
Luciano Moggi è tornato ufficialmente protagonista nel mondo del calcio: l’ex padrone del calcio italiano, ufficialmente radiato dagli stadi del Belpaese, ha infatti firmato un contratto di collaborazione con il club albanese del Partizani Tirana. Ripercorriamo la sua ascesa inarrestabile ma anche il suo repentino declino post-Calciopoli.
GLI INIZI (1937-76): LUCIANONE “ER PALETTA”
Luciano Moggi nasce a Monticiano (provincia di Siena) il 10 luglio 1937 da Damiano, un umile boscaiolo. Fin da piccolo è un grande appassionato di calcio, si dice che questa passione gli sia stata trasmessa da Graziano Galletti, un panettiere di Grosseto amico di famiglia che poi si trasformerà nel suo inseparabile braccio destro.
Nella stagione 1963/64 Luciano Moggi, che nella vita di tutti i giorni fa il ferroviere dopo aver abbandonato a soli quattordici anni gli studi, tenta l’avventura nell’Akragas, gloriosa società di Agrigento che militava in Serie D, ma dura poco. Appesi definitivamente gli scarpini al chiodo, Lucianone continua a fare il ferroviere in quel di Civitavecchia (dove era soprannominato “er paletta” per la sua innata abitudine a scavalcare i colleghi di lavoro in mansioni che non gli competevano).
La svolta giunge all’età di Cristo, nel 1970 quando, dopo aver abbandonato le Ferrovie dello Stato (ricevendo una pensioncina-baby), il potente Italo Allodi lo assume nella sua scuderia di osservatori e lo porta alla Juventus. Lucianone subito si fa notare per le sue abili doti di conoscitore del calcio, segnalando alla Vecchia Signora giocatori del calibro di Paolo Rossi, Claudio Gentile, Gaetano Scirea e Franco Causio, tutti virgulti sconosciuti che militavano in squadrette della sonnolenta provincia italiana e poi destinati a grande carriera.
Addirittura è Moggi tra gli artefici della trasformazione tattica di Scirea da mezzala a libero di caratura mondiale. Allodi affida a Lucianone anche il compito di sbolognare i giovani juventini meno interessanti, e qui entra in scena il nostro eroe che inizia a rifilare in giro una lunga serie di “bidoni”, grazie alla sua proverbiale dialettica. Nel 1973 Allodi lascia, a causa di dissidi con Boniperti ma Moggi resta alla Juve come “primo osservatore”, è solo l’inizio di una lunga scalata!
ROMA (1976-79): CENA TRA AMICI
Nel 1976/77, poiché Boniperti a Torino è diventato una sorta di Re Sole, Moggi decide di cambiare aria, e firma per la Roma di Gaetano Anzalone, un palazzinaro democristiano assolutamente a digiuno di calcio e che ha bisogno a fianco a lui di uno che ne capisca di pallone.
Lucianone subito si rende protagonista nell’estate 1978 portando nella capitale il centravanti genoano Roberto Pruzzo, vecchio pallino juventino, rifilando così il primo dispiacere al suo nemico Boniperti. Il periodo romanista è ottimo pure per entrare negli ambienti che contano, sia con i politici (soprattutto democristiani di fede andreottiana), sia con i dirigenti, sia con i giornalisti, e qui il nostro idolo inizia a sviluppare le sue innate doti di manovratore.
Il suo regno a Roma, però vacilla con l’arrivo di Dino Viola, nel 1979, l’ingegnere non condivide infatti i metodi moggiani ma soprattutto si accorge che Lucianone pretende troppi soldi, così nel dicembre di quell’anno gli dà improvvisamente il benservito.
Si scopre che il motivo dell’allontanamento di Moggi è un altro: alla vigilia di Roma – Ascoli, del 25 novembre 1979, Lucianone è sorpreso in un ristorante della capitale a cena con l’arbitro del match, il signor Pieri e i due guardalinee dal segretario e dal legale della squadra avversaria, e durante la partita l’arbitro dirige in modo scandaloso a favore della Roma, facendo schiumare di rabbia il sanguigno presidente ascolano Costantino Rozzi. La storia purtroppo non avrà un seguito legale, anzi, pochi anni dopo Rozzi e Moggi diverranno grandi amici…
LAZIO (1980-82): IL FERROVIERE NELLA BUFERA
Moggi però non resta con le mani in mano, e da buon mercenario nel maggio 1980 passa alla Lazio come direttore sportivo, in una società in crisi e coinvolta pesantemente nello scandalo scommesse, di cui Lucianone, nonostante sia un tipo che notoriamente sa sempre tutto di tutti, non sa assolutamente nulla…
Il suo primo colpo di mercato è un incredibile flop: compra l’attaccante della nazionale olandese Renè Van De Kerkhof, scontentando l’allenatore Castagner che voleva il fratello Willy, ben più capace e forte, ma il suo ingaggio avviene proprio il giorno in cui la Lazio retrocede a tavolino in B, e quindi il giocatore se ne torna in Olanda, perché in serie B gli stranieri non possono essere tesserati.
Moggi così decide di puntare alla presidenza della gloriosa società romana ma nei fatti viene scavalcato dai suoi collaboratori! Lucianone, sconsolato, sbotta nel suo consueto stile: “Qui alla Lazio i rapporti non sono leali, sembra che ci siano dei partiti (??), qualcuno mi ha visto amico di qualcuno mentre io sono amico di tutti!”, incorreggibile!
