Italia campione al mondiale di Spagna '82

A due partite dalla fine della prima giornata della fase a gironi di questo mondiale, possiamo dirlo: è il trionfo della tattica difensiva e del classico gioco “all’italiana”.

Se l’esordio assoluto dei padroni di casa, avvenuta il 14 giugno con una goleada inattesa, rifilata ai poveri sauditi, sotto gli occhi del principe Mohamed bin Salman e di un quasi imbarazzato Putin, avevano fatto presagire un mondiale fatto di squadre materasso e grande spettacolo di gol, qualcuno si è dovuto ricredere già dal giorno dopo.

Il 15 giugno la seconda gara del gruppo A ha visto trionfare l’Uruguay per 1-0 contro un Egitto ancora orfano di Salah. La Celeste nonostante il suo gioco estremamente difensivo ha il pallino del gioco per tutta la partita, ma il gol della vittoria arriva soltanto allo scadere del tempo regolamentare, quando Gimenez insacca con un colpo di testa da calcio d’angolo, oramai quasi inaspettato. Una marcatura che ha subito fatto il giro del mondo, non tanto per il gesto tecnico, ma per l’esultanza di Tabarez, che da due anni è affetto dalla sindrome di Guillain-Barrè, una malattia rara che provoca la paralisi di alcune parti del corpo, se non la paralisi completa nelle sue forme più acute e che costringe il tecnico ex Milan a camminare con una stampella.

L’esultanza straordinaria di Oscar Tabarez, che si alza e “dimentica” la sua stampella.

Con Tabarez a questo primo turno del mondiale ha festeggiato anche l’Iran che la sua presenza ai mondiali la marca sempre con una certa dignità. Partita noiosissima con il Marocco, sbloccata in pieno recupero con un’autorete dei nordafricani: 0-1 e la Repubblica Islamica vola. Festeggia anche una scialba Francia, che nonostante il talento ha bisogno di un rigore e di un tiro rocambolesco dell’ex Juventino Pogba per portare i tre punti a casa. Rigore anche per l’Australia, tanto per rendersi conto di che partita è stata.

Il Belgio invece fissa il risultato sul 3-0 con l’esordiente Panama. Ma le marcature ingannano. Panama, che sembrava essere destinata a essere squadra materasso tiene bene il campo e toglie profondità a Mertens e Lukaku che si esaltano negli spazi e il primo tempo finisce a reti inviolate, con qualche sprazzo di manovra dei mesoamericani. Sarà la giocata da campione del folletto “napoletano” nella seconda frazione di gioco a sbloccare una partita che si è rivelata più difficile del previsto.

Mertens: uno dei gol più belli del mondiale

Contano soprattutto le difese

Il Brasile, che resta la favorita del Mondiale, al 20′ si porta in vantaggio con la Svizzera con una grande realizzazione balistica di Coutinho e la partita sembra in discesa. I verdeoro danno tutta l’impressione di voler gestire la gara, ma al 50′ si dimenticano Zuber in area di rigore su calcio d’angolo ed è 1-1. Neymar che non viene certo dalla sua stagione migliore, viene disinnescato da Behrami e Dzemaili con le buone o con le cattive, il Brasile si addormenta e la partita finisce così.

Se il pareggio della Svizzera ha del sorprendente, l’impresa dell’Islanda riecheggia già nel Valhalla, lì dove avevano il riposo eterno i guerrieri della mitologia norrena morti in battaglia. Gli islandesi, squadra da dopolavoro ferroviario o quasi, allenata dal Ct dentista Hallgrimsson, riesce a bloccare le vie centrali a Lionel Messi, costruendogli una a vera e propria gabbia addosso. La classe del “Kun” Aguero riesce a sbloccare la partita, l’argentino riceve palla in area in mezzo a tre difendenti, riesce a girarsi e a piazzarla alla destra del portiere avversario al 19′. Ma i vichinghi non demordono e dopo 4 minuti, complice una difesa albiceleste da seconda serie e l’improbabile portiere Caballero trovano la via del gol con il buon Finnbogaso, attaccante dell’Augusta squadra della Bundesliga.

