Oltre nove milioni di italiani sono a rischio povertà. Tecnicamente viene definita area di disagio sociale e continua ad espandersi a ritmo sostenuto. Da giugno 2014 a giugno 2015 altre 30mila persone che non trovano posto nell’agenda politica del governicchio renziano e nelle lotte dei partigiani degli apericena militonti, sono entrate nella palude dei soggetti in difficoltà.

Esattamente sono 9 milioni e 246 mila. Numeri come pietre che lapidano il volto posticcio del paese dal riso ebete tanto caro a Renzi. Ad esser poveri non sono più soltanto i disoccupati ma ampie fasce di lavoratori precari o sottopagati. Agli oltre 3 milioni di persone disoccupate, bisogna infatti sommare i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (740mila persone) sia quelli a orario pieno (1,66 milioni); i lavoratori autonomi part time (802mila), i collaboratori (349mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,5 milioni). Persone occupate ma con prospettive incerte e retribuzioni formato grissino. Ben 6,1 milioni di unità.

L’area di disagio sociale “mappata” dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, oggi comprende dunque 9,24 milioni di persone, in aumento rispetto a un anno fa di 30mila unità (+0,3%). Il deterioramento sensibile del mercato del lavoro dovuto alle sciagurate politiche dei tre governi non eletti che si sono succeduti, ha avuto come disastrose conseguenze non solo l’espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari ed il crescere dei contratti atipici.

Il dato complessivo di 9,24 milioni di persone è relativo al secondo trimestre del 2015 e complessivamente risulta in aumento dello 0,3% rispetto al secondo trimestre del 2014, quando era “fermo” a 9,21 milioni di unità. I calcoli sono semplici da fare: in un anno altre 30mila persone sono entrate nell’area di disagio sociale.

Ad aggravare ulteriormente una situazione che già non era rosea, è stata l’impennata dei contratti deboli che sono la strada a scorrimento veloce che conduce alla disoccupazione. Entrando nei dettagli, emerge infatti che nell’arco di tempo esaminato, i contratti a temine part time sono aumentati di 43mila unità, passando da 697mila a 740mila (+6,2%), i contratti a termine full time sono cresciuti di 34mila unità da 1,62 milioni a 1,66 milioni (+2,1%), i contratti a tempo indeterminato part time sono aumentati dell’1,3% da 2,55 milioni a 2,59 milioni (+33mila). In calo il numero dei contratti di collaborazione (-45mila unità), da 394mila a 348mila (-11,4%) e degli autonomi part time (-4,2%), da 837mila a 802mila (-35mila).

L’Italia “in ripresa” di qualche cantastorie in malafede, non esiste. Dietro i luccichii dei palazzi del potere, si allungano le ombre delle mense per i poveri e di mura intrise di affanni e lacrime.

E’ il paese reale che affonda.