TORINO (1982-87): IL GATTO E LA VOLPE
Nel 1982 Luciano Moggi diventa direttore sportivo del Torino e qui inizia il succo della storia. Lucianone in Piemonte non arriva da solo, il Torino infatti finisce in mano a Sergio Rossi, uomo FIAT, che nomina amministratore delegato un giovane avvocato, tal Luciano Nizzola (ne risentiremo parlare).
I due Luciani legano subito, tanto è vero che saranno noti nell’ambiente torinese come “Il gatto e la volpe” (su chi sia la volpe dei due è facile immaginare dai!). Moggi inizia subito con i fuochi d’artificio la sua avventura granata: ingaggia Safet Sušić, forte attaccante slavo che però ha firmato un regolare contratto anche con l’Inter soffiandolo così alla Beneamata, poi tessera il centravanti del Catanzaro Carlo Borghi prima dei termini del regolamento, facendo poi successivamente marcia indietro…
Ai mondiali di Spagna acquista un brocco della nazionale argentina, tale Patricio Hernandez, costato la bellezza di 5 miliardi (Platini è costato solo 150 milioni in più alla Juve…) e spacciato dal nostro eroe come un fenomeno di primo piano, il “nuovo Maradona”.
Comunque le cose al Torino non vanno molto bene, il primo allenatore della gestione Moggi è Bersellini, notorio sergente di ferro: Lucianone gli promette di tutto, ma la squadra è mediocre, naturalmente a farne le spese è il tecnico, esonerato grazie ad una campagna stampa montata dai giornalisti amici di Moggi che all’ombra della Mole crescono giorno dopo giorno. Al suo posto non viene chiamato un tecnico qualsiasi bensì Gigi Radice, l’allenatore dello storico scudetto granata del 1976, e con il brianzolo in panchina il Toro inizia un’impetuosa scalata fino al secondo posto del campionato 1984/1985 dietro al miracoloso Verona di Osvaldo Bagnoli.
In quegli anni però, Moggi bada soprattutto ai suoi interessi, si fa gli affaracci suoi insomma e intrattiene numerose relazioni di mercato con il Cagliari di Alvaro Amarugi (un imprenditore maremmano suo amico), dalle quali ricava miliardi da mettere nelle proprie tasche (il caso più eclatante è quello di Danilo Pileggi che passava ogni anno dal Cagliari al Torino e viceversa).
Anche a Torino iniziano i guai, nell’estate 1985 Moggi si fa soffiare il bomber Serena dalla Juve (e la cosa puzzava abbastanza poiché il presidente Sergio Rossi era un uomo FIAT…), la squadra arriva solo quinta e i tifosi iniziano a protestare contro la dirigenza, definita “serva degli Agnelli”.
L’anno successivo è un calvario, i contrasti con il duro Radice sono all’ordine del giorno: Lucianone semina zizzania nel gruppo e fa di tutto per mettere la stella della squadra Junior contro il proprio tecnico riuscendoci; a fine anno il brasiliano sbatterà la porta e se ne andrà a Pescara alla corte di Galeone (amico di Moggi, coincidenza?).
La domenica lo Stadio Comunale intanto è tutto un grido “Moggi! Moggi! Quanti soldi rubi oggi!”. Lo scaltro Lucianone capisce che la sua avventura granata è finita e così esce di scena. Pochi giorni dopo le sue dimissioni, in perfetto stile Moggi, il Napoli di Ferlaino e Allodi, che ha appena vinto lo scudetto grazie ad un grande Maradona, annuncia il nome del suo nuovo direttore sportivo, indovinate chi è, si proprio lui: Luciano Moggi!
NAPOLI (1987-91): I MIRACOLI DI SAN LUCIANO
Moggi è assunto da Ferlaino a Napoli, come successore del suo maestro Allodi, che è molto malato, e toglie il posto a Pierpaolo Marino, troppo giovane per avere una così grande responsabilità di un club che vuole ora affermarsi anche in Europa. Marino sulle prime la prende non male, malissimo, ma negli anni successivi troverà modo di riappacificarsi con Big Luciano…
Anche sotto il Vesuvio, il nostro egocentrico eroe, non abbandona la tendenza ad esagerare, scavalcare, prevaricare sugli altri. Come primo botto di mercato Moggi porta in azzurro il terzino del Toro e della Nazionale Giovanni Francini, pagato dal Napoli un tozzo di pane… Sotto il Vesuvio Lucianone stringe amicizia con Gigi Pavarese, che alla corte di Ferlaino è una sorta di segretario, ma Moggi lo trasforma nel suo inseparabile braccio destro; inoltre per mettere le mani sulla squadra si scontra con l’allenatore Ottavio Bianchi stringendo rapporti stretti con Maradona (“Il problema Maradona non esiste” dichiarerà svariate volte Lucianone per coprire le marachelle di Dieguito).
L’esordio di Moggi a Napoli non è dei migliori però: in Coppa Campioni il Napoli trova il fortissimo Real Madrid e viene eliminato al primo turno. Resta così solo il campionato: Moggi dà dimostrazione del suo potere quando, durante la partita Pisa – Napoli, il libero del Napoli Renica viene colpito da un oggetto lanciato dagli spalti; il Napoli perde sul campo 1-0, ma il giudice sportivo, pressato da una forte campagna di stampa (diretta proprio dai numerosi giornalisti amici di Moggi che fioccano anche sotto il Vesuvio), ribalta l’esito, decretando il 2-0 a tavolino in favore del Ciuccio.