Fino al 90′ gli islandesi terranno il risultato sul pareggio, grazie alla loro superiorità fisica e a un’Argentina il cui ct sembra essere più un personaggio che un tecnico realmente capace. Migliore in campo il portiere Halldòrson, che milita nel campionato danese: l’estremo difensore para un rigore a Messi e salva il risultato su un tiro sporco di Pavòn, che viene sfiorato appena dal solito Aguero. Per un giorno gli dèi dai piedi di Messi si sono spostati nelle gambe degli eredi dei vichinghi islandesi.

Un Contropiede con i fiocchi

Il risultato più clamoroso è stato però quello tra i campioni uscenti della Germania e la selezione del Messico. I tedeschi negli ultimi 4 anni sembrano essere calati e alcuni giovani talenti decisivi nel mondiale del 2014 sono spariti, vedasi alla voce Gotze. I nordamericani si difendono diligentemente e al momento giusto fanno partire un contropiede micidiale lungo 70 metri, sfruttando la maggiore brillantezza dei loro attaccanti, rispetto agli impalpabili e lenti Hummels e Boateng.

Il contropiede perfetto del Messico, che condanna la Germania

0-1 per gli americani al 35′ (Lozano) e la partita si protrae per 60 minuti con lo stesso spartito. La Germania attacca ma con poche buone idee, il Messico difende il risultato con le unghie e con i denti, ottenendo alla fine tre punti preziosissimi per la qualificazione. Il girone F con Corea del Sud e Svezia dovrebbe però essere agevole anche per una Germania così malridotta.

Lo stesso canovaccio si è registrato anche tra peruviani e danesi. I sudamericani privi di Guerrero hanno l’occasione di passare in vantaggio su penalty, ma Cueva si mette in testa di voler imitare assolutamente Zaza con un rincorsa un po’ sui generis e la spara alto. Alla Danimarca invece è sufficiente sfruttare gli spazi lasciati dal Perù per portarsi in vantaggio con Poulsen e un Perù troppo sprecone gli permette di prendersi tutta la posta in palio senza meritarlo.

La fine di Perù e Germania poteva farla anche l’Inghilterra dei giovani del CT Southgate. I britannici giocano bene a calcio per 45 minuti, con fraseggi rapidi e brevi e pressing avanzato. Tuttavia ci pensa Kane a sbloccarla su gioco aereo. La rete siglata dall’attaccante degli spurs sembra far presagire una gran goleada nei confronti di una Tunisia che tecnicamente è poca cosa, ma la partita resta sull’1-0 fino ai minuti finali della prima frazione di gioco, quando l’arbitro assegna un rigore ai nordafricani: 1-1 e squadre negli spogliatoi.

Nel secondo tempo l’Inghilterra cala, ma il canovaccio resta poco dissimile dal primo tempo: la Tunisia si chiude a riccio e sembra doversi portare a casa il punticino, ma ancora Kane sigla la sua personale doppietta, che regala i tre punti agli inglesi! Colpevoli sul gol i difensori tunisini, che dopo 90 minuti di grande attenzione si perdono l’attaccante avversario che su calcio d’angolo devia la palla in fondo al sacco, lasciato completamente indisturbato. Dopo cinquantadue anni potrebbe essere di nuovo la volta del mondiale inglese.

Un Mondiale antesignano del cambiamento

L’unica eccezione a questa tendenza difensivista viene dal derby iberico. Le difese ballerine di Spagna e Portogallo hanno dato al pubblico del mondiale di Russia una grande serata di spettacolo, condensata dalla splendida tripletta di Cristiano Ronaldo.

Sembra dunque che i primi scorci di mondiale segnino la fine definitiva del tikitaka e dell’evoluzione iberica del calcio olandese, ora il livello di attenzione tattica delle squadre minori e aumentato e il calcio offensivo palesa i suoi limiti se non è limato dagli opportuni accorgimenti. Probabilmente sta per iniziare un’ennesima nuova fase della storia del football che è tutta da scoprire.

Un esordio mondiale che dà ragione ad Allegri?

In una stagione che ha visto tutti i maggiori campionati europei assegnati in anticipo, è tornato ad essere il calcio italiano protagonista del dibattito sulla tattica. In mancanza dell’eterno confronto di qualche anno fa tra Mourinho e Guardiola in Italia sono stati il Napoli e la Juventus protagonisti non soltanto di una guerra di risultati agonistici, ma anche di idee e visioni di gioco, che spesso si sono rivelate agli antipodi.

