Le vicende greche hanno mostrato il volto protervo, arrogante e spietato della casta bancaria tedesca e dei suoi zelanti satelliti mitteleuropei. Una nazione ampiamente graziata nel dopoguerra con la remissione dei suoi giganteschi debiti, dopo che aveva disseminato l’Europa di macerie e delitti, non ha avuto la stessa sensibilità e la stessa capacità di comprensione che le furono riservate allora verso la Grecia, dando inequivocabile dimostrazione della sua somma irriconoscenza fondata sulla convinzione del proprio diritto a dominare, senza nulla dover chiedere e pretendendo per sé quello che ad altri è proibito o precluso.

Era il 24 agosto del 1953 quando 21 Paesi, con un trattato solennemente firmato a Londra, abbonarono alla Germania metà dei suoi debiti, scesi così da 23 miliardi di dollari (100% del PIL del Paese) a 11,5, dilazionato in 30 anni. L’altro 50% del debito avrebbe dovuto essere rifuso una volta avvenuta la riunificazione delle due Germanie. Fu solo grazie a questa generosità che la Germania potè evitare il fallimento. Nel 1990, dopo la riunificazione dello Stato tedesco, Kohl si rifiutò di risarcire il dovuto, minacciando il crollo del Paese. Ancora una volta, Italia e Grecia accondiscesero alla volontà germanica. Chissà se i governanti di Atene sospettarono, almeno per un momento, di non aver acquisito nessun titolo di merito e nessun posto nel cuore dei governanti di Bonn. La prepotenza finanziaria della Germania, oggi così lampante nell’indecente comportamento della Merkel, è stata tuttavia intervallata, nel corso dei decenni, da atteggiamenti e prese di posizione di segno opposto. All’inizio degli anni 80′, le banche americane, controllate dai Rockefeller e dai loro accoliti, cominciarono a premere per la restituzione del debito polacco, debito che le autorità statunitensi stesse avevano contribuito ad appesantire, con il rialzo dei tassi di interesse e con politiche di rientro selvagge, dalle quali erano rimasti al riparo altri Paesi più malleabili, facenti parte del cortile dello Zio Sam. Le richieste statunitensi, aggressive e perentorie, avrebbero determinato indubbiamente, se applicate alla lettera, una crisi di insolvenza senza precedenti per lo stato polacco, che negli anni ’70 aveva visto una crescita economica imponente, con un rilevante aumento del livello di benessere dei cittadini. Tutto era finalizzato alla destabilizzazione del socialismo in Polonia, in maniera tale da portare al potere Solidarnosc, sull’onda di disordini che sarebbero sfociati in una rivoluzione capace di sovvertire gli equilibri mondiali contagiando tutti i Paesi dell’area del COMECON. La CIA e le agenzie spionistiche occidentali da anni lavoravano per questo obiettivo, affiancate da settori del Vaticano e da centrali della sovversione e della guerra psicologica come il Tavistock Institute, forte di una vera e propria articolazione operativa denominata Divisione studi russi. In quel frangente, così drammatico e concitato, fu proprio la Germania, nei suoi livelli decisionali politico ed economico, ad opporsi alla strategia americana, portando avanti la linea, alla fine vincente, della moderazione e della ragionevolezza, linea che, unita ai massicci aiuti provenienti dall’URSS, alla restaurazione dell’ordine e della piena sovranità statale da parte del Generale Jaruzelski nel dicembre del 1981, permise alla Polonia di salvarsi e di intraprendere di nuovo il cammino della rinascita economica e della restituzione dei debiti. Ripercorriamo le tappe di una strategia di destabilizzazione economica che, se avesse conosciuto successo, avrebbe forse significato per l’Europa la Terza guerra mondiale.