Il campionato sembra una passeggiata di salute perché l’unico avversario degno di Maradona e soci è il Milan sperimentale di Arrigo Sacchi, ma ad aprile, quando gli azzurri sono a +5 sul Milan, la squadra improvvisamente cede e perde il tricolore; nello scontro clou il Milan allenato da Sacchi sbanca il San Paolo con un perentorio 3 a 2 in una delle partite più belle della storia della Serie A.
Scoppia così il pandemonio, il gruppo rompe con l’allenatore Bianchi, noto per il suo carattere duro e autoritario, e anche ai vertici c’è divisione: Ferlaino appoggia lo spigoloso tecnico lombardo, i giocatori invece con un assurdo comunicato scaricano tutte le colpe sul povero allenatore! Dietro tutto questo c’è sempre lui, Lucianone Moggi, che con piglio andreottiano cerca di fare da mediatore tra il presidente che difende l’allenatore e i giocatori che non lo possono soffrire. Alla fine della fiera sono individuati quattro capi espiatori (Bagni, Ferrario, Giordano e Garella, guarda a caso i giocatori con meno mercato e invisi a Lucianone…) e il caso si chiude lì.
Naturalmente Moggi di infiltrazioni della camorra nella squadra, sesso e coca che volava a fiumi negli spogliatoi e scudetti venduti “non ne sa nulla”, strano no?!
Dopo un primo anno a dir poco disastroso Lucianone cerca il riscatto, così sul finire del mercato estivo acquista due giocatori di livello, il brasiliano Alemão, riuscendo a fregare persino il focoso presidente dell’Atletico Madrid Jesus Gil y Gil (che lo definisce “un despota con atteggiamenti da Humphrey Bogart, è venuto qui pensando che siamo tutti dei coglioni!”) e il mediano Massimo Crippa, soffiato ancora alla Roma, ancora con tecniche discutibili.
Nel ritiro di Madonna di Campiglio Lucianone si scatena, punendo il difensore Moreno Ferrario per indurlo a lasciare il Napoli e costringendo il mediano Salvatore Bagni a firmare per l’Avellino, mentre in diretta tv ne annuncia il passaggio al Torino (dieci anni più tardi lo stesso giocatore diverrà opinionista televisivo e sarà sempre attento a non criticare Moggi e la sua Juve…).
Ovviamente a Maradona, che non vuole allenarsi, che critica l’allenatore e la società ogni volta che apre bocca, Moggi consente tutto. Anzi, trova perfino il modo di sistemare suo fratello minore, Hugo, all’Ascoli dell’amicone Rozzi!
Il meglio di sé però Lucianone lo dà in Coppa Uefa: nei quarti, contro la Juve, dopo aver perso all’andata per 2-0 al San Paolo gli azzurri si impongono per 3-0, ma la gara è falsata da un gol annullato inspiegabilmente alla Juve dall’arbitro Kirschen, che da allora a livello internazionale sparirà dalla circolazione; anche nella finale di andata con lo Stoccarda il Napoli pareggia con un rigore letteralmente inventato dall’arbitro greco Germanakos, che poi viene visto la notte stessa da due giornalisti RAI entrare con i guardalinee in un famoso albergo di Napoli accompagnato da tre “signore” dai costumi molto facili…
Ma Lucianone è felice e commosso per il suo primo trofeo e durante le premiazioni riceve i complimenti del Presidente della Lega, indovinate chi è: Luciano Nizzola! In campionato il Napoli non è da meno: in una delle ultime partite di campionato si presenta in casa dell’Ascoli dell’amico Rozzi privo di mezza squadra, addirittura gioca nel ruolo di centravanti il secondo portiere Di Fusco, e ciò manda su tutte le furie il Torino, diretta rivale dell’Ascoli nella lotta della retrocessione.
Alla fine i granata retrocederanno proprio a causa di questo scherzetto combinato dal Napoli e Moggi si vendica in questo modo della sua ex squadra!
Intanto lo spogliatoio azzurro è una bolgia dantesca, i conflitti e i battibecchi sono all’ordine del giorno ma Moggi anche qui è padrone assoluto e ottiene l’allontanamento di “Piastrella” Bianchi, ormai esausto e stufo, sostituito con un suo uomo di scuderia, Albertino Bigon.
L’estate ’89 è un continuo show Maradona-Moggi. Diego ha rotto con Ferlaino e non vuole più tornare a Napoli, anche perché minacciato dalla camorra che come avvertimento entra a casa sua e ruba tutti i suoi trofei, ma Moggi con una tecnica da prestigiatore riesce incredibilmente a convincerlo, e Maradona per ringraziare Lucianone lo invita al suo matrimonio, uno dei festini più squallidi e pacchiani che si siano mai visti sulla faccia della terra.
Il campionato è emozionante, un lungo testa a testa con il fortissimo Milan sacchiano: questa volta alla fine la spunterà il Ciuccio grazie al famoso episodio della “monetina” di Bergamo e alla sceneggiata napoletana della coppia Alemão e Carmando (con quest’ultimo che dalla panchina grida al brasiliano che sembrava esser stato investito da un tir “Buttati a terra! Buttati a terra!”).
