Russia: amministrative, crescita dei comunisti

Nessuna particolare sorpresa dalle elezioni amministrative russe, svoltesi nella giornata di domenica 9 settembre, le quali hanno coinvolto 63 milioni di cittadini di 80 diverse regioni, riguardando il rinnovo di 26 governatori, 16 parlamenti regionali e 12 consigli comunali (ma si è votato anche per l’elezione di 7 deputati della Duma in altrettanti collegi uninominali).

Vittoria abbastanza agevole per Russia Unita, il partito del presidente Vladimir Putin, che ottiene la riconferma a sindaco di Mosca di Sergej Sobjanin, tra i papabili delfini del presidente russo, rieletto con oltre il 70% dei consensi (5 anni fa ottenne poco più del 50%), oltre alla stragrande maggioranza degli altri “soggetti federali”.

Un esito prevedibile anche se non del tutto scontato e che lascia intravedere qualche nube all’orizzonte: sulla competizione elettorale ha infatti inevitabilmente pesato il controverso disegno di legge governativo sull’innalzamento dell’età pensionabile, da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 per le donne (per le quali era originariamente previsto un innalzamento fino a 63 anni, poi stralciato dall’intervento personale di Putin).

È in quest’ottica che va interpretato l’ottimo risultato del KPRF, il Partito Comunista della Federazione Russa, guidato dal battagliero ed instancabile Gennadij Zjuganov, che si aggiudica il governatore della regione di Orёl più l’accesso al ballottaggio in altre quattro regioni, la maggioranza in tre parlamenti regionali e nei consigli comunali di tre città (tra cui Togliatti), oltre ad un deputato della Duma (cinque sono andati a Russia Unita, uno ai Liberaldemocratici dell’eccentrico Zhirinovskij).

Non pervenuta invece l’opposizione liberale, guidata da Alexej Navalnij, il quale non ha potuto partecipare alla competizione elettorale a causa di una condanna ad un mese di reclusione per aver organizzato proteste di piazza non autorizzate lo scorso gennaio. Il “paladino anticorruzione” aveva tuttavia cercato in campagna elettorale di cavalcare il malcontento di una parte della popolazione russa contro la riforma pensionistica, organizzando manifestazioni in 20 città della Federazione Russa, ma con risultati evidentemente insoddisfacenti.

Il voto di protesta è stato infatti catalizzato dal partito comunista, abile ad intercettare i timori e le insicurezze degli strati più deboli della popolazione, spaventati dalla crescita della diseguaglianza sociale, della disoccupazione e dell’inflazione, per non parlare delle crescenti difficoltà ad accedere all’istruzione non gratuita. Difficile che il KPRF possa impensierire nell’immediato futuro Russia Unita e l’amministrazione presidenziale; tuttavia il “gioco delle parti” tra il governo, guidato dal “liberale” Medvedev, più incline ad assumere decisioni impopolari e Putin, pronto ad intervenire per limare le misure più difficili da digerire, sembra aver perso efficacia e brillantezza.

Quattro anni e mezzo di sanzioni occidentali antirusse hanno pesato sulla tenuta dell’economia russa, colpendo anche ampi strati di classi medie, penalizzate dalla svalutazione del rublo e dall’aumento dei tassi di interesse, mentre gli oligarchi, soprattutto del settore chimico e metallurgico rivolto all’export, proprio in virtù della svalutazione del rublo si sono arricchiti ulteriormente, depositando all’occorrenza i proventi dei loro affari nei paradisi fiscali. “200 oligarchi detengono il 90% della ricchezza nazionale, nelle banche sono fermi 28 trilioni di rubli ma il governo punta sulle pensioni dei lavoratori” o ancora “il Presidente sacrifica all’oligarchia gli interessi della maggioranza“: sono questi alcuni degli slogan del Partito Comunista che hanno fatto breccia nel cuore e nella mente di una parte dell’elettorato russo.

Putin può comunque ritenersi soddisfatto dei risultati di questa tornata amministrativa, poiché il suo consenso personale non appare scalfito più di tanto, ma è altrettanto vero che il governo farebbe bene a non sottovalutare questi primi segnali di insofferenza, valutando un diverso orientamento nella politica economica; d’altronde un Paese unito e coeso è molto più resistente a destabilizzazioni provenienti dall’esterno di uno diviso e frammentato al suo interno.