E’ il 1980 e, a luglio, andò in onda il copione del complotto anticomunista, accuratamente preparato da anni: nacquero scioperi che, se da un lato evidenziarono alcune istanze indubbiamente giuste sul piano sociale, dall’altro vennero immediatamente strumentalizzati e deviati sul binario dell’anticomunismo da parte delle forze reazionarie e antisovietiche. A settembre dello stesso anno, vari comitati, in particolare il primo nucleo di quello che nel 1976 era stato il KOR (Comitato di Difesa degli Operai, dal quale non sono estranee certo influenze occidentali), dettero vita a Solidarnosc, il Sindacato autonomo la cui registrazione ufficiale avvenne due mesi dopo. Sfruttando le libertà concesse dalla Costituzione della Polonia socialista, le forze della sovversione guadagnarono terreno, gettando il Paese nel caos. A questo punto, entrò in scena l’altro manico della tenaglia, l’alta finanza internazionale, decisa a mettere le mani sul Paese. Un passo indietro. Con il governo di Gierek (1970–1980), i governi occidentali, direttamente o per interposte istituzioni bancarie, avevano inaugurato una politica di massicci prestiti alla Polonia, quasi per intero utilizzati (ad onta della propaganda anticomunista che ancora oggi parla di ville e palazzi) per lo sviluppo sociale e il rafforzamento dell’apparato industriale, uno dei più forti dell’Europa dell’Est e non secondo, in molti campi, nemmeno a quello occidentale. Basti pensare che, dal 1973 al 1975, la produzione industriale cresceva del 10% su base annua. La Polonia, con il lavoro sodo e qualificato dei suoi operai, tecnici, impiegati, aveva guadagnato il 10° posto nella classifica delle potenze industriali del mondo. Nel 1977, il Paese era indebitato con le banche occidentali per circa 13 miliardi di dollari. Una cifra, questa, che sarebbe stato possibile onorare senza alcuna difficoltà, se in quel fatidico anno l’oligarchia bancaria e finanziaria mondiale non si fosse data convegno a Basilea, in Svizzera, per prendere alcune decisioni che avrebbero influenzato di lì a poco il corso degli eventi: a tavolino si decise di negare a priori ogni rinegoziazione del debito e di parificare il livello di fiducia nella Polonia a quello riservato all’Egitto (nonostante l’imponente crescita economica del Paese continuasse, anche dopo la breve crisi del ’76). Queste scelte furono devastanti per la Polonia: nel 1978, il tasso di sviluppo industriale segnò un modesto +4,9%, mentre nel 1979 vi furono le conseguenze più pesanti, con un +2,1% (cinque volte meno rispetto al tasso di sviluppo di pochi anni prima). Nel gennaio del 1980, a causa di queste manovre, si affacciarono i primi problemi di insolvenza e solo grazie al supporto sovietico si riuscì ad evitare il peggio. Mentre la finanza USA, Rockefeller in testa, puntava apertamente alla destabilizzazione del Paese, la Germania, guidata dal socialdemocratico Schmidt, protagonista di accordi importanti con l’URSS, assunse allora una posizione diversa e diametralmente opposta a quella tenuta oggi dalla Merkel rispetto alla Grecia. La Repubblica Federale Tedesca, infatti, ancora nel settembre 1980, poco prima che Gierek venisse allontanato, concesse alla Polonia un finanziamento di 500 milioni di dollari, poggiando sul suo sistema bancario complessivamente sano e prospero. La Germania aveva fiutato la manovra americana e, comprendendo il suo carattere pericoloso e destabilizzante per gli equilibri mondiali, non si associò alla giugulazione economica del Paese d’oltrecortina. Anzi, comprese quella che sarebbe stata una verità inconfutabile: solo la stabilizzazione dell’economia polacca e l’incoraggiamento dato al suo sviluppo, contro ogni sovversione e sabotaggio, avrebbe significato la solvibilità della Polonia come sistema Paese. Se il 1980 si chiuse con una situazione pesante sul piano economico e sociale, con avvicendamenti vari nei livelli decisionali supremi, il 1981 si svolse all’insegna dei continui sabotaggi di Solidarnosc all’economia nazionale: da una parte, è vero, la fermezza del Partito Operaio Unificato Polacco, il suo radicamento nel Paese, evitarono il tracollo, ma dall’altra si verificarono sempre più numerosi casi di interruzioni nell’approvvigionamento di merci, anche di prima necessità. Il rafforzamento ulteriore delle forniture sovietiche riusciva a evitare al Paese la paralisi, unitamente all’atteggiamento costruttivo tenuto, in occidente, dalla Repubblica Federale Tedesca. RFT e Francia erano, nell’aprile del 1981, esposte per 7,5 miliardi di dollari ed erano, quindi, i maggiori creditori della Polonia. Le loro banche, segnatamente quelle tedesche, avevano continuato ad accordare crediti pure per la costruzione del gasdotto dalla Siberia all’Europa Occidentale, opera destinata ad entrare nel mirino degli Usa e dei Paesi più proni nei confronti di Washington. Dinanzi ad una riduzione massiccia delle esportazioni (-27% nel periodo gennaio/febbraio 1981 e –29,3% a marzo), abbinata ad un drastico taglio delle importazioni di petrolio (-80% nello stesso periodo), con scioperi continui e violenze che rendevano i luoghi di lavoro un calvario per chi intendeva vivere e produrre nel rispetto della legalità socialista, si arrivò nel dicembre 1981 alla dichiarazione dello Stato di Emergenza, Stan Wojenny, da parte del Generale Jaruzelski, Primo Ministro, Segretario del POUP e Ministro della Difesa. L’occidente, in completa malafede, gridò quasi compatto al golpe, senza minimamente riflettere su un fatto elementare: come poteva definirsi golpe un atto previsto dalla Costituzione e attuato da una personalità che era già al vertice del Partito e dello Stato? Non ci fu, nei fatti, nessun cambio della guardia e non vi fu alcun stravolgimento della Costituzione, ma solo una salutare sospensione temporanea (condivisa dal 90 % dei cittadini) di determinate libertà di cui gli eversori avevano oscenamente abusato. E’ noto che in molte città gli estremisti di Solidarnosc si stavano preparando allo scontro armato, anche appoggiati o tollerati da alcune fazioni all’interno degli apparati dello stato, oltre che da servizi segreti stranieri. Anche in questo arroventato quadro, la RFT retta da Schmidt, nel suo apparato politico ed economico–finanziario, mantenne sempre aperta la porta del dialogo, contro gli oppositori interni (che l’anno successivo, con Kohl, avrebbero dato la scalata al governo del Paese) e contro gli ambienti atlantici di stretta osservanza. Il debito polacco, alla fine del 1981, aveva ormai superato i 20 miliardi di dollari, attestandosi precisamente a quota 27 miliardi (16 verso le banche e 11 verso i governi), anche a causa dei sempre più alti tassi di interesse praticati, più volte denunciati anche dalla Banca del Commercio estero della Polonia, la Banca Handlowy. Il World Economic Outlook del 19 luglio 1981, aveva già parlato di un servizio del debito sull’export superiore del 100% rispetto al normale e di un 30% dei proventi delle esportazioni polacche destinati al pagamento del debito. Una boccata d’ossigeno notevole, dopo la proclamazione dello Stato di Emergenza, venne dalla Dresdner Bank di Francoforte, la quale riuscì ad ottenere, nel consesso delle banche creditrici della Polonia, un allungamento dei tempi di restituzione di 500 milioni di dollari di interessi, originariamente previsti tra il 9 e il 15 dicembre 1981. In quella e in altre occasioni, i banchieri americani (in particolare i vertici della Chase Manhattan Bank dei Rockefeller) propugnavano invece il default della Polonia, investendo nella destabilizzazione del Paese, un gioco che, se avesse avuto successo, avrebbe significato la dissoluzione della Polonia e una guerra mondiale con epicentro in Europa. Gli USA, in mano a Reagan dall’inverno 80-81, avevano del resto già proclamato la loro crociata anticomunista e antisovietica, riponendo ogni velleità di dialogo con il campo socialista e con la Polonia, varando sanzioni pesanti all’indomani della dichiarazione dello Stato di Emergenza nella speranza, rinnovata, di far cadere il sistema socialista. Tra le mire degli USA, c’era anche quella di costringere la Polonia, con il ricatto sulle derrate alimentari, ad entrare nel Fondo Monetario Internazionale, imbrigliando il governo dentro schemi economici che avrebbero significato la fine dell’economia pianificata e l’avvento del capitalismo.