La sceneggiata improvvisata dal centrocampista brasiliano e dal massaggiatore darà al Napoli una preziosissima vittoria a tavolino contro gli ostici orobici.
Silvio Berlusconi dopo la sconfitta decisiva (infarcita da clamorose sviste arbitrali sfavorevoli ai rossoneri) contro il Verona di Bagnoli che spiana la strada al Napoli verso il tricolore parla apertamente di “sentenza” ai danni del Milan.
La squadra festeggia il suo secondo (ed ultimo) tricolore con un mega festino ai bordi dell’Angelina Lauro, un festino chiacchieratissimo per la presenza di fiumi di droga, alcol e pezzi della camorra e che tra l’altro ha costato la vita al portiere Giuliano Giuliano che si è beccato l’AIDS proprio in quel maledetto giorno (morirà solo e dimenticato da tutti sei anni più tardi nel 1996). L’anno successivo invece per Lucianone sarà un lungo ed estenuante calvario perché il gruppo scoppia e Maradona sembra aver imboccato il fatidico viale del tramonto: il 17 marzo 1991 Maradona viene trovato positivo all’antidoping, pur essendo risaputo che l’argentino è tossicodipendente da anni, come mai il caso esplode quando Moggi qualche giorno prima aveva dato le dimissioni dal Napoli? Che tempismo…
A fine stagione Moggi viene accusato di conflitto d’interessi, di intrattenere rapporti di lavoro principalmente con calciatori assistiti del procuratore Bruno Carpeggiani, di cui tratta acquisti e cessioni anche se non riguardano la società di cui è dipendente, tempi decisamente bui per quello che in Italia incomincia ad essere noto come il “re del mercato”.
TORINO (1991-93): UN’ALTRA COPPIA DA SBALLO
Nell’aprile ’91 Lucianone ritorna al Torino, portandosi dietro il fido Pavarese e Andrea Orlandini; qui Moggi finalmente può agire da boss: il presidente Gian Mauro Borsano, uno spregiudicato finanziere craxiano, è infatti completamente a digiuno di calcio.
Dopo la coppia Moggi-Nizzola (“Gatto&Volpe”) al Toro si forma così un altro magico duo: con Borsano Moggi formerà una vera e propria coppia da sballo che collezionerà guai giudiziari a manetta! La seconda avventura granata di Lucianone inizia subito con il botto: l’arbitro D’Elia, in quel momento considerato il miglior arbitro italiano, è sorpreso a cena con Moggi ed è quindi sospeso.
Intanto la strana coppia Moggi-Borsano prima di confezionare guai giudiziari a fiotti, si rende protagonista anche di pezzi d’ indimenticabile cabaret come il commento di Lucianone sul nuovo calendario di serie A 1991/92: “Il nostro è un calendario complicato, eravamo teste di serie, ma siamo stati trattati come teste di cazzo!”.
Come a Napoli Moggi dà il meglio di sé nelle coppe europee: anche il Torino infatti arriva in finale di Coppa Uefa aiutato da clamorose sviste arbitrali, ma viene sconfitto dall’Ajax. Borsano in un momento di sconforto nel dopopartita si dice abbia detto questa frase in tribuna: “Abbiamo perso anche perché quel coglione di Moggi, invece di andare a trovare l’arbitro, ha perso tempo a giocare a poker con i suoi amici“.
L’anno dopo (1992/93) è tutto sotto il segno dell’affare Lentini, una cessione da quaranta miliardi con pagamenti in nero e tangenti da capogiro, e anche quello dell’acquisto, a suon di miliardi, di tal Saralegui, un vero e proprio bidone spacciato come un campione dall’ineffabile Moggi.
In mezzo a questo marasma la società granata è intanto passata di mano: da Borsano a Goveani (che in realtà è un suo semplice prestanome…), Moggi quando si tratta di scalare società di calcio rimane ancora una volta con il cerino in mano perché la poltrona da presidente la desiderava certamente!
Proprio in questo periodo (siamo negli anni di Tangentopoli) vengono a galla diverse inchieste giudiziarie. Borsano, finito nel mirino della magistratura per la bancarotta della sua holding, la Gima, decide improvvisamente di “cantare” e il finanziere parla di acquisti conditi con mazzette in nero, compravendite di finti calciatori per coprire gravi irregolarità di tesseramento.
Grazie alla testimonianza del segretario del Torino, il ragionier Matta, appena andato in pensione, la Guardia di Finanza trova ancora carte interessanti, riguardanti la coppa Uefa dell’anno precedente, dove Moggi offriva agli arbitri servizi “extra” come le notti di sesso in albergo con prostitute d’alto bordo.
Questa volta non si riesce ad insabbiare la vicenda perché lo scandalo è troppo evidente: Moggi scarica tutte le responsabilità su Pavarese, il suo tirapiedi, che ne è ben felice, i due finiscono nei guai, anche perché indagati per sfruttamento della prostituzione e illecito sportivo. Moggi durante gli interrogatori perde la sua proverbiale dialettica e si contraddice più e più volte (Lucianone parlerà prima di hostess, poi di interpreti…). Ma i loro avvocati trovano un cavillo che salva il sedere ad entrambi: il reato d’illecito sportivo, incredibile ma vero, vale infatti solo per il campionato italiano e non per le manifestazioni europee e il caso viene così archiviato perché mancano prove concrete che colleghino la coppia Moggi/Pavarese alle prostitute. Per le compravendite in nero Moggi si salva pagando un’oblazione di poche centinaia di migliaia di lire; quando in quegli anni Jovanotti scriveva “Ragazzo fortunato” probabilmente pensava all’ex ferroviere!
