Rogo Thyssenkrupp, Torino 2007

Esistono date scolpite nella memoria, capaci di gonfiare gli occhi di lacrime e il cuore di rabbia. Quella tragica notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, è tra queste. E non c’è cavillo o garantismo di sorta che possa cancellare la strage di operai sulla linea 5 della Thyssen di Torino, dilaniati dall’olio bollente, dalle fiamme e dalle logiche vampiresche del profitto.

Antonio Schiavone, il primo a morire alle 4 del mattino, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino, strappati alla vita e agli affetti più cari dal 7 al 30 dicembre, non hanno avuto e non avranno mai la possibilità di avvalersi di avvocati influenti e di “ausili tempestivi”.

Alcuni di loro lavoravano ininterrottamente da dodici ore, avendo accumulato quattro ore di straordinario, in uno stabilimento sprovvisto di adeguate misure di sicurezza e di personale specializzato pronto ad intervenire in caso di incidenti, con estintori scarichi, telefoni isolati e idranti malfunzionanti.

Dopo il servizio di martedì scorso de “Le Iene” con Alessandro Politi, sono emerse novità importanti in merito alla posizione di Harald Espenhahn e Gerard Priegnitz, i due manager della Thyssen, condannati rispettivamente a 9 anni e 8 mesi e 6 anni e 10 mesi in via definitiva in Italia, che in Germania non hanno mai fatto un solo giorno di prigione.

Undici anni dopo la strage e 3 anni dopo la loro condanna definitiva in Italia, i due devono andare in carcere. Questa la decisione del Tribunale regionale di Essen, che si è pronunciato in proposito il 17 gennaio su Harald Espenhahn, e il 4 febbraio su Gerald Priegnitz. La notizia è arrivata dalla Germania. L’ordine di arresto per i due manager della Thyssenkrupp è stato però impugnato dai legali dei due. Ora sul provvedimento dovrà decidere la Corte di appello di Hamm. I manager non potranno essere arrestati prima di questo giudizio.

A poche ore di distanza dalla puntata del 19 febbraio scorso del programma della rete Mediaset sul caso Thyssen, il ministero della Giustizia aveva inviato una lettera alla procura di Essen, città del Nord Reno-Vestfalia, competente nell’applicazione della sentenza sul rogo mortale. Il giudice tedesco Johannes Hidding aveva rivelato come fosse concreto il rischio dell’archiviazione per i due manager tedeschi.

“Si chiede di voler comunicare a questo ministero eventuali aggiornamenti in merito al procedimento per il riconoscimento ed esecuzione della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Torino nei confronti dei cittadini tedeschi Gerald Priegnitz e Harald Espenhahn”, ha scritto Bonafede alla Procura di Essen.

“Chiediamo conferma per cui i difensori di Priegnitz e Espenhahn avrebbero depositato memorie in cui verrebbe chiesta l’archiviazione del caso sulla base dell’esistenza di presunte ‘cause ostative al riconoscimento della sentenza in Germania”, si legge ancora nella missiva.

Un’altra possibile beffa dei padroni a danno degli operai. Il Guardasigilli Bonafede, in un post su Facebook, assicura: “Continueremo a monitorare giorno per giorno la vicenda e terremo informati tutti voi e soprattutto le famiglie”.

Nei giorni scorsi ha lasciato il carcere dopo due anni e mezzo Cosimo Cafueri, ex responsabile della sicurezza dello stabilimento, condannato a 6 anni e 8 mesi.

L’immagine di Espenhahn e Priegnitz che fanno tranquillamente jogging e il sorrisetto di Armin Laschet, Primo Ministro della Renania – Vestfalia, mentre blatera di europeismo, non interferenza con i procedimenti giudiziari e ricerca di soluzioni da parte delle Istituzioni (ma lui cosa rappresenta?), pur di non affrontare la questione, lasciano l’amaro in bocca.

L’Italia pretenda giustizia per quei suoi sette figli, calpestati da vivi in nome della legge del più forte. E li faccia rispettare, da morti. Quella notte, a Torino, il fuoco non ha inghiottito solo dei corpi ma delle storie e dei diritti. Che significano orgoglio, dignità, passione e sacrificio. Che sono lotta e libertà. E vita.

 

UN COMMENTO

  1. Se il rogo fosse avvenuto in India, quei manager in Germania non ci sarebbero più tornati

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