La sua denuncia dell’avvento del capitalismo assoluto; del consumismo; di una sinistra e di una classe intellettuale tanto progressista quanto liberal-capitalista, che si disinteressa degli sfruttati e difende piuttosto gli sfruttatori; della perdita della sacralità dei sentimenti in nome del “laicismo consumistico”, sono oggi, drammaticamente, il pane quitidiano di una Italia e di una Europa senza più prospettive sociali, ovvero senza più prospettive socialiste.

Ecco che le parole del Pasolini che scriveva su “Le Vie Nuove” del 18 ottobre 1962, ci presentano la sua idea di recupero della tradizione, che è una tradizione marxista e rivoluzionaria, ma, in quanto tradizione, profondamente anti-moderna, e, come tale, critica nei confronti dei tradizionalisti e dei borghesi: “E’ un’idea sbagliata – dovuta come sempre alla mistificazione giornalistica – quella che io sia un…’modernista’. Anche i miei più seri sperimentalismi non prescindono mai da un determinante amore per la grande tradizione italiana e europea. Bisogna strappare ai tradizionalisti il Monopolio della tradizione, non le pare ? Solo la rivoluzione può salvare la tradizione: solo i marxisti amano il passato: i borghesi non amano nulla, le loro affermazioni retoriche di amore per il passato sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque, nel migliore dei casi, tale amore è decorativo, o ‘monumentale’, come diceva Schopenhauer, non certo storicistico, cioè reale e capace di nuova storia”.

Ed ecco come Pasolini qui parli già del concetto di amore, che esplica ancor meglio nel numero de “Le Vie Nuove” del successivo 22 novembre 1962, ove peraltro spiega il connubio fra i concetti di “tradizione” e di “marxismo”: “Tradizione e marxismo. Sì, insisto: solo il marxismo salva la tradizione. Oh, ma capiscimi bene ! Per tradizione intendo la grande tradizione: la storia degli stili. Per amare questa tradizione occorre un grande amore per la vita. La borghesia non ama la vita: la possiede. E ciò implica cinismo, volgarità, mancanza reale di rispetto per una tradizione intesa come tradizione di privilegio e come blasone. Il marxismo, nel fatto stesso di essere critico e rivoluzionario, implica amore per la vita, e, con questo, la revisione rigenerante, energica, amorosa della storia dell’uomo, del suo passato”.

Pasolini è dunque un intellettuale marxista antimoderno dall’impostazione romantica e sentimentale e lo si comprenderà ancor meglio nel 1976, con le sue “Lettere luterane”, scritte dalle colonne del “Corriere della Sera” e de “Il Mondo”, ove egli critica il progresso, che considera un falso progresso; il conformismo; il consumismo e l’avvento della televisione. In particolare una frase contenuta nelle sue “Lettere” è, a parer mio, particolarmente significativa: “Nell’insegnamento che ti impartirò io ti sospingerò a tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza di ogni rispetto per ogni sentimento istitutivo. Tuttavia il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci”.

Il fulcro dell’insegnamento pasoliniano – anticlericale sì, ma non antispirituale – è dunque la ricerca del Sacro e del Sentimento, oltre la fredda ragione, oltre quel “laicismo consumistico” che ha trasformato gli esseri umani in adoratori della materia, del danaro, del consumo.

E se andiamo a rileggere il testo dell’intervento che Pier Paolo Pasolini avrebbe dovuto tenere al Congresso del Partito Radicale del 4 novembre 1975 (testo che fu letto postumo, in quanto Pasolini fu barbaramente ucciso due giorni prima), scorgiamo delle frasi di una profondità e lungimiranza politico-economica sbalorditiva. Oltre a fare l’elogio delle persone che Pasolini definisce “adorabili”, ovvero quelle che non sanno di avere dei diritti, nel “Paragrafo Quinto” il Nostro – fra le altre cose – scrive: “I bisogni indotti dal vecchio capitalismo erano in fondo molto simili ai bisogni primari. I bisogni invece che il nuovo capitalismo può indurre sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Ecco perché, attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare storicamente un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa. Va aggiunto che il consumismo può creare dei “rapporti sociali” immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clerico-fascismo un nuovo tecno-fascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi anti-fascismo); sia, com’è ormai più probabile, creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili. In ambedue i casi lo spazio per una reale alterità rivoluzionaria verrebbe ristretto all’utopia o al ricordo: riducendo quindi la funzione dei partiti marxisti ad una funzione socialdemocratica, sia pure, dal punto di vista storico, completamente nuova”.

