Senza girarci troppo intorno, diciamoci la verità: queste elezioni politiche nel Regno Unito hanno decretato la sconfitta personale di Theresa May.
La Premier Britannica, dopo aver ufficialmente attivato l’art.50 del Trattato di Lisbona lo scorso 29 marzo, il 18 aprile successivo aveva annunciato a sorpresa le elezioni anticipate. Si diceva che l’aveva fatto da una posizione di forza, fiduciosa nei circa 20 punti percentuali di vantaggio dei Tories sui Laburisti nei sondaggi, che avrebbero decretato una sua vittoria a mani basse e ne avrebbero rafforzato la leadership in vista dell’inizio dei negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Ma le cose non sono andate come la May sperava, mettiamoci il terrorismo dilagato in questi mesi che ha mostrato tutte le falle nel sistema di sicurezza della Gran Bretagna, mettiamoci anche l’incapacità dei conservatori di interpretare il voto del referendum sulla Brexit dal punto di vista sociale ed economico, tutto il vantaggio che i sondaggi fino a poco tempo fa davano ai Tories è svanito tutto di un colpo.
Ecco così che i Conservatori, pur attestandosi, su base nazionale, come primo partito con il 42.45% dei consensi (+5.5% rispetto al 2015), rispetto alle elezioni precedenti perdono ben 12 seggi passando dai 330 ai 318 seggi.
Vincitore morale della contesa elettorale è Jeremy Corbyn, leader dei Labour, che riesce a far ottenere ai suoi il 39.99% dei consensi (+9.95% 2015), traducibili nel sistema maggioritario britannico in 261 seggi, 31 in più rispetto alla scorsa legislatura.
Data l’impossibilità di formare un governo da soli, i Conservatori sono costretti a condividere l’esperienza del nuovo governo con un alleato. E’ praticamente scontato l’appoggio del DUP, il partito unionista nordirlandese, nazionalista, conservatore e convintamente euroscettico, che potrà contare su 10 seggi in parlamento. Dalle prime indiscrezioni, si suppone che l’appoggio del DUP non sarà incondizionato e si limiterà solo ad alcuni temi e provvedimenti che saranno oggetto di negoziato tra le due forze politiche.
Insomma, invece di rafforzarsi, Theresa May evidentemente ha indebolito la sua leadership e questo probabilmente le procurerà qualche grana in più. Tuttavia, grazie all’alleanza con il DUP, la Brexit non sarà messa in discussione, ma anzi potrebbe trasformarsi in una “Hard Brexit”.
Alcuni, commentando a caldo i risultati, hanno suggerito l’ipotesi che la sconfitta personale della May in queste elezioni significasse anche la sconfitta della Brexit e che se si ripetesse ora il referendum di un anno fa, probabilmente vincerebbe il Remain.
Questa ipotesi è totalmente sbagliata e basta presentare una sola prova per smentirla: il risultato dello Scottish National Party (SNP) guidato da Nicola Sturgeon.
La leader degli indipendentisti scozzesi è da tempo diventata la paladina degli europeisti, ha contrastato convintamente la Brexit dopo il referendum dello scorso anno e forte del voto europeista degli scozzesi ha più volte minacciato un nuovo referendum per l’indipendenza, accolto a braccia aperte da Berlino e da Bruxelles che potevano così usarlo come arma per impedire l’uscita della Gran Bretagna dalla UE.
Probabilmente, è anche per calmare le spinte indipendentiste irlandesi e scozzesi che Theresa May decise di indire le elezioni politiche anticipate. E da questo punto di vista, il Primo Ministro britannico ha raggiunto il suo obiettivo: lo Scottish National Party ha infatti ottenuto il 3,04% dei consensi, l’1,66% in meno rispetto alle passate elezioni politiche, perdendo così 19 seggi rispetto ai 54 della ormai passata legislatura. I voti scozzesi sono stati praticamente spartiti tra Labour e Tories e i sogni di un nuovo referendum indipendentista sono sfumati quasi definitivamente. L’icona del “Remain” è praticamente tornata nel guscio in cui si trovava prima del referendum sulla Brexit.
Nuovo idolo degli europeisti globalisti diventa ora proprio Jeremy Corbyn, il quale è stato autore di un vero e proprio miracolo. Ma Corbyn non è un laburista tout court, non è un novello Tony Blair. Corbyn proviene dalla sinistra di partito, il suo programma aveva una forte impronta sociale tanto di essere a favore della nazionalizzazione dei settori economici strategici e nemmeno il suo “europeismo” è scontato, visto che all’epoca del referendum fu molto ambiguo riguardo alle sue posizioni e anche dopo non ha mai voluto sconfessare il risultato referendario, tanto da essere favorevole a una Brexit, anche se in stile “soft”.
Ed è proprio il tema “sociale” la chiave di queste elezioni politiche in UK. Ma è anche la chiave del referendum sulla Brexit.
Tutti hanno creduto che il voto della Brexit fosse legato esclusivamente al tema dell’immigrazione. I fautori del “Remain” avevano tacciato di xenofobia e ignoranza i pensionati e gli operai che hanno decretato il trionfo del “Leave”. Ma quel voto testimoniava anche l’insofferenza della working class, che sperava in un miglioramento delle condizioni sociali ed economiche grazie alla regolamentazione dell’immigrazione e alla svalutazione della sterlina. La stessa working class che ha votato “Leave” al referendum, ha votato per Corbyn alle elezioni politiche.
E’ questo l’errore più grande commesso da Theresa May e dai Tories: hanno creduto che il voto della Brexit fosse solo un voto contro l’immigrazione europea e non hanno pensato che la working class stesse chiedendo al governo di cambiare la politica economica. Invece la May si è creduta una novella Margaret Thatcher e non ha cambiato di una virgola la politica economica liberista di David Cameron.
Dopo la Brexit, la svalutazione della sterlina ha fatto crescere l’economia e ha fatto calare la disoccupazione, ma il governo non ha fatto nulla per ridurre le disuguaglianze tra città e periferia, tra ceto borghese-finanziario e working class. Anzi, il mantra conservatore è stato il solito: riduzione della spesa pubblica, riduzione del disavanzo pubblico, contenimento del debito attraverso politiche di austerità.
Corbyn ha presentato un programma diametralmente opposto ed è quel programma che gli ha procurato il buon esito elettorale. E’ lo stesso programma che sta alla base della Brexit, è il programma richiesto dai ceti popolari, dal britannico di periferia, dal piccolo commerciante, dall’operaio. I fautori della globalizzazione non hanno motivo per esultare.
Marco Muscillo