Il Primo Settembre 1961 iniziava ufficialmente la lotta del Fronte di Liberazione Eritreo contro le autorità etiopiche, che avevano ormai completamente assorbito l’Eritrea dentro l’Etiopia trasformandola nella sua quattordicesima provincia.

All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, l’Eritrea era stata l’unica nazione africana che, anziché divenire indipendente dopo la parentesi del colonialismo, veniva assegnata su spinta della cosiddetta “comunità internazionale” ad un altro paese africano, l’Etiopia, anche come forma di riparazione per i danni di guerra che gli erano stati inferti dall’occupazione seguita alla guerra d’aggressione italiana del 1935. In questo modo, oltretutto, l’Italia otteneva anche il governo fiduciario della Somalia, che avrebbe potuto gestire fino al 1960, quando sarebbe divenuta indipendente. Era insomma un cattivo patto, che concludeva la cosiddetta “questione eritrea” regalando l’ex Colonia Primogenita (così era nota in passato l’Eritrea) alla Corona Etiopica.

Inizialmente l’Eritrea s’era associata all’Etiopia nella forma di “Stato Libero”, con proprie strutture ed istituzioni che la distinguevano nettamente da Addis Abeba. In comune c’era solo il Capo di Stato, ovvero il Negus Hailè Selassiè, ma tolto questo in Eritrea vi erano un parlamento, dei partiti e dei sindacati, che in Etiopia invece non esistevano, dal momento che in quel caso si trattava di un’autocrazia. Inoltre l’Eritrea, anche per la sua diversa storia e per il fatto d’affacciarsi sul mare, era una nazione molto più aperta e diversificata, con un settore economico e sociale decisamente assai più progredito. Numerose erano le imprese private, le industrie e le fattorie, e del resto ai tempi del colonialismo italiano si parlava di Asmara come della “seconda Milano d’Italia”.

Nel momento in cui l’Eritrea entrò sotto l’influenza etiopica, ebbe inizio un graduale ma deciso processo di svuotamento di tutte queste istituzioni ed attività economiche, sistematicamente saccheggiate (tali spoliazioni andavano ad assommarsi a quelle già avvenute durante l’occupazione inglese, iniziata a partire dal 1941, dove i soldati di Sua Maestà avevano addirittura smontato parte delle ferrovie e persino la storica teleferica Asmara-Massaua, la più lunga del mondo). Il tutto culminò col divieto d’esporre la bandiera eritrea d’allora fuori dagli edifici pubblici e privati, e nel 1958 s’arrivò così a delle importanti rivolte che furono represse nel sangue dall’esercito etiopico con un bilancio di decine di vittime.

La situazione dunque non poteva che sfociare in una vigorosa reazione del popolo eritreo, una reazione a misura del regime che l’aveva provocata. Nel 1960 si costituì così il FLE, fondato da elementi in esilio nell’Egitto di Nasser (per la precisione Uoldeàn Uoldemariàm e Ibrahim Sultan Alì, con Hamid Idris Awate come suo primo comandante), e la sua prima azione fu proprio l’attacco ad una caserma etiopica sul Monte Adal, il Primo Settembre 1961.

A quell’azione seguirono altre sortite sempre vittoriose per il movimento, con le forze del Negus ripetutamente sconfitte o aggirate. Nel 1962, molto probabilmente a causa di ferite riportate durante uno di questi vittoriosi scontri militari, Hamid Idris Awate morì. Sul luogo della sua sepoltura, lo Stato di Eritrea ad indipendenza appena ottenuta ha fatto costruire un’importante statua in sua memoria.

Hamid Idris Awate è stata una figura indubbiamente eroica per il suo paese, ma anche un valido esempio per molti altri combattenti rivoluzionari nel resto del mondo. La sua storia, per molti versi, ricorda quella di un altro grande combattente, Amedeo Guillet, noto come il “Comandante Diavolo” o anche come il “Lawrence d’Arabia italiano”, la cui figura paradossalmente è più nota ed amata in Eritrea, dove viene venerato come eroe nazionale, che nel nostro paese.

