Ristampato nel 2014 dopo alcuni anni di vacanza libraria, è tornato finalmente disponibile per i tipi di Fazi Editore il volume “La pulizia etnica della Palestina”, dello storico israeliano Ilan Pappe. Lo studio in questione fa luce sulle diverse tappe del progetto sionista di eradicamento della popolazione autoctona della Palestina, culminato nell’esodo di massa del 1948, portando in superficie un vero paradigma della guerra etnica, in completa opposizione alla narrazione ufficiale sulla nascita dello Stato Ebraico. Questa storia della Naqba (“disastro, catastrofe”, quindi un sinonimo morale quasi perfetto di Shoah) non rappresenta ovviamente un unicum tra le pubblicazioni italiane, saggi e dossier per lo più appartenenti alle aree radicali della politica, ma emerge tra tutte per il retroterra particolare del suo autore. Ilan Pappe, infatti, è un “New Historian”, un ricercatore della cosiddetta Nuova Storiografia Israeliana ( piccola corrente di storici che partire dagli anni ’80 ha cercato di rivedere i fatti del biennio 1946-1948, utilizzando primariamente fonti declassificate degli archivi militari israeliani ), ma, soprattutto, è un ebreo antisionista. Se negli ultimi anni l’attenzione della comunità internazionale ( e con questo non si intende certo quella fetta di pianeta a influenza angloamericana ) ha volto con più decisione lo sguardo sull’occupazione della Palestina, in buona parte lo dobbiamo proprio a tutti quegli ebrei (non molti, in effetti) che, a vario titolo, si sono opposti alle politiche sioniste: Gilad Atzmon, sassofonista jazz e autore di un pregevolissimo saggio sul sottosuolo psichico dell’attuale Israele (The Wandering Who?, Zero Books, 2011), il gruppo degli obiettori Shministim ( la cui più famosa esponente, Omer Goldman, è figlia di un vice-capo del Mossad ), il movimento Yesh Gvul, la ONG israeliana Zochrot – tutte voci ebraiche contro i crimini del Sionismo. Per questo motivo il libro di Pappe è doppiamente importante, perché descrive la tragedia di un popolo nel momento stesso in cui riscatta la parte sana del mondo ebraico dalla contaminazione di un’ideologia suprematista e colonialista.
I meriti di Pappe peraltro non riguardano solo la puntuale ricerca storiografica, ma anche una riflessione filosofica sui dettagli che, se da un lato condanna la natura etnica del sionismo, dall’altro ne evita una criminalizzazione assoluta, slegata dalla realtà, oltre a evidenziare certe sottrazioni di responsabilità da parte araba. E’ importante che con “Naqba” ci si riferisca inequivocabilmente all’espulsione dei palestinesi dalla loro terra, ma è giusto rammentare che esso sia “[…] in qualche modo elusivo dal momento che si riferisce al disastro in sé e non tanto a che cosa lo ha causato. Il termine Naqba fu adottato, per comprensibili ragioni, come tentativo di controbilanciare il peso morale dell’Olocausto ebraico, ma l’aver trascurato i protagonisti può in un certo senso aver contribuito a perpetuare la negazione da parte del mondo della pulizia etnica della Palestina.“
Chi scrive di storia scrive spesso di storia militare. Parrà sconcertante, ma il grande successo nello sradicamento della popolazione autoctona fu dovuto sì all’efficienza organizzativa delle milizie ebraiche (la creazione di gruppi di autodifesa ebraica retrodata addirittura a fine ‘800) come embrioni di un perfetto esercito nazionale, ma in parte non minore alla frammentazione politica delle nazioni arabe. I palestinesi non soltanto vennero traditi dalla dinastia hashemita di Giordania, lesta ad accordarsi con le agenzie ebraiche nella spartizione delle terre a est di Gerusalemme (il West Bank), ma non ricevettero sostegno militare dal resto del mondo arabo (con qualche eccezione), se non quelli necessari a ribaltare le sorti della prima guerra arabo-israeliana, quantomeno a guadagnare una posizione più stabile in caso di negoziati di fronte alla comunità internazionale. E, per una reazione più composita sarebbe stato troppo tardi in ogni caso: con l’avvio degli anni ’50 ormai più di 800.000 palestinesi avevano dovuto abbandonare le proprie case e subire razzie e massacri.
Come già detto, uno dei tratti peculiari della Nuova Storiografia Israeliana è quello di avvalersi per lo più di fonti sioniste. L’uso cosciente della “letteratura del nemico” è forse il modo più immediato e rapido per comprendere quale violenza delle intenzioni abbia portato a programmare e infine eseguire quel master plan di spoliazione territoriale che ad oggi non si è ancora concluso. Pappe non fa eccezione. Dalle citazioni del padre di Israele, Ben Gurion, “Sono favorevole al trasferimento forzato: non ci vedo nulla di immorale” (affermazione risalente al 1938), “Se accusiamo una famiglia, dobbiamo colpire tutti senza pietà, comprese le donne e i bambini. […] Durante l’operazione non c’è alcun bisogno di distinguere tra chi è colpevole e chi non lo è” (dal diario personale, 1948), alla “sincerità” dello storico Benny Morris “Non ci sarebbe stato alcuno Stato Ebraico senza lo sradicamento di 700.000 palestinesi. Di conseguenza è stato necessario sradicarli. Non c’era altra scelta che espellere quella popolazione” ( intervista allo Ha’aretz, 2004 ), all’autoassoluzione del professore di geografia Arnon Soffer “Siamo stati assassini, ma non per il gusto di esserlo, con intenzioni criminose. Abbiamo agito così perché ci sentivamo esposti a una minaccia esistenziale” (dallo Ha’aretz, 2005). Alla mitografia dell’aggressione si è giustapposta quella giustificatoria e dell’oblio. Del resto, lo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto, sorge oggi sul sito del vecchio villaggio palestinese di Deir Yassin, il cui attacco da parte delle milizie sioniste il 9 Aprile 1948 portò alla strage di un centinaio dei suoi abitanti, fra uomini donne e bambini.
Dalla prima pubblicazione del suo libro, Ilan Pappe ha sopportato l’ostracismo del mondo accademico israeliano, fino a trasferirsi in Inghilterra all’università di Exeter. Ma il boicottaggio è continuato. A Febbraio di quest’anno, una conferenza sulla questione palestinese presso il Centro Culturale Francese di Roma è stata annullata per la pressione dell’ambasciata israeliana in Italia. Più recentemente, nel mese di Marzo, l’università di Southampton ha ritirato il suo permesso per un’altra conferenza che Pappe avrebbe dovuto tenere, questa volta sul rapporto tra il Diritto Internazionale e lo Stato di Israele. Infine, il 21 Maggio il figlio dello stesso Pappe è stato rilasciato dalle carceri israeliane, dove è stato imprigionato per tre settimane per renitenza alla leva. Nella sua testimonianza il giovane ha parlato di altri prigionieri da lui conosciuti, soggetti a pestaggi sistematici e torture psicologiche. Come lo stesso Pappe ha dichiarato, “Sembra che il Sionismo sia la cosa peggiore che sia capitata agli ebrei, a latere del suo impatto catastrofico sul popolo palestinese.”