Passata “a’ nuttata” dei guai giudiziari Moggi continua ad arricchirsi con i fondi neri intascati dalle trattative per i “giocatori fantasma” (Lucianone è riuscito nell’impresa di tesserare pure il figlio della segretaria del Torino, studente di giurisprudenza a Bruxelles!) con le cessioni sovrafatturate da cui ricavare preziosi soldi per le proprie tasche e con la vendita di biglietti di tribuna d’onore in nero! Appiedato dal Torino, Moggi cerca una sistemazione temporanea in attesa di andare alla Juve, il suo personale Parco della Vittoria e viene così ingaggiato per la stagione 93/94 dalla Roma come consulente.
ROMA (1993-94): IL DOPPIO GIOCO
Moggi approda alla società giallorossa che è contesa da due padroni, Mezzaroma e Sensi, e lui è ingaggiato dal primo ed inviso dal secondo.
Nell’ambiente calcistico tutti sanno che Moggi sta semplicemente contando i giorni che lo separano dalla Juventus e nessuno si meraviglia quando sia Paulo Sousa che Ciro Ferrara, che sembravano ad un passo dal vestire il giallorosso, approdano invece il bianconero… Intanto un altro Moggi entra nel mondo del calcio, il ventenne figlio Alessandro, che supera brillantemente l’esame per diventare procuratore e subito raccoglie centinaia e centinaia di calciatori, solo perché è figlio del potente Lucky Luciano!
Lucianone, dopo aver esaurito la sua breve e grigia parentesi romanista, è pronto per definitivo il grande salto, e a giugno, in una memorabile puntata del “Processo” condotto dall’amicone Biscardi, annuncia il suo passaggio alla Juventus. C’è un piccolo problema: a Torino Moggi è ancora sotto inchiesta giudiziaria e quindi la Juventus nega l’assunzione dell’ex ferroviere maneggione e plurinquisito che trascorre i primi mesi in casa Juve come una sorta di clandestino a bordo.
L’Avvocato Gianni Agnelli prende con il suo consueto stile l’ingaggio dell’ex direttore sportivo del Toro: “lo stalliere del Re deve conoscere tutti i ladri di cavalli”.
JUVENTUS (1994-2006): L’APOTEOSI
Nel giugno del 1994 a Torino inizia una nuova era: la “triade” Moggi – Giraudo – Bettega inizia la rivoluzione epurando tutti gli uomini vicini a Boniperti dando vita al cosiddetto “ostile Juventus”.
Lucianone perde quel poco che gli restava di umano che lo rendeva simpatico all’opinione pubblica (la vicinanza dello spocchioso Bettega e dell’ombroso Giraudo gli è contagiosa!), quel suo fare caciarone e ruspante, e adotta un cipiglio arrogante e supponente, tipico di un padrino mafioso, ormai si sente intoccabile!
Anche il nuovo allenatore Marcello Lippi, noto per i suoi modi di fare da gentleman, sembra vittima di questa metamorfosi… Il 13 agosto 1995 si registra la prima gaffe di Moggi alla Juventus: in occasione di una partita di beneficenza giocata dalla Juve in memoria di Andrea Fortunato con Napoli e Salernitana una parte dell’incasso è trattenuto dalla Juve come “titolo d’ingaggio” (da 800 a 400 milioni).
La peggiore caduta di stile avviene nella primavera del 1997, quando, in occasione dei festeggiamenti per il centenario della società bianconera, manca all’appello forse l’uomo più rappresentativo della storia della “Vecchia Signora”, il presidente onorario Giampiero Boniperti, un po’ come festeggiare il Giubileo senza il Papa! Addirittura nel filmato proiettato per l’occasione, la grande Juve targata Boniperti degli Anni Settanta-Ottanta non è nemmeno menzionata. Inoltre mentre la vedova di Gaetano Scirea sta per commemorare quel grandissimo fuoriclasse (e uomo) che è stato suo marito, sullo sfondo di un megaschermo appare la foto dell’ex libero bianconero affiancata ad una nota marca di orologi… incredibile!
E questo non è tutto: al povero Boniperti viene revocata la tessera per la tribuna d’onore e la società, sotto l’occulta regia di Lucianone, gli affibbia provocatoriamente un biglietto per il secondo anello del Delle Alpi! Lo stile Moggi è arrivato alla pura volgarità gratuita. Boniperti, da gran signore qual è, allo stadio della Juve moggiana non ci metterà mai più piede…
Non parliamo poi di altre figure barbine fatte fare all’avvocato Agnelli in sede di mercato, relative alle cessioni di Vieri e Jugović (smentite da Moggi all’avvocato a fatto già compiuto), o a incredibili dichiarazioni riguardanti presunti torti arbitrali come la tirata di Bettega dopo la sconfitta nella finale di Champions contro il Borussia Dortmund (“Abbiamo perso contro una Federazione troppo più potente della nostra!”). Questo è solo un piccolo antipasto perché l’arrivo di Moggi alla Juventus porta con sé una marea inimmaginabile di scandali.
