OMS, il presidente Ghebreyesus

Lunedì sera a “Report” hanno mandato un servizio sull’OMS e sui suoi legami fra il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus e la Cina che, partendo da delle senza dubbio buone e lodevoli intenzioni di fare del “giornalismo d’inchiesta”, ha in realtà finito col farsi del male da solo. Sfociando in una sorta di dietrologia complottista tale da mandare in estasi tutti i più scatenati ultras dell’Amministrazione Trump, a sua volta ormai ben nota proprio per aver sposato senza alcuno spirito critico tutte le ricostruzioni dei vari “teorici del complotto”, in particolare in materia di Coronavirus (ma non solo, come certamente sapranno i più affezionati lettori del nostro giornale).

Il Dr. Ghebreyesus, uomo appartenente al Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF) che ha dominato l’Etiopia dal 1991 al 2018, più che un uomo di Xi Jinping, com’è stato dipinto dal servizio e come ancor prima era stato dipinto anche dalla stessa Amministrazione Trump, è stato infatti un uomo di Clinton, di Bush e di Obama, le cui amministrazioni hanno sostenuto e finanziato il regime etiopico d’allora come loro gendarme nell’Africa Orientale, sostenendolo nella guerra contro l’Eritrea del 1998-2000 così come nella successiva occupazione arbitraria di zone di confine eritree, oltre all’invasione della Somalia del 2006, e così via. Non a caso fu proprio durante l’Amministrazione Obama, poco prima che il regime del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray esalasse i suoi ultimi sospiri, che il Dr. Ghebreyesus venne nominato direttore generale dell’OMS, tanto per mettere una patina di Africa e di Terzo Mondo su un’istituzione internazionale in realtà saldamente satellizzata dai governi e dalle multinazionali farmaceutiche occidentali (a tal proposito, basterebbe semplicemente guardare da dove vengono i soldi che lo tiene in piedi e le nazionalità di tutte le altre personalità che siedono accanto al direttore generale e che, rispetto a lui, hanno un ben maggior potere decisionale).

In questo momento gli Stati Uniti dell’Amministrazione Trump ormai uscente hanno una partita in sospeso col Dr. Ghebreyesus, di cui vogliono liberarsi per rimpiazzarlo con un’altra figura più “amichevole” o quantomeno più “neutra” alla guida dell’OMS, e quindi non legata al passato dei Bush e degli Obama. La questione del Coronavirus, in tutto ciò, rappresenta la classica palla che viene colta al balzo, e che del resto serve a gettare ulteriore benzina sul fuoco di un altro scontro che a Trump e ai trumpisti è molto caro, ovvero quello con la Cina, anch’esso un altro regolamento di conti che probabilmente alla Casa Bianca viene immaginato, né più e né meno, come una replica di “Mezzogiorno di Fuoco”. Tuttavia, al di là di come la si voglia mettere, che a far le spese di tutte queste “partite” propagandistiche e geopolitiche debbano sempre essere i comuni cittadini che si guardano un servizio televisivo o che si leggono un giornale subendone, in buona fede, le inesattezze riportate e finendo così, sempre in buona fede, anche col farle proprie, è decisamente un po’ troppo.

Comunque, tanto per fare un po’ di storia, dovremmo raccontare che furono proprio i soldi americani a trasformare, già nel 1991, un movimento hoxhaista come il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray in una formazione totalmente prona a Stati Uniti, Fondo Monetario e via dicendo, totalmente liberista in economia ed altrettanto totalmente devota al “Washington consensus” in politica estera e non solo. Certo, il regime del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray ha beneficiato, nei suoi ultimi anni d’esistenza, d’importanti investimenti cinesi che tuttavia quel regime ha destinato prevalentemente alla sola regione del Tigray, nel settentrione dell’Etiopia, come al solito trascurando il resto del paese che è così rimasto nel sottosviluppo. Questo grave squilibrio, già presente nei decenni precedenti ed in tal modo ulteriormente esacerbato, ha innescato i grossi problemi d’ordine interno che si sono palesati sempre più intensamente dal 2015 in avanti, e che hanno visto le popolazioni Oromo e Amhara ribellarsi al potere centrale, venendo oltretutto da esso pesantemente represse.

È stato proprio quando gli Stati Uniti, con l’arrivo di Trump, hanno capito che non potevano più continuare a puntare sul Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, e la Cina dal canto suo ha manifestato insoddisfazione per il modo in cui tale regime usava quel denaro avvisando che avrebbe smesso d’operare ulteriori investimenti, che quel regime è caduto, spianando la strada al nuovo corso, che vede oggi un’Etiopia guidata da Abiy Ahmed, un leader per giunta d’etnia Oromo (immaginatevi quelli del Fronte Popolare del Tigray come hanno preso la notizia!), e da un Capo di Stato donna, Sahle-Work Zebde, in pace coi suoi vicini (cominciando da Eritrea e Somalia), coi quali oltretutto collabora per migliorare il quadro d’integrazione e stabilità regionale.

Se ora gli Stati Uniti si vogliono liberare di quest’ultimo ricordo dell’epoca Obama che è stato messo alla guida dell’OMS, ovvero dal Dr. Ghebreyesus, sulla cui efficienza come direttore generale effettivamente si possono e si debbono accampare più critiche e non soltanto per quanto riguarda la questione del Coronavirus, che lo facciano allora senza lanciare accuse infondate ma, casomai, dando il via ad un serio dialogo col resto della comunità internazionale. Anche perché, ad aver fatto “cilecca”, in più occasioni, non è stato solo il Dr. Ghebreyesus ma anche tutto il corollario di capi e capetti occidentali che gli stanno intorno, e che sono coloro che dettano veramente la linea, a nome dei propri governi e delle proprie aziende d’origine, ma di cui non s’è parlato e non si parla ancora abbastanza.

Dunque, ben venga una seria discussione sull’organigramma dell’OMS ed ancor più sul suo effettivo ruolo internazionale (un discorso che, a guardar bene, riguarda anche tutte le altre agenzie internazionali ONU e l’ONU stesso, che hanno urgente bisogno di una riforma del resto da tempo auspicata proprio dai nuovi attori geopolitici che Trump vorrebbe respingere indietro a calcioni), evitando quindi gli errori di un certo giornalismo che, nell’eccesso di zelo di voler fare inchiesta, rischia invece di darsi poi la zappa sui piedi.

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