L’atteggiamento costruttivo della Germania, in questo quadro, aiutò non poco la Polonia a sopravvivere e svernare in quel tremendo dicembre del 1981. Man mano che la situazione andava stabilizzandosi, sparivano le code e gli assembramenti notturni davanti a numerosi negozi di alimentari e generi di prima necessità, scenario questo quasi quotidiano, nelle grandi città, dal settembre ’81, con sabotatori oltranzisti aderenti a Solidarnosc che preferivano imboscare o distruggere le derrate alimentari provenienti dai paesi socialisti, piuttosto che distribuirle. A rafforzare la posizione tedesca, intervennero anche i circoli finanziari svizzeri: il Neue Zurcher Zeitung del 16 dicembre 1981 parlò di situazione tranquilla e in via di normalizzazione e sottolineò che non sarebbe stato un problema se la Polonia non fosse riuscita a pagare 500 milioni di dollari di interessi entro la fine dell’anno. La strategia tedesca doveva dare i suoi frutti anche nel 1982: a novembre di quell’anno, nonostante il cambio della guardia che aveva visto il democristiano Kohl succedere al socialdemocratico Schmidt, fermo assertore e vero artefice del dialogo costante con Varsavia, la Polonia riuscì a vedersi riconosciuta la restituzione del 95% del proprio debito del 1982 in 8 anni, con in più facilitazioni sugli interessi. La Banca Handlowy e 503 banche creditrici occidentali accettarono tali condizioni di comune accordo, dando una spallata ai circoli finanziari più aggressivi, votati alla sovvertimento e alla distruzione della Polonia socialista. Era un successo non da poco, per la Polonia e per il mondo, era la vittoria della linea Schmidt–Jaruzelski. Nel 1983, il 22 luglio, venne abolito lo Stato di Emergenza. Il paese rifiatava e riprendeva il filo del proprio sviluppo economico e sociale. Niente più code davanti ai negozi, niente più scioperi selvaggi, niente più situazioni ai limiti del tollerabile. Tutto ciò, nonostante la CIA, il Vaticano e i circoli atlantisti più bellicosi.

