In un pezzo pubblicato dal giornale inglese ‘The Guardian’ nell’agosto del 1998, Decca Aitkenhead ha scritto: “Se c’è una cosa che fa scendere in piazza la gente di questi tempi è la voce che arriverà un pedofilo”. Nell’articolo si raccontava delle reazioni scatenate dalla scarcerazione di un pedofilo, in particolare di un fatto verificatosi nella città di Yeovil, nell’Inghilterra sud-occidentale, dove una folla composta di persone che in precedenza mai o quasi mai s’erano impegnate in un’azione pubblica aveva assediato per ore il Commissariato locale, urlando frasi come “uccidete il bastardo”.

Alla giornalista, ampiamente citata ne ‘La solitudine del cittadino globale’ (uscito in Italia per ‘Feltrinelli’ nel 2000) da Zygmunt Bauman, che le ha riconosciuto “un certo intuito sociologico”, riconosciamo qui anche un buon intuito psicologico, che le ha permesso di spiegare cosa il cosidetto mostro offre alla gente: “la rara opportunità di odiare davvero qualcuno, di gridare il proprio odio in pubblico, senza rischiare assolutamente nulla”. Esprimere il proprio odio è anzi in questo caso percepito come una nota di merito: “I gruppi di persone che si possono odiare continuando a essere perbene sono ormai pochi. Quello dei pedofili è perfetto”.

Uno spettacolo davvero triste, quello offerto da chi mostra indignazione, sentendosi pulito soltanto perché può proiettare tutto il male fuori, nel mostro. Ma perché ciò accada è necessaria un’ulteriore condizione: il mostro non dev’essere soltanto “fuori”, dev’essere anche abbastanza lontano. Molti hanno commentato il terribile caso di Caivano sottolineandone i silenzi, più che l’incredibile efferatezza degli atti.
Fare l’associazione tra la periferia di Napoli, la camorra e l’omertà è però troppo facile.

Non mettiamo in dubbio che la particolare situazione del quartiere abbia influenzato gli eventi, ma non si deve fare l’errore di collegare la specifica omertà sugli abusi a danno dei minori al degrado sociale: si tratta piuttosto, in territori dove lo stato ha abdicato in particolare, di un atteggiamento generale, che riguarda cioé ogni tipo di condotta. La piazza antistante al “palazzo degli orrori” è un importante luogo di spaccio, perciò per le regole della criminalità organizzata di quello che accade lì non si deve parlare, punto e basta. E la prescrizione del silenzio non vale solo per ciò che riguarda la droga, ma è totale.

Non è un caso che a rompere il muro del silenzio siano stati dei bambini: sono ancora troppo innocenti per comprendere certe regole non scritte, non hanno dovuto superare dei limiti, poiché quei limiti in loro non si sono ancora formati. Certo per poter parlare hanno dovuto essere portati ad abitare in una casa-famiglia, fuori dal loro contesto d’origine, e poi aiutati da valenti psicologi, cui vanno i nostri complimenti, ma con degli adulti è molto probabile che tutto ciò non sarebbe bastato.

Dalla letteratura scientifica sulla pedofilia si può evincere che il fenomeno è del tutto trasversale dal punto di vista del livello sociale, economico e culturale: molti predatori sono persone del tutto insospettabili. La gran parte dei casi si consuma entro la cerchia famigliare, intesa in senso allargato, quindi non solo a causa di genitori o di altri parenti (in questi casi ci si dovrebbe ricordare di usare anche la parola ‘incesto’), ma anche di altri adulti che per un qualsiasi motivo hanno un accesso privilegiato alle loro prede, sia per prossimità, come gli amici di famiglia e i vicini di casa, o per motivi professionali, come ad esempio gli insegnanti, gli allenatori, i medici e poi gli unici che vengono continuamente citati, ovvero i sacerdoti.

Il problema della pedofilia nella Chiesa, ben inteso, esiste davvero, ma da questo punto di vista la categoria di persone più pericolose, dati alla mano, è rappresentata dai patrigni: lo stesso Raimondo Caputo, accusato dell’assassinio della piccola Fortuna Loffedo, si trovava già in carcere dallo scorso novembre per aver abusato delle figlie della convivente, Marianna Fiabozzi, accusata anch’essa di complicità per aver coperto l’amante e perciò agli arresti domiciliari. Storie del genere sono sorprendentemente comuni, molto spesso al di fuori di ambienti sociali così difficili, dove magari non c’è traccia di omertà inerente ad altri reati, eppure la si applica a favore degli abusatori sessuali.

Se definiamo ‘mostri’ i predatori sessuali, che dire delle loro compagne quando non solo li proteggono, ma lo fanno ai danni dei propri figli? Usare anche il più infamante dei nomi però non risolve nulla: è doveroso punire, ma non dobbiamo cadere nella tentazione di pulirci ancora la coscienza proiettando tutto il male al di fuori di noi.
La verità è che fatti così tremendi e in nessun modo giustificabili sarebbero meno probabili, se davvero rispettassimo i bambini e ci preoccupassimo dei loro diritti, cosa che nella nostra società avviene avviene solo in lodevoli eccezioni, ma nella gran parte dei casi, come abbiamo già affermato in un precedente articolo (“I diritti dei bambini, siamo sicuri che li rispettiamo davvero“) è soltanto un atteggiamento di facciata.

Michele Orsini