Il 29 febbraio 1980 nei Giardini del Quirinale venne presentato, all’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, uno dei primi esemplari della Fiat Panda, la nuova utilitaria nei confronti della quale s’era sviluppata ormai una forte attesa da parte del pubblico. Al suo studio, fin dal 1976, la Casa aveva lavorato insieme alla neonata Italdesign di Giorgetto Giugiaro ed Aldo Mantovani, ma il processo d’industrializzazione aveva conosciuto non pochi ritardi a causa dei feroci scontri che in quel periodo opponevano sindacati ed azienda nei vari stabilimenti dello Stivale. Quando, nel 1978, un suo primo prototipo era stato mostrato ad una cerchia selezionata di concessionari e di clienti, era stato previsto il prezzo di circa 2.800.000 lire ma, a causa della forte inflazione, due anni più tardi il suo prezzo di lancio era ormai salito a 3.970.000 lire per la versione 30, dotata di bicilindrico raffreddato ad aria di 650 cc derivato dalla 126, e 4.702.000 lire per la versione 45, che invece utilizzava il motore a quattro cilindri raffreddato ad acqua di 900 cc della 127.
Nel 1976, quando era iniziata la genesi della Panda, alla Italdesign dove se ne curava la linea la si chiamava “Progetto Zero”, mentre nell’ufficio tecnico della Fiat il suo nome era di “Progetto 141”. L’obiettivo, comunque, era chiaro: creare un’utilitaria spaziosa e pratica, sullo stile della scuola francese che proponeva vetture come la Renault 4 o la Citroen Dyane, dotate di motori piccoli ed economici ma anche in grado di trasportare 4 o 5 persone e relativi bagagli con un discreto livello di comfort. Del resto, in quegli anni la Citroen Dyane era l’automobile di produzione straniera più importata e venduta in Italia, proprio perché disponeva di una carrozzeria spaziosa abbinata ad un motore di piccola cilindrata, bicilindrico di 600 cc, parsimonioso e brillante. Inoltre, al pari della non meno fortunata Renault 4, la Citroen Dyane aveva la trazione anteriore, che permetteva una guida più facile e sicura, ed un più razionale sfruttamento degli spazi interni. Nell’ambito delle utilitarie di quella cilindrata, la Fiat proponeva la piccola 126, con uno schema tecnico ereditato dalla precedente 500, che vedeva il motore collocato posteriormente ed una ben minore abitabilità, una vetturetta sicuramente congeniale per muoversi nel traffico in città ma decisamente meno a suo agio su percorsi più lunghi. Bisognava dunque rimediare.
Così, offrendo la Panda sia col motore bicilindrico 650 portato a 30 cavalli (da cui la denominazione di Panda 30) che col motore quattro cilindri 900 da 45 cavalli (e quindi Panda 45), la Fiat potè proporre un’utilitaria in grado di confrontarsi, allo stesso tempo, sia con la Citroen Dyane bicilindrica che con la Renault 4 che invece montava motori a quattro cilindri che spaziavano dagli 850 ai 1100 cc. Rispetto ad entrambe, appariva più moderna e giovanile, con prestazioni analoghe o, nel caso della 45, anche nettamente superiori, e vantava inoltre un prezzo sostanzialmente analogo. Il successo non si fece pertanto aspettare.
Poiché, tuttavia, la Panda per un certo periodo di tempo era stata pensata per diventare anche un piccolo fuoristrada, alla Fiat si pensò di non buttare via del tutto quel vecchio progetto e così, in collaborazione con l’austriaca Steyr (Casa austriaca che vantava dei forti legami con la Fiat e che aveva prodotto anche modelli della Casa torinese per il mercato austriaco e nordeuropeo, ma soprattutto specializzata in fuoristrada e veicoli militari), nel 1983 nacque anche la celebre versione 4X4, che montava il 900 a quattro cilindri portato a 965 cc, praticamente lo stesso che equipaggiava anche alcune versioni dell’Autobianchi A112. Leggera, con una buona luce da terra, con le quattro ruote motrici ed un buon rapporto peso/potenza, la Panda 4X4 diventò ben presto famosa fra tutti coloro che dovevano fare sterrati o muoversi in montagna, e tuttora è molto facile incontrarla in certe zone montane o collinari.