Allegri che ha sempre poco digerito i complimenti al “bel gioco” di Maurizio Sarri, oramai ex tecnico del Napoli, ha alla fine del campionato fatto polemica con diversi giornalisti e opinionisti, in particolare con l’ex giocatore, ora commentatore televisivo, Adani, su gioco e tattica.

https://www.youtube.com/watch?v=eAlLRwRo7uY

Allegri dopo Inter-Juventus 2-3 sbotta con Adani e lo studio di Sky.

Secondo l’allenatore livornese certi commentatori televisivi che esaltano troppo gli schemi rendono il gioco del calcio più complicato di quello che sarebbe in realtà. In una delle conferenze stampa conclusive del campionato Allegri dirà ai media: “Si sta riducendo il calcio a troppa teoria. I vecchi allenatori, che sono stati messi da parte mi hanno insegnato che il calcio è estro e libertà, e fantasia. Ci sono momenti in cui si gioca bene, e altri in cui si gioca male. Faccio contenta la gente non facendo l’esteta, ma facendo vincere la squadra. Ci sono tante sfumature che ridurre ogni vittoria al giocar bene o giocar male non ha senso senza togliere nulla a chi ha giocato meglio di noi, ma alla fine non è arrivata al risultato. Sento troppa teoria”.

Considerando che in altre interviste Allegri aveva fatto i complimenti alla sua avversaria, la squadra del Napoli, dicendo che aveva imparato a vincere le partite uno a zero, la polemica del tecnico della Juventus è facilmente interpretabile. Se per alcuni tecnici il gioco del calcio è l’organizzazione di un’organizzazione collettiva, uno spartito portato ai suoi massimi livelli di efficacia, rendendo però spesso più difficile la vita ai calciatori di grande estro, altri tecnici come Massimiliano Allegri vedono la partita di calcio come una partita a scacchi, dove non sempre puoi giocare la tua partita preferita, ma tutto lo sviluppo del gioco dipende dalla direzione che vuole dargli il tuo avversario.

Sarri o Allegri? Il futuro del calcio mondiale e del calcio italiano

Ha ragione Allegri? Noi diciamo “nì”. Per il livornese resta importante per una squadra saper disinnescare le caratteristiche più congeniali al proprio avversario con l’organizzazione di squadra, ma anche il saper sfruttare i suoi punti deboli, attraverso le qualità dei grandi giocatori. Per avvalorare la sua tesi Allegri ha citato spesso l’esempio del sistema calcio italiano, oramai ben lontano dai fasti del mondiale spagnolo dell’82 e di quello tedesco del 2006 quando vincevamo i nostri due titoli mondiali post-guerra. Secondo Allegri ormai ai giovani viene insegnato troppo su schemi e tattica e poco sui fondamentali tecnici, sulla capacità di capire il calcio come espressione propriocettiva abbinata alle qualità nell’uso dello strumento tecnico, in poche parole alla fantasia applicata ai piedi.

In effetti il calcio italiano, che fino a qualche tempo fa vantava una grande tradizione in determinati ruoli fondamentali per le caratteristiche della nostra tradizione calcistica, oggi sforna periodicamente una serie di buoni talenti nei ruoli offensivi senza essere all’altezza però dei grandi campioni che solitamente fanno fare il salito di qualità a una squadra. Troppe mezzepunte e mezzali sono spuntate nel calcio nostrano, ma il livello di portieri e centrali di difesa, per non parlare dei grandi centravanti si è notevolmente abbassato.

Allegri e gli italianisti come lui attribuiscono questa involuzione alla diffusione, prima del sacchismo e poi del guardiolismo. Ma a volte sembrano a chi ha ben compreso come si è evoluto il calcio, come quei nobili che rimpiangono l’ancieme regime e le monarchie di un tempo. Se è vero che nel calcio di oggi si è un po’ dimenticata l’arte del difendere bene, la vera questione sta nell’evoluzione che il Calcio ha registrato dagli anni ’90 in poi. Le vittorie “alla Trapattoni” della Juventus dei 7 scudetti vanno forse bene quando sei nettamente superiore alle altre, ma gli italianisti non possono pretendere che si torni alla marcatura a uomo o magari al libero. Anche il modo di giocare delle squadre più difensiviste è cambiato, seguendo le ultime evoluzioni in termini di tattica e di schemi.

