Continuano ad essere allarmanti i dati riguardanti il tasso di povertà nel “bel Paese”. Secondo l’Ufficio studi di Confcommercio, infatti, questa crisi rischia di divenire irreversibile per moltissimi connazionali.
«[…] La durezza della crisi potrebbe avere effetti irreversibili o, almeno, di eccezionale durata, sulla dimensione dell’area della povertà assoluta (che caratterizza l’impossibilità di un nucleo familiare di avere accesso a un paniere di sussistenza di beni e servizi). Le persone assolutamente povere crescono del 163% nel 2013 rispetto al minimo del 2006, da meno di 2,3 milioni della metà degli anni 2000 a oltre 6 milioni, circa il 10% dell’attuale popolazione italiana.»
Sulla verosimiglianza di questi dati, basti osservare gli innumerevoli tavoli aperti al Ministero dello Sviluppo Economico, i quali evidenziano la crisi complessiva del comparto industriale italiano e il conseguente aumento della disoccupazione senza possibilità di mascheramenti ulteriori da parte di qualche “salvatore della Patria”. Il dicastero presieduto dal Ministro Guidi, lungi dall’essere in grado di trovare concrete soluzioni per reindustrializzare le aree di crisi, si limita ad essere mero spettatore di un processo di deindustrializzazione sul quale la politica non ha alcun controllo.
Anche sul fronte della piccola e media imprenditoria non sembrano esserci segni di miglioramento, con una sempre crescente pressione fiscale ed una situazione solo in parte mitigata dall’export dei prodotti d’eccellenza (in particolar modo verso l’Asia).
Il problema, dunque, è di più ampia portata e concerne la mancanza di piena sovranità nazionale e preminenza del Politico sull’Economico. Non si tratta dunque, facendo un parallelo, di arginare i sintomi (ciò che è manifesto), ma di agire sulle cause scatenanti ed impedire il proliferarsi della malattia. In altre parole: non possiamo immaginare che siano specifici e mirati interventi o proposte politiche a rilanciare il “sistema Paese” e a ridare ad esso un ruolo strategico nello scacchiere europeo. È di fondamentale importanza, nel quadro politico e geopolitico contemporaneo, comprendere la necessità di imbastire una realistica e concreta dottrina dello Stato, prima di qualsiasi programma “accatta voti”. Capire cosa vogliamo essere coerentemente alla nostra storia nazionale, prima di intervenire su questioni specifiche.
Sino a quando rimarranno invariati determinati equilibri nel nostro Paese non vi sarà alcun cambiamento reale. Impossibile, infatti, avere ad oggi una concreta crescita economica senza una vera politica di Spesa Pubblica (la quale tuttavia richiederebbe garanzie di copertura del debito che difficilmente potremmo strappare agli isterici regolamenti della BCE); impossibile controllare la crescente conflittualità etnica – acuita naturalmente dall’arrivo di disperati sulle nostre coste che non hanno alcuna speranza di integrarsi in un mondo del lavoro saturo – senza trovare soluzioni che garantiscano un blocco all’immigrazione clandestina (magari intavolando rapporti diplomatici con la formula “io vinco e tu vinci”) ed una meditata politica per l’immigrazione regolare, come avviene in tutti i Paesi avanzati del mondo; impossibile avere, in un Paese controllato militarmente da 113 basi NATO, una politica estera che permetta all’Italia di essere il “Paese guida” nel Mediterraneo e di avere normali relazioni e partenariati con aree politico-geografiche differenti dal blocco atlantico.
Trovare una soluzione per sganciarsi definitivamente dalla subalternità politica, culturale, economica e militare (“su tutto lo spettro” come direbbero gli analisti militari d’oltreoceano) con gli Stati Uniti, dovrà essere una priorità per chiunque voglia realmente ripensare ad una sovranità nazionale, grande assente da almeno 70 anni. Una svolta in questi termini appare, tuttavia, quantomai chimerica. Ad oggi sono troppi gli interessi in campo di lobby e mafie legate a doppio filo con il sistema politico e coperte da un ceto medio parassitario, cosmopolita ed arrivistico, il quale aspira a far parte della classe dominante che parla inglese.
Il problema, al di là di ogni ragionevole osservazione, è lampante: cosa dobbiamo aspettarci da una classe politica capitanata da un Presidente del Consiglio che gioca alla Play Station – legittimando il messaggio che per fare politica basta una camicia, sorridere ed essere giovani – mentre attende i risultati elettorali? Quale credibilità può dare al Paese un rappresentante delle Istituzione accolto, in un consesso internazionale, sulle note di “Azzurro” di Adriano Celentano a posto dell’Inno Nazionale?
Inutile oggi lamentarci: agli occhi di un mondo che guarda al nostro disgraziato presente, meritiamo di essere trattati da campioni della mariuolata e da impareggiabili trasformisti dei vizi privati in spicciole virtù pubbliche. Ad oggi non valiamo che questo e toccherà ad ognuno di noi dimostrare, con atti concreti nella e per la Comunità, che questa è l’Italia mazziniana e che la vorremmo ricostruire sul sangue di Sauro, Oberdan e Battisti.
Guido Bachetti