Domenica 4 dicembre si vota per il referendum: finalmente! Riteniamo l’espressione “non vedo l’ora che” molto pericolosa: la usano coloro che cadono nella trappola di pensare di poter star bene solo “dopo”, nel fine settimana, durante le vacanze oppure nel momento di qualche altra presunta svolta, ma in tal modo finiscono per prolungare soltanto il proprio malessere.

Eppure siamo davvero tentati di dire che non vediamo l’ora che si voti: questa campagna referendaria è diventata proprio insopportabile. All’interno di entrambi gli schieramenti sono davvero pochi coloro che hanno tentato di spiegarsi in piena onestà intellettuale, ma senza essere troppo ascoltati, poiché chi grida ed insulta attira maggiormente l’attenzione dei media e quindi riceve più spazio.

Il Presidente del Consiglio ha dapprima personalizzato il quesito referendario, poi ha negato di averlo fatto, affermando che erano stati i suoi avversari ma, visto che nessuno si è bevuto questa storiella, si è scusato e per mesi ha ripetuto di aver fatto uno sbaglio e infine, nell’ultimo periodo, ha personalizzato di nuovo, ancor più di prima. Purtroppo non è stato soltanto lui a personalizzare, anzi lo hanno fatto quasi tutti, sia tra i sostenitori del SÌ che tra quelli del NO, tanto che si è passati dall’idea di votare pro o contro Renzi a quella, ancora più strampalata, di farlo in una certa maniera soltanto perché tra chi sceglie l’opzione opposta ci sarebbe qualcuno che, per qualche motivo, non piace.
Al di là dell’assoluta mancanza di razionalità nel ragionamento, risulta del tutto evidente che, visto l’esorbitante numero di endorsement, chiunque può trovare da una parte e dall’altra qualcuno che gli va a genio e qualcun’altro che invece lo infastidisce.Altrettanto inconsistente è accusare la parte opposta di essere “un’accozzaglia”, come se non fosse normale che obbligare ad una scelta secca tra due alternative porti alla forte eterogeneità degli schieramenti.

Abbiamo sentito ripetuti appelli a discutere del merito della riforma, cosa meno facile di quanto possa sembrare: si dovrebbe iniziare con la lettura della legge sulla quale si vota, ma si rischia di perderci delle ore senza capirci poi granché. Del resto le leggi  sembrano essere scritte sempre in modo tale che soltanto gli addetti ai lavori possano comprenderle, cosicché i cittadini hanno bisogno di trovare qualcuno che gliele spieghi, quindi senza avere la possibilità di pensare con la propria testa.

I politici spesso ripetono di aver rispetto degli elettori che, dicono, “non sono certo degli stupidi”, ma in realtà li trattano come tali, si pensi alla stucchevole retorica renziana del nuovo ad ogni costo: non ha proprio nessun senso dire “questo cambiamento è meglio di niente” quando è ovvio che un cambiamento potrebbe essere anche un peggioramento e in tal caso sarebbe meglio evitarlo! L’appello di Beppe Grillo a “votare di pancia e non con la testa” ci sembra allora un raro esempio di sincerità. Che i politici trattino l’elettorato come composto in maggioranza da degli stupidi, lo si capisce anche dalle reazioni ai risultati sgraditi: è in tal senso eclatante il recentissimo caso dell’elezione di Donald Trump a Presidente degli USA.

Il 5 dicembre, qualsiasi sia il responso scaturito dalle urne, molto probabilmente non ci sarà nessuno degli effetti drammatici da molti prefigurati. Quel che è certo è che i politici non cambieranno atteggiamento verso i cittadini: l’unica difesa possibile sarebbe quella di mettersi a studiare, informarsi, approfondire, analizzare le fonti delle notizie e alla fine tentare di farsi una propria opinione su ogni argomento importante. La democrazia in Italia esiste dal punto di vista formale, ma manca di quella “garanzia sostanziale” che secondo il politologo Giovanni Sartori “è data dalle condizioni alle quali il cittadino acquisisce l’informazione ed è esposto alle pressioni degli opinion-maker”.

Ci rendiamo conto che molti non hanno voglia di fare la fatica necessaria per informarsi meglio, altri non ne hanno il tempo o l’energia proprio perché mancano le succitate condizioni, d’altronde non ha senso lamentarsi di come vanno le cose se non si fa uno sforzo che vada oltre la semplice scelta tra una delle alternative preconfezionate.