Lo ricorda anche per il fatto che, prima di darsi alla guerriglia per l’indipendenza dell’Eritrea, Hamid Idris Awate abbia appreso i primi e preziosi insegnamenti militari nel leggendario Corpo degli Ascari, fondato dagli italiani e che vedeva al suo interno combattenti eritrei di grandissimo valore (parlare di battaglie come Cheren o Gondar senza citare gli Ascari ed il loro infinito valore sarebbe semplicemente assurdo).

Di etnia tigré e figlio di contadini, Hamid Idris Awate fin da ragazzo s’era fatto notare per il suo carisma, le sue doti strategiche ed organizzative, e la sua stupefacente capacità di maneggiare praticamente qualsiasi arma. A renderlo ancora più stimato nella comunità, poi, vi erano anche la sua profonda onestà e correttezza, unite alla capacità di parlare fluentemente l’arabo, il tigrino, il tigré, oltre alle lingue cunama, nara e hedareb.

A partire dal 1935 aveva prestato servizio fra gli Ascari, divenendo ufficiale dopo un breve periodo d’addestramento a Roma. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ebbe un ruolo determinante nell’Eritrea orientale, dapprima nella città di Cassala, storico crocevia fra Eritrea e Sudan, quindi combattendo al fianco degli italiani proprio nella storica e definitiva battaglia di Cheren, dove manifestò tutto il suo valore. Quindi, proprio come Amedeo Guillet, non rassegnandosi all’occupazione inglese, si diede alla macchia impegnando le forze britanniche in una lunga guerriglia che le mise seriamente alla prova e che ne fece il personaggio più stimato nella regione di Gash-Barka. In quei duri mesi non dovette soltanto confrontarsi con gli inglesi, ma anche coi predoni “sciftà”, legati alla monarchia etiopica.

Ad un certo punto dovette persino fuggire, per aver colpito per legittima difesa un militare inglese. Ma tanto era autorevole e ben amato dalla popolazione, che ben presto le autorità britanniche rinunciarono a cercarlo, preferendo scendere a patti.

La lotta iniziata da Hamid Idris Awate e dal FLE, come molti di noi sapranno, fu ad un certo punto portata avanti con maggiori capacità e combattività dal FPLE, il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo, guidato a partire dalla fine degli Anni ’70 da Isaias Afewerki, che l’ha condotto alla definitiva vittoria ed indipendenza del paese e quindi all’odierno ruolo di forza di governo, come Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia. Da quegli anni di guerra e di presa di coscienza continue sono poi nati documenti fondamentali come la Carta Nazionale e la Costituzione Eritrea.

Oggi il Primo Settembre è una data che ha molti significati: indica non soltanto l’inizio del processo politico e militare che ha portato gli eritrei a conquistare l’indipendenza, ma anche una riconciliazione con quel paese, l’Etiopia, con cui hanno incontestabilmente profondi legami storici e culturali, ma contro il quale si sono ritrovati in molti momenti del Novecento così come del nuovo secolo. Recentemente l’Etiopia, dopo un fondamentale cambiamento di governo, ha accettato tutti i termini degli Accordi di Algeri del 2000, che già erano riconosciuti dall’Eritrea. Vengono così meno tutte le ragioni che dividevano i due paesi, ma anche quelle che a livello internazionale comportavano (oltretutto arbitrariamente ed ingiustamente) la delegittimazione e l’isolamento dell’Eritrea. Una nuova stagione di pace e collaborazione si apre per tutta la regione del Corno d’Africa così come per il Mar Rosso e il Golfo di Aden, e in questo senso potrebbero esserci positive ricadute anche per la Somalia, un paese le cui sofferenze sono ormai fin troppo dolorosamente cronicizzate.

Concludendo questo articolo, possiamo solo affermare che Hamid Idris Awate resti in ogni caso uno dei tanti fili conduttori che legano la storia italiana a quella eritrea, la tradizione militare ed il coraggio degli Ascari a quella dei combattenti eritrei che hanno liberato il loro paese nella lunga impresa del 1961-1991. Proprio perché ora in Italia si torna a parlare dell’Eritrea e dell’impellenza di rinverdire gli storici legami che accomunano i nostri due paesi, è dunque necessario ricordarci di queste persone e delle loro gesta. E’ un debito che dobbiamo onorare non soltanto con la nostra storia e la nostra memoria, ma anche con la nostra dignità.