Il 20 ottobre 2011 cadde definitivamente la Libia di Gheddafi, dopo sette mesi della “No Fly Zone” decretata dalla risoluzione ONU 1973.
Di fatto quella risoluzione avallata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con l’astensione di Cina e Russia, che a differenza della crisi siriana qualche anno più tardi non applicarono il veto, permise dei veri e propri bombardamenti da parte delle forze alleate e della Lega Araba sulla Libia di Gheddafi.
I ribelli che fino a quel momento erano stati efficacemente respinti dai lealisti arrivarono in pochi mesi all’avanzata verso Tripoli conquistata nell’agosto del 2011. Gheddafi rifugiatosi a Sirte per organizzare l’ultima strenua ed effimera resistenza lealista, verrà sconfitto e catturato per poi essere ucciso dalle milizie in modo poco decorso.
Hillary Clinton, al tempo Segretario di Stato fu raggiunta dalla notizia della morte di Gheddafi durante un’intervista che l’ex First Lady stava realizzando per CBS News a Kabul. La reporter le chiese se la sua visita di pochi giorni prima avesse a che fare con la caduta di Gheddafi, domanda alla quale la Clinton rispose che la sua visita nella Libia “libera” (come lei stessa la aveva battezzata) aveva sicuramente a che fare con la caduta di Gheddafi. Poi commentando la definitiva morte dell’ex Guida della Jamahiriya libica ha esultato con fare isterico ed ilare alla notizia utlizzando parole che ricalcando quelle di Giulio Cesare quando attraversa il Rubicone faranno il giro della rete: “We came, we saw, he died”.
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“Siamo arrivati, abbiamo visto e lui è morto” gridava estasiata l’attuale candidata democratica alla presidenza degli Usa quel giorno particolarmente soddisfatta lì a Kabul, dove era stata raggiunta dai giornalisti. Contenta per il cambio di regime di un paese che ormai costituiva un problema più per le mire geopolitiche dei francesi, da sempre avversi al panafricanismo di Gheddafi che minacciava la loro egemonia post-coloniale sui paesi francofoni, e per le petromonarchie, che non per gli Stati Uniti stessi.
Da quanto emerso da vari leaks e indiscrezioni negli ultimi cinque anni, fu proprio il Segretario di Stato Clinton a convincere Barack Obama di avventurarsi nella campagna libica, quando il presidente era tutt’altro che sicuro di avventurarsi nel pantano nordafricano. Da ricostruzioni sembra che la Clinton ottenne che Obama si incontrasse con il leader dei ribelli libici Jibril finanziato dai francesi di Sarkozy, vogliosi di togliere il Maghreb all’Italia e far fuori il nemico di sempre, Gheddafi.
Sappiamo poi come è andata: la Libia è un caos del quale l’Europa si è in seguito disinteressata, divisa dalle tribù locali e dall’avvento dell’ISIS a pochi chilometri dai confini europei. I leader ribelli che si erano avvantaggiati della benevolenza europea (e della Segreteria di Stato Usa) sono poi passati per i finanziamenti del Qatar oppure sono entrati direttamente nell’ISIS.
Un caos che ha provocato conseguenze gravissime, come l’intensificarsi del problema dei flussi immigratori in Europa, l’aggravarsi della pericolosità del terrorismo islamico e ultimo, ma non ultimo, un danno economico e strategico importante per il nostro paese.
Un chiaro segnale di cosa è capace la fazione democratica legata ai Clinton e suffragata dai cospicui emolumenti che la sua fondazione riceve da certi paesi arabi, intenzionati a non mollare la presa dell’islamismo. Soltanto un assaggio emblematico di cosa ci attende nell’eventualità che l’ex First Lady finisca alla Casa Bianca.