Gestione illecita dei biglietti
Il primo scandalo in cui incappa la Juventus targata Moggi è quello relativo alla gestione “illecita” dei biglietti (sia per le partite interne che esterne) con conseguente favoreggiamento nei confronti del fenomeno odioso del bagarinaggio, e soprattutto verso gli ultrà più facinorosi che di fatto si trasformano in una sorta di “guardia pretoriana” della Triade.
La società che avrebbe dovuto occuparsi della distribuzione dei biglietti, la Stadio Service (gestita dal figlio di Baldo Depetrini, gloria della Juve degli Anni Trenta-Quaranta), subisce danni dal 1994 al 1996 per oltre un miliardo e 600 milioni, ovviamente mai risarciti dalla Juventus. Inoltre Lucianone e i suoi sgherri gestiscono la tifoseria per contestare membri poco graditi all’interno della società, la prova è che Giraudo e Bettega vengono sorpresi dal padrone della Stadio Service mentre stanno per compilare uno striscione nel distributore di benzina dietro al Delle Alpi. Lo striscione verrà poi esposto allo stadio e recitava uno slogan inequivocabile e molto eloquente: “Romiti i bei tempi sono finiti!”.
Il campionato degli scandali 1997/98
Il campionato 97/98 è uno scandalo, uno dei più vergognosi della storia della Serie A: la Juve lo vince per scandalosi e reiterati favori arbitrali, tanto da ispirare una canzone di Elio e Le Storie Tese, “Ti amo campionato”, ma elenchiamoli tutti in ordine cronologico:
1) Udinese – Juve (1 novembre 1997), sull’ 1-1 l’arbitro Cesari non vede un gol regolarissimo di Bierhoff che era entrato “di tanto così”, vince ovviamente la Juve;
2) In Juventus – Roma (8 febbraio 1998), sul 2-1 l’arbitro Messina non fischia un rigore immenso al giallorosso Gautieri, vince ancora la Juve;
3) In Juventus – Lazio (6 dicembre 1997), l’arbitro Boggi concede alla Juve un rigore molto dubbio, regalandole la vittoria: Del Piero viene atterrato in area, l’arbitro in un primo momento lascia correre ma poi quando Inzaghi manda il pallone a stamparsi sul palo torna sui suoi passi e indica il dischetto!
4) In Brescia – Juventus (10 febbraio 1998), l’arbitro Bettin non fischia un rigore “grosso così” a Hubner, vince ancora la Vecchia Signora.
5) In Juventus – Sampdoria (15 febbraio 1998), Rodomonti espelle il doriano Laigle ingiustamente e convalida un gol di Inzaghi in netto fuorigioco, vince in scioltezza la Juve 3-0;
6) In Juventus – Bari (28 febbraio 1998), l’arbitro De Santis non vede una gomitata clamorosa di Montero sul barese Neqrouz in piena area di rigore, era calcio di rigore ed espulsione e invece vince ancora la Juventus 1-0!
7) In Juve – Napoli (15 marzo 1998), sullo 0-0, Racalbuto non convalida un gol regolare a Bellucci, la partita finisce con un salomonico 2-2.
8) In Lazio – Juventus (5 aprile 1998), un rigore clamoroso per fallo di mano di Juliano al 90° non è concesso da Collina, così la Juve può vincere con un comodo 1-0;
9) In Juventus – Piacenza (11 aprile 1998), l’arbitro Borriello convalida un gol (bellissimo tra l’altro) di Del Piero che però si era aggiustato il pallone con il braccio, vince la Vecchia Signora 2-0.
10) In Empoli – Juve (19 aprile 1998), ancora Rodomonti non convalida un gol del toscano Bianconi, la Juve vince di misura 1-0 grazie a questa svista;
11) Infine la madre di tutte le partite-scandalo, Juve – Inter (26 aprile 1998), con il famoso rigore non concesso a Ronaldo per fallo di Juliano e quello invece inesistente fischiato a favore dei bianconeri sul ribaltamento del gioco (fallito da Del Piero). L’arbitro Ceccarini di Livorno non espelle due giocatori bianconeri ma estrae il cartoncino rosso all’interista Ze Elias, naturalmente la Juve vince 1-0 e grazie a questa rapina si cuce lo scudetto!
Restiamo però su questa memorabile quanto discussa partita: mentre bianconeri e nerazzurri se le danno di santa ragione in campo, sugli spalti del Delle Alpi un fotografo scatta una foto a dir poco sconcertante, che ritrae in tribuna vip il designatore degli arbitri Fabio Baldas, il giornalista Di Tommaso (che per inciso non dovrebbe essere lì), il moviolista del “Processo di Biscardi” e “avvocato” della classe arbitrale, nonché e amicone di Moggi, e il capo ultras romanista “Er Mortadella”, altro amicone intimo di Big Luciano. Più che ultras della Roma si dice che l’ineffabile Mortadella (nessuna parentela con Romano Prodi sia chiaro) fosse tifosissimo di Lucianone! Questa foto darà origine a nuove inchieste giudiziarie, naturalmente senza esito perché il potere di Moggi e della sua Juventus è troppo grande!
Lo scandalo doping (estate 1998)
Nell’estate ’98 il tecnico della Roma Zdĕnek Zeman (nipote di Čestmir Vycpàlek, ex giocatore e allenatore della Juve nonché amico personale di Boniperti) denuncia il doping nel calcio in una famosa intervista all’Espresso (“Il calcio deve uscire dalle farmacie”), accusando senza giri di parole la Juve moggiana, per l’uso massiccio di doping e creatina e nello specifico i calciatori Vialli e Del Piero.