La seconda serie della Panda, nata nel 1986, fu ribattezzata Panda Supernova, perché introduceva molte innovazioni che di fatto hanno accompagnato la vita del modello fino al suo definitivo pensionamento, avvenuto nel 2003. Innanzitutto, le vecchie sospensioni a balestre longitudinali ad eccezion fatta della 4X4 venivano sostituite da un più confortevole schema derivato dall’Autobianchi Y10, detto “Asse ad Omega”, con ruote interconnesse e molle elicoidali, mentre i vecchi motori delle 30 e 45 venivano rimpiazzati dal nuovo Fire, anch’esso apparso inizialmente sulla Y10 e poi sulla Fiat Uno. Il Fire (Full Integrated Robotized Engine), estremamente più semplice e razionale dei precedenti motori che andava progressivamente a sostituire, e rinomato per essere tanto robusto quanto economico, veniva offerto sulla Panda sia in versione 750 cc da 34 cavalli che 1000 cc da 45 cavalli. Per la 4X4, invece, il 1000 Fire arrivava a 50 cavalli. Tuttavia, già un paio d’anni dopo, dato che c’era pur sempre una clientela più tradizionalista che continuava a richiedere i vecchi motori del resto ancora in produzione, il 900 ad aste e bilancieri da 45 cavalli della Serie 100 fu reintrodotto, accompagnato anche da una versione ridotta a 750 cc che dava 34 cavalli e che costituiva un’alternativa economica al Fire di pari cilindrata.
Sempre in quegli anni, sia pur per un breve periodo di tempo, venne offerta anche la Panda Diesel, mossa da un 1301 cc aspirato derivato da quello che era apparso sull’ultima 127 e sulla Uno, ma depotenziato da 45 a 47 cavalli. Tale versione non ebbe molto successo, anche perché in quegli anni sui diesel in Italia gravava il famigerato superbollo e chi cercava una vettura a gasolio, comunque, preferiva puntare su vetture un po’ più grandi, come la stessa Uno o ancor più, più idonee per gli elevati chilometraggi annui. Destò invece più scalpore, ma chiaramente rimase sempre nell’ambito dei piccoli numeri, anche la versione elettrica, la Panda Elettra, prodotta dal 1990 al 1998, in due diverse serie. Molto più successo, invece, arrise alle versioni Van della Panda, ovvero le versioni furgonate, che divennero di largo utilizzo presso molti enti pubblici come Enel, Sip – Telecom, ecc, o presso tante piccole e medie aziende.
Nel corso degli Anni ’90 la Panda vide semplificarsi la sua gamma, con la scomparsa dei motori 750 sia Fire che della Serie 100, mentre il 1000 Fire veniva sostituito dal “fratello” di 1100 cc e 54 cavalli. Nel 1999 anche il 900 della Serie 100 venne definitivamente pensionato, dato che portarlo dalla Euro2 alla Euro3 avrebbe comportato investimenti giudicati inopportuni per una motorizzazione ormai così “veneranda”. Rimase così soltanto il 1100 Fire, ma in ogni caso l’ormai anziana ma sempre arzilla Panda continuava a confermarsi come l’auto più economica sul mercato, costando 9.900.000 lire nella sua versione base, in virtù anche dei suoi costi industriali ormai ampiamente ammortizzati. Quando, nel 2003, gli ultimi esemplari della Panda scesero senza troppi clamori dalla catena di montaggio di Termini Imerese, l’ultimo stabilimento dove ancora veniva prodotto, la Fiat era in un grosso momento di crisi, impegnata a svincolarsi dall’accordo che solo pochi anni prima aveva sottoscritto con General Motors, e le sue attenzioni erano ormai riposte sulla nuova Panda, che però dell’antenata conservava praticamente soltanto il nome.
In 23 anni di vita, la Panda è stata prodotta in circa 4.491.000 esemplari, indubbiamente un buon traguardo: molti esemplari ancora camminano sulle nostre strade, a conferma di un progetto indubbiamente solido e ben pensato.