Dall’Atletico di Simeone al Liverpool di Klopp il gioco difensivo e contropiedistico di queste squadre è supportato dai metodi tattici più moderni. Dal cosiddetto gegenpressing che diventa fondamentale per non dover retrocedere in fase di transizione, a un certo tipo di gestione della palla, che viene fatto a grandi ritmi per aprirsi gli spazi e mettersi in condizione di poter sfruttare gli spazi per le ripartenze di gente come Salah e Griezmann.

Il limite tra identità e fondamentalismo

Quella che però è mancata all’Italia della nazionale e spesso ai club italiani negli anni post-2006 è stata soprattutto una chiara identità, alla quale adattare i calciatori se non addirittura i tecnici. Non si è mai capito bene le nostre squadre, nazionale compresa, quale calcio avessero intenzione di praticare, se non per la casualità del momento. Ciò farebbe pendere di nuovo la bilancia verso i totalisti SacchiSarriGuardiola, quanto meno sull’urgenza per una squadra di avere un’organizzazione consolidata nei cui meccanismi i calciatori sono inseriti alla perfezione. Il mondiale ha già dimostrato che saper essere organizzati come l’Islanda può portare a risultati insperati contro un’Argentina piena zeppa di talenti e la Svezia a eliminare una nazionale di tradizione come quella italiana ai playoff.

Il difetto del modo di vedere il calcio dei totalisti e in generale degli innovatori è quello di voler sempre e comunque plasmare la realtà, spesso perdendo di vista la realtà stessa dl campo. I grandi innovatori nel calcio, durano il tempo di un ciclo, poi i contendenti cominciano a prendere le contromisure o riescono addirittura a imitarti. Il ciclo vero del guardiolismo possiamo limitarlo al Barcellona del periodo 2008-2012: quell’epopea non è mai stata più ripetuta dall’ex tecnico blaugrana in squadre con grandi disponibilità economiche e lo stesso Barça di Valverde è ormai una squadra molto più speculativa rispetto al passato.

Lo stesso Sarri era arrivato alla fine del ciclo napoletano con giocatori che sembravano totalmente stremati nella loro dedizione ai dettami del tecnico, se non addirittura svuotati mentalmente. Il tecnico di Figline ha sacrificato molti possibili armi per migliorare la squadra per seguire la sua via: un grande difetto del Napoli sarriano è stata infatti la mancanza dal punto di vista fisico di molti elementi della squadra, che non ha quasi mai permesso ai partenopei di speculare sull’avversario, nonostante il grande lavoro difensivo compiuto da Sarri stesso.

Il calcio italiano e il compromesso tra identità e tradizione

Il calcio italiano deve approfittare della delusione mondiale per rivedere alcune cose del sistema. Prima di tutti i discorsi tecnici, bisogna ristabilire dei blocchi di giocatori italiani nelle squadre di vertice, che oggi manca completamente: anche la juventus, che in passato si era contraddistinta per la presenza di italiani in squadra ha già da un paio di anni scelto la via dello straniero per rinnovare il pacchetto difensivo di ultratrentenni. E oggi si fa fatica a trovare calciatori italiani titolari nelle prime 4-5 squadre della Serie A. Uniche eccezioni Insigne, Immobile, Florenzi.

Sul piano tecnico il calcio italiano deve decidere che ruolo assumere nel calcio moderno. Bisogna domandarsi se siamo ancora in grado di proporre un calcio fatto di grande qualità difensiva o forse bisogna inventarsi qualcos’altro. Sarebbe importante in questa riflessione coinvolgere anche i club: oggi in Serie A si gioca a ritmi troppo blandi rispetto ai maggiori campionati europei, una tendenza esasperata anche dai tatticismi difensivisti dei fautori dell’italianismo, che spesso si traduce nella rinuncia a qualsiasi tipo di gioco.

Soltanto operando a partire dal vertici, a nostro modo di vedere, si può agire alla base, cioè i settori giovanili. Non si può pretendere di formare nuovi calciatori senza avere prima delle idee sul risultato che si vuole ottenere. I giovani hanno bisogno soprattutto di esempi da imitare.

Certo il calcio italiano ha anche problemi che esulano dal discorso tecnico, ha gravi lacune dal punto di vista politico, che andrebbero risolte anche con l’intervento della Politica vera e propria. Ma rimandiamo questo discorso a un’altra occasione.