Ciò dà inizio ad un’inchiesta del procuratore Guariniello, che sospetta dell’uso di Epo da parte della squadra bianconera, e tra le altre cose si scoprono controlli taroccati antidoping presso il laboratorio FIGC dell’Acquacetosa, definito “all’avanguardia” dal “gatto” Nizzola divenuto nel frattempo presidente della FIGC! Invece si scopre che in questo laboratorio mancano addirittura i controlli sul ph delle urine (poteva esserci anche acqua o Coca Cola nelle provette e nessuno se ne sarebbe accorto!). Si scopre inoltre che i valori di ematocrito del capitano Del Piero e del centrocampista Conte sono completamente sballati. Il processo finisce con un autentico flop e Moggi ancora una volta è all’oscuro di tutto, come sempre del resto!
La Gea, alias la società dei magnaccioni (2001)
Nel 2001 nasce ufficialmente la “cupola” della mafia calcistica, la Gea World, che gestisce gli affari di circa trecento giocatori e allenatori di A e B sotto la gestione di Alessandro Moggi, figlio di Luciano e altri figli/figlie del gotha del mondo affaristico italiano (Geronzi, Cragnotti, Tanzi, Calleri, eccetera). Insomma Moggi senior attraverso il figlio centinaia e centinaia di calciatori che militano in squadre e società avversarie, alla faccia della regolarità dei campionati.
– L’apogeo moggiano (2001-03)
Il triennio 1998-2001 è poco fortunato per Moggi che perde l’incredibile campionato 1999/00 sotto il diluvio di Perugia, nel 2001/02 però Lucianone torna a trionfare nel famoso 5 maggio, sempre tra le polemiche, con l’Inter che se la prende ancora una volta in quel posto (la Lazio ha giocato alla morte mentre l’Udinese si è comodamente scansata al cospetto dell’armata bianconera!).
Nel 2002/03 la Juve moggiana rivince lo scudetto ma perde la finale di Champions League contro il Milan, quisquilie queste: la vittoria fa contentissimo l’amicone Presidente della Lega Calcio Adriano Galliani e il Presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi (a proposito di conflitto d’interessi…), la diarchia Milan-Juve val bene una coppa! Nell’estate 2003 il potere di Luciano Moggi da Monticiano è ormai consolidatissimo: in Italia non si muove foglia che Lucianone non voglia. L’elenco di allenatori che hanno smesso di allenare o hanno dovuto ridimensionare la propria carriera dopo aver avuto contrasti con Big Luciano è immensa: Arrigo Sacchi, Carlo Mazzone, Gigi Radice, Ottavio Bianchi, Aldo Agroppi, Zdĕnek Zeman, Gigi Simoni, Giancarlo De Sisti. Quest’ultimo addirittura si è visto letteralmente buttare fuori dal mondo del calcio dopo aver affermato pubblicamente la seguente frase: “Moggi è il capo dei ladroni!”.
Prime crepe nella cupola (2003-05)
La stagione 2003/04 rappresenta una sorta di spartiacque nella storia di Lucianone: la sua corazzata affaristica sembra inaffondabile ma ecco che arrivano le prime crepe nel sistema.
Sul campo il ciclo di Lippi finisce e la squadra arriva terza ed urge così una rifondazione. Umberto Agnelli, gravemente malato, s’impone per Fabio Capello mentre Lucianone voleva Prandelli o Deschamps… alla fine vincono gli Agnelli e Lucianone, che è sempre un uomo dai mille volti e dalle mille stagioni, s’adegua!
Moggi intanto, su imbeccata degli Agnelli, incomincia ad essere intercettato dalla magistratura che in breve tempo ne scopre di tutti i colori. La prima intercettazione da ricordare è quella relativa al preliminare contro il Djurgårdens: Lucianone telefona all’amico Pairetto e sembra non gradire l’arbitraggio di Fandel: “Gigi che cazzo di arbitro ci avete mandato!” Pairetto gli assicura che per il ritorno la Juve avrà Cardozo, invece verrà Poll e Moggi va allora su tutte le furie “Ci mandano Paul Greeen, ci hanno cambiato l’arbitro li mortacci loro!”.
L’ipotesi di reato che i magistrati stanno per affibbiare a Moggi è molto grave: associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Il campionato inizia e la Juventus gode di ottimi favori, memorabile un Samp-Juve dove l’arbitro Dondarini, precedentemente istruito via telefono da Pairetto, s’inventa un rigore a favore della Juve. La partita finisce in rissa. Intanto proseguono le intercettazioni, alcune pittoresche come quelle con Biscardi (i due vecchi amici si chiamano più volte al giorno e con termini ambigui come “Angelo, amore mio”…), alcune a sfondo rosa come l’appuntamento galante di Moggino con Ilaria D’Amico finito male (“M’è andata a buca” confessa Moggino a Moggione), altre condite da parolacce inenarrabili come quelle con il vicepresidente FIGC, il pittoresco Innocenzo Mazzini.
