Matteo Renzi

Da quando il Governo italiano ha deciso di passare alla strategia della guerra di trincea con le istituzioni europee, sui più importanti quotidiani nazionali sono riapparsi editoriali critici rispetto alle posizioni governative come non si vedevano da qualche tempo. Con gradi e sfumature diverse, Corriere, Sole 24 ore e Repubblica tornano ad ammonire gli atteggiamenti “irresponsabili” del Presidente del Consiglio. La luna di miele tra Renzi e l’establishment del giornalismo italiano non è ancora terminata, invero si cominciano a percepire i primi malumori. I vari Paolo Mieli, Eugenio Scalfari, Massimo Giannini, Federico Fubini e Roberto Napoletano, ricominciano il pressing sulle “secolari” colpe italiane, il debito pubblico imponente, le riforme mancate, l’evasione fiscale troppo alta, lo scarso rispetto per le regole, l’incapacità di tagliare la spesa pubblica, e tutti gli altri cliché stantii che pesano sulla nostra coscienza di cittadini italiani ed europei.

Ci ripetiamo ossessivamente che bisogna continuare a fare sempre le stesse riforme offertiste di taglio della spesa e privatizzazioni che facciamo da quasi trent’anni. Ma più rimbomba l’eco di queste parole d’ordine del mainstream riformista italiano, più si arriva al punto per cui, di fronte ai prolungati insuccessi di queste politiche, ai più inossidabili sponsor non resta che sostenere l’incapacità del sistema istituzionale italiano a riformarsi autonomamente. Così sentiamo quasi inevitabile un commissariamento da parte della Troika, come Scalfari scrive da qualche anno; ci si chiede dove siano finiti i report per tagliare la spesa pubblica improduttiva (che è sempre reddito privato), tranne ricorrere ogni anno a tagli lineari insufficienti; ci viene ricordato che l’Europa siamo noi e non ha senso contrapporsi a noi stessi.

Le origini di questa scuola di pensiero possono essere fatti risalire all’interpretazione data da Guido Carli al concetto di vincolo esterno, che in ultima istanza doveva ancorare l’economia italiana ai principi della finanza pubblica e della competitività europea che ne stimolassero la scarsa propensione all’accrescimento della produttività. Procedendo a ritroso nel pensiero dell’establishment liberale italiano, l’idea di Carli era a sua volta in continuità con quella einaudiana che vedeva nel mercato comune europeo un limite agli “eccessi” laburisti della Costituzione italiana.

Questa logica anti-statalista tutta liberale, va a braccetto con l’antipolitica del “magna magna”, della corruzione irredimibile, del paese che non può risollevarsi se non affidandosi alle mani di tecnocrati moralizzatori nord-europei. Il tentativo di ravvicinare l’opinione pubblica alle istituzioni europee attraverso l’enfatizzazione dei difetti delle istituzioni nazionali, non solo difficilmente riavvicinerà la cittadinanza a quelle europee che in 25 anni non hanno redento l’Italia corrotta e maneggiona di Tangentopoli (con buona pace dell’anima di Carli), ma allo stesso tempo screditano ancora di più le già delegittimate istituzioni dello Stato italiano, le sole che detengono (ancora per poco) un minimo di accountability democratica.

Il tentativo di soccorrere le infrastrutture burocratiche europee – che ogni giorno si dimostrano fragili e incapaci di prendere decisioni politiche – non potendo poggiare sull’esaltazione di alcun risultato concreto, deve forzatamente passare dalla delegittimazione dell’istituzione pubblica nazionale. È la solita storia del complesso di inferiorità autoindotto, nascosto dietro un’esterofilia sempre di moda, che porta all’impudica sottolineatura dei problemi nazionali, a riscatto degli esempi morali di minoranze intellettuali illuminate.

Pensare di poter agire sul senso civico europeo dei cittadini italiani distruggendo quello verso le istituzioni a noi tutti storicamente più vicine, è un idea quantomeno bizzarra. Continuare a rilanciare un’idea negativa dello Stato, oltre a sfiduciare l’intero corpo politico del paese, non può che soffiare sul generico senso di sfiducia nei confronti della politica e della partecipazione che sfocia proprio nell’ astensionismo, nel populismo e nella deriva plebiscitaria delle democrazie europee che sono i processi di involuzione democratica (degli ultimi vent’anni) che più dovrebbero allarmarci .

Luca Scaglione