Il 25 maggio s’è celebrata la “Giornata dell’Africa”, dedicata a quel lontano giorno, nel 1960, in cui gran parte delle colonie inglesi e francesi divennero ufficialmente indipendenti. Sempre in quel 1960 ottennero l’indipendenza anche la Somalia dopo i dieci anni d’amministrazione fiduciaria italiana stabilita dall’ONU e la Repubblica Democratica del Congo, fino a quel momento soggetta al dominio coloniale belga, che certo non era stato migliore degli altri, tutt’altro.
Com’è noto la decolonizzazione non si realizzò del tutto in quell’anno, dato che le colonie spagnole la ottennero poco dopo (1961, per la Guinea Equatoriale, mentre il Sahara spagnolo dovette aspettare ancora qualche anno; dopodiché divenne oggetto di contesa fra il Marocco, che ne rivendicava la sovranità, e la Repubblica Araba Sarawi, sostenuta dal Fronte Polisario), mentre quelle portoghesi dovettero attendere fino alla Rivoluzione dei Garofani in madrepatria (una rivoluzione che, peraltro, fu fatta da militari che proprio combattendo contro i movimenti di liberazione anticoloniale in Angola, Guinea Bissau, Capo Verde, Sao Tomé e Principe, e Mozambico, oltre a Timor Est nel Sud Est Asiatico, avevano preso coscienza della vetustà politica del governo portoghese che li aveva mandati al massacro). Nel complesso, la decolonizzazione del 1960-1975 (volendo ci potremmo mettere anche i pochi esempi avvenuti nel 1958 e persino prima, con la Guinea di Sekou Touré o con la Tunisia di Habib Bourguiba) non aprì all’Africa quel futuro meraviglioso che in tanti, invece, ingenuamente s’aspettavano. Ben presto ad affacciarsi sul Continente Africano arrivò un nuovo nemico, il “neocolonialismo”, che si palesò ad esempio fin da subito nel Congo con l’immolazione di Patrice Lumumba o nel Togo con quella di Sylvanus Olympio, e così via con altri esempi magari meno noti ma comunque dalla medesima importanza storica e politica.
Inoltre alcune ferite dovettero attendere fino agli Anni ’90 per sanarsi: è il caso della Namibia, liberatasi dal giogo del Sudafrica dell’Apartheid solo dopo che quest’ultimo venne per la seconda volta sconfitto nel suo tentativo d’invadere ed impadronirsi dell’Angola (la prima volta nel 1975, mentre l’ex colonia portoghese si stava rendendo indipendente, e venne invasa da truppe sudafricane e dello Zaire di Mobutu Sese Seko, e la seconda volta nel 1988; in entrambi i casi, decisivo fu il sostegno dato ai soldati angolani dai cubani), o dell’Eritrea, unico caso di ex colonia europea e più precisamente italiana che nel Secondo Dopoguerra anziché divenire indipendente era stata invece molto più semplicemente e progressivamente trasformata nella quattordicesima provincia del suo paese confinante, l’Etiopia, con un’alchimia diplomatica internazionale che aveva soddisfatto le pretese di tutti tranne i legittimi diritti e le legittime aspettative della maggioranza degli eritrei (dell’Eritrea se n’è celebrato proprio due giorni fa l’Anniversario della Liberazione, avvenuto il 24 maggio 1991 e confermato da referendum popolare del 24 maggio 1993).
La grande storia del Continente Africano non ha visto vere e reali migliorie in tutti questi anni, malgrado le tante aspettative o speranze di un certo “terzomondismo” che ancor oggi pare duro a morire e che, soprattutto, pare sopravvivere o persino rilanciarsi nei suoi aspetti peggiori, più caricaturali, buonisti e pietisti (in Europa ed ancor più nella nostra Italia ne dovremmo pure sapere qualcosa). I progetti di “unità africana” cari a tanti grandi leader panafricani fin dai tempi del ghanese Kwame Nkrumah, tra i padri del Movimento dei Non Allineati, hanno ad oggi trovato solo una parziale realizzazione, dato che quando le cose sembravano prendere la piega giusta succedeva sempre “qualcosa” che frustrava tutte le aspettative (si pensi, per esempio, alla vera e propria “asfaltatura” di Gheddafi e della Jamahiya libica, solo per citare l’esempio forse più recente e conosciuto dai più). Oggi, su stimolo dell’Unione Africana, assistiamo alla nascita dell’AfCTA, il grande mercato comune africano su cui in tanti comunque già mettono il cappello, mentre altri nutrono riserve che a volte non sono neppure del tutto infondate.
Eppure, malgrado tutto questo, tale data merita comunque d’esser ricordata perché possa essere anche l’occasione, chiaramente evasa ed inascoltata dai diretti interessati, per un serio esame di coscienza storico e politico sull’Africa e sulla sua attualità, che ci pone delle domande che volenti o nolenti non potremo sempre aggirare od ignorare.