamma di problematiche: ciò è confermato da numerosi studi, oltre che corroborato da conferme teoriche, nonché dal buon senso. Poi, per fortuna, ci sono molti giovani che riescono ad assorbire i traumi in maniera più che positiva ed hanno una vita felice: anche se non si potrà mai sapere cosa avrebbero potuto fare senza quegli sventurati eventi, se forse avrebbero potuto vivere ancora meglio, si tratta di casi che danno speranza, ma non inficiano la validità generale del dato statistico.
E’ stato dimostrato che sono dei fattori di rischio anche una serie di caratteristiche dei genitori, come la conflittualità coniugale, la bassa condizione socioeconomica, condizioni patologiche dei genitori, lo scarso tempo dedicato ai figli e così via. Tra i vari fattori di rischio, ovviamente si possono distiguerne alcuni più gravi di altri.
Ora, la domanda da porsi è: per un bambino crescere con due genitori dello stesso sesso costituisce o meno un fattore di rischio?
Nel gennaio del 2013 la Prima sezione civile della Corte di Cassazione ha definito “mero pregiudizio” affermare “che sia dannoso per l’equilibriato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”, in quanto mancherebbero “certezze scientifiche e dati di esperienza” che lo dimostrino.
ll pronunciamento si riferiva ad un caso specifico, ma in molti hanno visto in tale dichiarazione un’apertura all’adozione da parte di persone dello stesso sesso in Italia. Sorprende un po’ il riferimento all’assenza di certezze scientifiche, innanzitutto perché parlando di minori si dovrebbe essere cauti e l’assenza di prove della dannosità di una situazione non dovrebbe essere sufficiente per sdoganarla, simili decisioni andrebbero rinviate a un momento in cui vi siano evidenze positive di non dannosità, non volendo qui limitare i diritti di chichessia, quanto proteggere la salute dei bambini.
Costruire una certezza scientifica è un’opera che richiede tempo e lo sforzo di molti scienziati, spesso in feroce competizione tra loro: ottenere dei dati isolati non conta nulla, devono essere replicati più volte e poi vanno comunque interpretati alla luce di una teoria che possa spiegarli. La ricerca della verità dovrebbe animare l’attività scientifica, ma spesso la gara per ottenere stanziamenti e gli interessi ideologici in campo ne inficiano la purezza. Per quel che riguarda il nostro tema d’interesse, tra gli psicologi dello sviluppo sussiste uno scontro tra coloro che vedono nella genitorialità omosessuale un rischio per i figli e quelli che non la considerano affatto tale: gli uni e gli altri hanno condotto studi e divulgato risultati utili a far prevalere il proprio paradigma.
Analizzando la letteratura scientifica in merito le posizioni contrarie alla genitorialità omosessuale sembrerebbero in vantaggio per quantità e qualità di studi prodotti, ma lo scontro tra le due posizoni teoriche è lungi dall’essere terminato, anche perché il numero di casi in cui bambini vengono allevati da coppie di omosessuali è ancora piuttosto limitato e non è facile ottenere campioni numerosi, inoltre lo studio dello sviluppo necessita di ricerche longitudinali, ovvero prolungate nel tempo.
Non neghiamo l’esistenza dell’omofobia in parte della nostra società, però in considerazione dei fatti succitati sosteniamo che anche persone del tutto scevre da un simile pregiudizio possano essere contrarie alla genitorialità omosessuale, per un razionale motivo di precauzione e per un principio di civiltà in virtù del quale i bisogni dei bambini devono sempre prevalere sui desideri degli adulti.