In questa sede si è voluto evidenziare come il comportamento degli istituti di credito tedeschi sia stato allora diametralmente opposto a quello adottato oggi, in una situazione molto simile a quella polacca di allora, nei riguardi della Grecia. La storia non è inutile: insegna sempre, talvolta a non ripercorrere strade sbagliate, altre volte ad abbandonare strade pericolose imboccate oggi per tornare su sentieri più sicuri.

Luca Baldelli

Bibliografia e riferimenti:

Wojciech Jaruzelski, Un così lungo cammino, Rizzoli, 1992.

Edward Gierek, Smak zycia – pamietniki, BGW, 1993.

Beverly Crawford, Economic Vulnerability in International Relations: East–West Trade, Investment and Finance, Columbia University Press, 1993.

Batara Simatupang, The Polish Economic Crisis, Routledge, 1994.

The future of Poland‘s debt: productivity or default?, di Renèe Sigerson, in Executive Intelligence Review, vol. 8, n. 16, 21.04.1981.

Polish debt reviewed, in New York Times, 08.08.1981.

IMF wants to muscle Poles into membership, in Executive Intelligence Review, vol. 8, n. 31, 11.08.1981.

Faceoff with Soviets over Warsaw debt?, di Rachel Douglas, in Executive Intelligence Review, vol. 8., n. 33, 25.08.1981.

Who’s blackmailing whom over debt?, di Renèe Sigerson, in Executive Intelligence Review, vol. 8, n. 49, 22.12.1981.

Three strategies for Poland’s debt, di Renèe Sigerson, in Executive Intelligence Review, vol. 8, n. 50, 29.12.1981.

Polish debt due in ’82 is deferred, in New York Times, 4.11.1982.

La Merkel ha dimenticato quando l’Europa dimezzò i debiti di guerra alla Germania, di Riccardo Barlaam, Il Sole 24 Ore, 15.10.2014.