Le elezioni municipali spagnole dello scorso 24 maggio hanno molto probabilmente segnato l’ “inizio della fine” del granitico bipartitismo spagnolo, come giustamente sottolineato dal leader di Podemos Pablo Iglesias, uno dei principali vincitori di questa tornata elettorale. Le votazioni hanno riguardato le principali città, per cui, pur trattandosi di un voto locale, sono state un antipasto di ciò che si prospetta per le elezioni generali previste per novembre 2015. Il Partito Popolare (al governo da quattro anni con il primo ministro Mariano Rajoy) e il Partito Socialista Operaio Spagnolo sono entrati in crisi e con essi il sistema che li aveva visti alternarsi alla guida del paese dal 1981, spartendosi quasi sempre l’80% e oltre dei consensi.
Pur essendo formalmente uscita dalla recessione, la Spagna soffre una disoccupazione tra le più alte in Europa e i tagli allo stato sociale. Da quando nel 2011 esplosero le proteste degli “Indignados” contro la crisi economica e la casta politica, sono nati nuovi partiti nazionali che nell’ultimo anno si sono imposti rapidamente anche all’attenzione europea. Due su tutti: Podemos (“Possiamo”), il vero soggetto che ha dato forma alle richieste delle piazza indignate soprattutto di sinistra, e Ciudadanos (“Cittadini”) che ha invece raccolto perlopiù i delusi di centro-destra. Podemos è un partito populista (e non è una connotazione negativa…) che ha fatto della critica all’austerità economica imposta dall’Ue una delle sue bandiere, insieme al rifiuto della classe dirigente – la “casta” – che ha governato la Spagna negli ultimi tre decenni. Ciò porta il partito a considerarsi oltre la destra e la sinistra, alla ricerca di modelli alternativi all’odierno liberismo imperante. Il suo leader Pablo Iglesias propone la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia, dice di voler cambiare radicalmente le regole europee e in particolare i vincoli della BCE, ricollegandosi in questo alla linea tenuta finora da Alexis Tsipras, e di voler uscire dalla NATO. Iglesias ha infatti criticato il ruolo avuto dagli USA e dall’UE nella crisi ucraina – la destabilizzazione del paese a seguito del pericoloso colpo di Stato di Maidan incoraggiato proprio dalle capitali occidentali – e le annesse sanzioni alla Russia che hanno danneggiato molte imprese europee. Podemos ha inoltre riconosciuto nei paesi dell’ALBA (l’alleanza bolivariana che riunisce il Venezuela, la Bolivia, l’Ecuador, Cuba e altri paesi latinoamericani impegnati nella costruzione del Socialismo del XXI secolo) una delle sue principali fonti di ispirazione, proponendo la costruzione di un’”ALBA mediterranea”. Queste posizioni non sono state certo ben viste dai media spagnoli e non (grazie ai quali tuttavia Podemos ha beneficiato di una sovraesposizione mediatica non indifferente), tanto da accusare alcuni esponenti del partito di essere al soldo del Venezuela e addirittura dell’Iran. Ma le proposte e il profilo entusiasta e carismatico dei suoi esponenti hanno fatto sì che Podemos in pochi mesi ottenesse l’8% alle elezioni europee del 2014 fino a diventare una delle principali forze politiche nelle elezioni locali di quest’anno, dove non ha presentato il proprio simbolo ma ha creato insieme ad altri nuove liste in suo sostegno, diventando i primi a Barcellona, davanti ai nazionalisti di sinistra catalani, e i secondi a Madrid. In entrambe le metropoli Podemos potrebbe veder eletti propri sindaci (in questo caso due donne) grazie ad accordi con altri partiti, tra cui addirittura il PSOE, un’alleanza in evidente controsenso con ciò che predica Podemos a livello nazionale ma che potrebbe essere giustificata in qualche modo a livello locale. Il PSOE e il PP, dal canto loro, insieme sommano appena il 50% dei voti, mostrando il crollo numerico del bipartitismo all’anglosassone che in Spagna si era insediato saldamente a differenza di Francia e Italia e che aveva abituato tutti a una certa “governabilità”. Anche il PP è stato intaccato, in buona parte dal nuovo partito dei Ciudadanos, una sorta di alternativa “moderata” a Podemos, tendente a far rimanere una pur serrata critica alla casta e alle diseguaglianze nei tradizionali confini del liberalismo, politico ed economico. Infine Izquierda Unida (la coalizione di sinistra che dal 1986 raggruppa il Partito Comunista Spagnolo e i suoi alleati) dopo anni di buona crescita, è stata ridimensionata proprio dal successo di Podemos, che infatti ha le proprie radici nel mondo dell’estrema sinistra iberica.
Anche in Spagna, insomma, soffia forte il vento dell’insofferenza e della sfiducia verso i tradizionali partiti e le classi dirigenti, con Podemos che può ragionevolmente essere ciò che il Front National è in Francia, il Movimento 5 Stelle e ormai la Lega Nord in Italia, l’UKIP in Inghilterra, SYRIZA in Grecia. Tutti questi movimenti infatti rappresentano in modi diversi una reazione alla crisi economica – aggravata, non curata dalle politiche europeiste – e alla perdita di sovranità. Podemos si è chiaramente posto tra gli obiettivi la riconquista della sovranità popolare, ormai dispersa nel caos organizzato della globalizzazione e svuotata sempre di più dallo strapotere di ristretti gruppi di potere, banche e multinazionali. Inoltre la vittoria di SYRIZA in Grecia ha mostrato che anche un partito anti-liberista e non filo-BCE può arrivare al governo. Ovviamente Tsipras si sta trovando di fronte a enormi difficoltà e all’ostracismo delle sue controparti e a breve dovrà prendere decisioni difficili, che siano quella di rimanere nell’eurozona a costo del tradimento del programma elettorale oppure di uscirne non senza incognite. Ma Tsipras, appunto, è solo … contro tutti. Ben diversa sarebbe invece la situazione se almeno in Italia, Spagna e Francia vi fossero governi intenzionati a far cambiare completamente rotta a questa Europa, che per ora rimane invischiata in questa spirale di crisi non solo economica, assediata dal caos provocato in Nordafrica e Medio-Oriente (a questo hanno portato la guerra contro la Libia e la destabilizzazione della Siria…) e che adesso è impegnata anche in un’insensata riedizione della guerra fredda contro la Russia. I “populisti”, tra cui Podemos, hanno spesso e volentieri il “torto” di mostrare le cose sotto questo punto di vista, che risulta sgradevole per chi – evidentemente tra le elites – da crisi, migrazioni e guerra ha tutto da guadagnare.
In Spagna a novembre si voterà per le elezioni generali. Il duopolio tra due partiti, conservatori e progressisti, è ormai scaduto come in gran parte d’Europa, finanche nella sua patria d’origine, il Regno Unito. Se nessun partito raggiungesse la maggioranza ci potrebbe essere una situazione di ingovernabilità come già successo in Italia e Grecia. Forse Podemos non riuscirà a vincere, ma ha ottime possibilità di entrare in forze nelle Cortes di Madrid e, al netto di errori e ambiguità (Podemos dovrà essere bravo a non farsi strumentalizzare e intrappolare dal sistema e dai media, in questo le lezioni di Beppe Grillo e del M5S, di Alexis Tsipras e sì, anche di Marine Le Pen, potrebbero essere preziose), potrà portare una boccata di aria fresca nella politica spagnola, nella speranza di ridare un senso a parole come sovranità e democrazia e di proporre idee alternative per l’Europa e in particolare per le nazioni mediterranee.