E qui, in queste poche righe, sembra di leggere la profezia di un Pasolini che sembra anticipare il mutamento in senso liberal-capitalista (o “socialdemocratico”, come lo definisce Pasolini) dei partiti un tempo marxisti e socialisti europei: dagli eredi del PCI, oggi PD, finanche sino al PS francese e al PSOE spagnolo e non solo, ormai partiti in difesa del capitalismo assoluto e spesso più di destra della destra liberale (si pensi anche ai recenti elogi della sinistra al Senatore USA della destra guerrafondaia John McCain).
Ecco che al “Paragrafo Sesto” del discorso che non potè tenere, Pasolini, rivolgendosi a Pannella e Spadaccia, scrive: “Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne di cultura”.

E nel “Paragrafo Settimo”, parlando dei diritti civili, dell’aborto e del divorzio, il Nostro, scrive fra l’altro: “(…) A proposito delle difesa generica dell’alterità, a proposito del divorzio, a proposito dell’aborto, avete ottenuto dei grandi successi. Ciò – e voi lo sapete benissmo – costituisce un grande pericolo. Per voi – e voi sapete benissimo come reagire – ma anche per tutto il paese che invece, specialmente ai livelli culturali che dovrebbero essere più alti, reagisce regolarmente male (…)”.

E prosegue nel “Paragrafo Ottavo, con frasi di una attualità incredibili: “(…) Io vi prospetto – in un momento di giusta euforia delle sinistre – quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova “trahison del clercs”: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita.

Vi richiamo a quanto dicevo alla fine del paragrafo quinto: il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione “creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili”.

Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxistizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto della bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera”.

E’ il Pasolini in dialogo con Pannella, ma anche critico nei confronti dei radicali che, se allora sembravano difendere i diritti di chi non sapeva di avere diritti, via via diventeranno partito del capitalismo assoluto, senza aver compreso o avendo del tutto dimenticato la lezione pasoliniana che poneva al centro la contrapposizione fra lo sfruttato e lo sfruttatore e, il Nostro, prenderà sempre le difese dello sfruttato e lo farà, forse fra i pochi intellettuali marxisti finanche del suo tempo – assieme al filosofo comunista francese Michel Clouscard – denunciando l’avvento di quel “nuovo fascismo” che nei fatti sarebbe stato il consumismo, l’edonismo, il materialismo borghese, il capitalismo assoluto.

In tal senso Pasolini nel 1963 disse: “Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca della storia dell’uomo: l’epoca dell’alienazione industriale. Lei ne è già una vittima, in quanto il suo giudizio non è libero proprio nell’atto in cui crede di meglio attuare la propria libertà; io sono un’altra vittima in quanto la mia libera espressione viene fatta passare per ‘altra da quella che essa è’. Il mondo si incammina per una strada orribile: il neocapitalismo illuminato e socialdemocratico, in realtà più duro e feroce che mai.”.

Le parole di Pier Paolo Pasolini – queste e molte altre – poeta, intellettuale anticonformista, regista, narratore e cantore delle periferie, degli sconciati, dei diseredati, della civiltà dell’innocenza e di quella contadina, sono ancora oggi le uniche che ci guidano, illiminandoci, nella fitta nebbia del finto progresso, della finta libertà, del Capitale.

Pier Paolo non è mai morto. Perché Pier Paolo parla ancora al nostro cuore.

Luca Bagatin

Luca Bagatin
Nato a Roma il 15 febbraio 1979, blogger dal 2004 (www.lucabagatin.ilcannocchiale.it e oggi www.amoreeliberta.blogspot.it), in passato collaboratore del quotidiano nazionale "L'Opinione delle Libertà" e de "La Voce Repubblicana", oltre che di riviste di cultura esoterica e Risorgimentale. Ha fondato nel maggio 2013 il pensatoio (anti)politico e (contro)culturale "Amore e Libertà (www.amoreeliberta.altervista.org - www.amoreeliberta.blogspot.it). E' autore dei saggi "Universo Massonico" con prefazione del prof. Luigi Pruneti; "Ritratti di Donna" con prefazione di Debdeashakti e di "Amore e Libertà - Manifesto per la Civiltà dell'Amore" con prefazione del principe Antonio Tiberio di Dobrynia.