Il referendum pian piano si avvicina, nonostante la data sia stata fissata molto lontana, e La 7 non si fa sfuggire le occasioni per aprire il dibattito, anche invitando un professore del calibro di Gustavo Zagrebelsky.
Il direttore del telegiornale, Enrico Mentana, è impegnato come mediatore con ospiti di entrambi gli schieramenti. L’ultimo ha visto opposti il Presidente Renzi e il professor Zagrebelsky.
Dallo scontro fra il premier, sostenitore del Sì, e uno dei più importanti accademici, partigiano del NO, ci si potevano attendere faville a livello comunicativo. Proprio, e solo, di questo aspetto intendiamo occuparci in questo pezzo, evitando di entrare nel merito della questione, già ampiamente dibattuto.
Confronto vinto da Renzi a mani basse. Già numerosi personaggi sono intervenuti per cercare di criticare più o meno la riforma, ma da un costituzionalista di altissimo calibro ci si attendeva una critica molto seria e profonda. Invece possiamo dire che Renzi abbia fatto un solo boccone del proprio avversario. Questa non vuole essere affatto una apologia renziana, ma un’intervista televisiva è un palco con attori che devono sapere anche coinvolgere gli ascoltatori e Renzi c’è riuscito appieno, nel bene e nel male, anche per lo scarso ruolo giocato dal moderatore Mentana.
Fin dall’inizio, Renzi ha simulato un eccesso di riverenza e rispetto che si è trascinato fino alla fine per mascherare i colpi inferti senza sosta. Il discorso di Renzi mostrava un’evidente preparazione necessaria per il confronto, che Zagrebelsky del canto suo non necessitava, essendo il suo pane quotidiano ma che forse, proprio per questa sua abitudine, si è lasciato strappare da sotto il naso. Il professore invece ha sempre utilizzato un tono eccessivamente sottomesso che ha sempre lasciato spazio all’arroganza dell’interlocutore.
Renzi incalzava continuamente parlando dei grandi pregi della Riforma, sulla necessità di questo progresso, ammettendo appena, simulando umiltà, quanto il testo fosse pur tuttavia perfettibile; le risposte del professore contenevano divagazioni e nozioni che, per quanto interessanti, non avevano altro effetto che far perdere il filo del discorso, e quindi si perdevano nel vuoto.
Mentana si è visto pure costretto a dare spiegazioni, come quando è stato nominato un dittatore africano: non sono forse questioni da mettere verso la fine quando hai già accuratamente spiegato tutto? Renzi coglieva la palla al balzo e lo interrompeva continuamente, spesso fingendo quella reverenza di cui si è detto (“professore non vorrei interromperla… ma la interrompo”) per riportare la discussione sui punti della riforma.
Superiorità dialettica. Renzi è un personaggio da spettacolo. Il suo compito era quello di prendersi la scena anche con un rivale tanto preparato e perciò ha sfoderato tutto il proprio repertorio: affondi scorretti, spregiudicatezza, falsa modestia. Ed è riuscito a prevalere, come egli stesso ha ricordato: “professore, voteranno sì anche un sacco di persone che mi odiano”.
Mentana invece è stato superfluo: da un giornalista così esperto e sempre pronto su Facebook a risposte sarcastiche e dirette, ci si sarebbe aspettato che mettesse un tappo in bocca a Renzi e, anche senza la necessità di dover cronometrare le risposte, desse un effettivo tempo di risposta all’avversario.
Mancanza di mordente. Col passare del tempo ci si sarebbe aspettato un cambio di registro per il Professore, sempre rispettoso ma almeno non sottomesso, risposte concise e puntuali nel merito, per non lasciare tutto al suo avversario. Invece ha continuato sulla sua linea, parlando della riforma della legge elettorale, che non avrebbe meritato più che pochi accenni, e altre divagazioni decisamente inutili. Renzi invece ha sferrato affondi, in termini di comunicazione, contro le opposizioni – “so leggere le mail” – e contro il professore – “io ho studiato sui suoi libri”.
Il No dovrebbe cambiare registro. A sua volta, Zagrebelsky a volte ha pure risposto aiutandolo involontariamente – “non mi ricordo cosa avevo scritto”. A questo punto, ci si può solo augurare che intervenga più e più volte nei dibattiti televisivi pre riforma, acquisendo quella capacità mediatica per imporre il proprio bagaglio culturale ad una campagna per ora quasi ferma sul “Voto no perché voglio mandare Renzi a casa”.
Giulio Sibona