Ma i pezzi forti sono ovviamente con gli arbitri: “Pinochet” Pairetto e “Atalanta Bergamo”, i due designatori arbitrali, sono pilotati da Lucianone come marionette (“Ho fatto una cazziata all’Atalanta!” si vanta Lucianone a telefono). I rapporti con Pairetto sono strettissimi: il designatore arbitrale, oltre a farsi massaggiare l’uccello assieme a tanti campionissimi juventini al Viva Lain, riceve in dono da Lucianone anche una Maserati… Stupendi anche i siparietti Moggi-Baldas, ex designatore nell’anno dello scandalo 1997/98 e ora moviolista al Processo dell’amicone Biscardi: “I cinquanta centimetri li accorci, devono diventare venti”.
Bello anche come Moggi tratta il presidente federale, il “poltronissimo” Franco Carraro: “Non deve rompere i coglioni!”. Il top Lucianone lo raggiunge il 6 novembre 2004 quando dopo la sconfitta della sua Juve contro la Reggina chiude l’arbitro Paparesta negli spogliatoi (“Ho chiuso l’arbitro in spogliatoio e ho portato la chiave in aeroporto!”) come nelle risse nei campetti di periferia. Altra partita sospetta è Juventus-Udinese del 13 febbraio con Moggi che a telefono detta via telefono ad “Atalanta” le intere designazioni di giornata! Lucianone influisce anche sulle convocazioni in Nazionale, nazionale guidata dall’amicone Lippi. E’ proprio Moggi a suggerire le convocazioni di Chiellini e Iaquinta (assistiti dalla GEA, ma guarda un po’…) e volere la punizione del ribelle Miccoli. E l’hombre vertical Lippi? Ovviamente obbedisce!
È finita la festa, Calciopoli 2006
La Juve al termine della stagione 2004/05 vince lo scudetto ma Moggi è ancora sotto tiro: i suoi rapporti con il Gruppo Preziosi sono sospetti e Lucianone viene indagato per concorso nella bancarotta fraudolenta del Como. Moggi ovviamente scarica tutto su Preziosi, i magistrati non riescono ad incastrarlo e Lucky Luciano la fa franca un’altra volta!
Intanto il Bologna retrocesso di Gazzoni Frascara lancia pesanti accuse al sistema-Moggi, in estate la Juve viene assolta in appello per la faccenda doping e la gazzetta di regime bianconero Tuttosport esulta come se la squadra avesse vinto una finale di Champions! Zeman è tra i pochi ad insorgere e Moggi a telefono si vanta di volergli preparare una spedizione punitiva in pieno stile squadrista: “Questo qui bisogna prenderlo a bastonate!”.
Incominciano strani scricchiolii che però Moggi nel suo delirio d’onnipotenza non sente perché l’obiettivo non velato dell’ex ferroviere è quello di de-agnellizzare (o de-elkanizzare) la Juventus e abbiamo già visto che con le scalate societarie Lucianone non ha mai avuto troppa fortuna! Lucianone è come il gran visir del sultano: ha un potere immenso tra le sue mani ma allo stesso tempo precario, basta pestare i piedi del Sultano (leggi Agnelli) e la sua immensa fortuna è destinata ad evaporare in un baleno.
Succede così nella stagione 2005/06: la Juventus vince il campionato come un rullo compressore ma fallisce ancora una volta in Champions (la squadra di Capello esce ai quarti contro l’Arsenal).
A Primavera scoppia definitivamente il bubbone, il Sistema viene a galla, si scopre che per anni il campionato italiano è stato una gigantesca farsa, l’impatto sull’opinione pubblica è grande! Domenica 14 maggio 206, la Juventus è campione d’Italia con novantuno punti, ma tutti sanno che Moggi ha i giorni contati. Lucianone davanti alle TV sembra un altro: “Mi hanno ucciso l’anima” bofonchia tra le lacrime. “Da oggi mi dimetto da direttore generale della Juventus, il calcio non è più il mio mondo”.
Anche la volpe più astuta è così finita in pellicceria: si chiude con la proposta di radiazione per Moggi e Giraudo e la prima retrocessione della Juve in B della sua storia una delle pagine più nere del calcio italiano.
CREPUSCOLO DI FINE CARRIERA (2006-OGGI)
Moggi però non sa stare con le mani in mano e anche da squalificato continua, attraverso il figlio procuratore, ad avere qualche influenza nel mondo della Serie A.
Il Bologna dei Menarini ad esempio riesce a centrare una difficoltosa salvezza nel 2008/09 dopo essersi affidata mani e piedi a uomini targati Moggi (il calciatore Bombardini ha affermato esplicitamente di aver sempre saputo della presenza di Moggi a Bologna). Però Lucianone ormai è solo l’ombra del potente boss che fu un tempo, nonostante sia sempre osannato e riverito in tutti gli studi televisivi dove è sempre onnipresente.
Dopo dieci anni passati in una sorta di crepuscolo, l’enigmatico Moggi ha deciso di uscire allo scoperto firmando, alla veneranda età di ottanta anni, un contratto di collaborazione tecnica con il Partizani Tirana.
Angelo o diavolo, amato e detestato, passato ripetutamente dalla polvere agli altari, Luciano Moggi da Monticiano è stato semplicemente il simbolo di un calcio italiano (con i suoi moltissimi difetti e pochissimi pregi) che negli ultimi venticinque anni si è snaturato suicidandosi nel mare magnum della finanza speculativa: da sport pane e salame per avventurieri e ladri di galline a contenitore di plastica per speculatori e delinquenti in doppiopetto.
E Luciano Moggi è stato allo stesso tempo carnefice e vittima di questa epocale svolta che ha cambiato lo sport più popolare del mondo!
Grandissimi!