Dal 30 Giugno 2018 al 3 Luglio 2019, trecentosessantotto giorni dopo, da Francia – Argentina 4-3 a Brasile – Argentina 2-0, pare essere la stessa storia e forse lo è, forse no. Dalla squadra carica di esperienza di Sampaoli alla squadra mix di giovani e vecchi di Scaloni, l’epilogo è lo stesso ma l’analisi di questa Copa America dell’Argentina può rivelarsi sorprendente e non sbrigata con un semplice “son ventisei anni che questi non vincono niente”.
Jorge Sampaoli ha portato l’esperienza pure in panchina, vestita di nero con le maniche corte e un tatuaggio abbastanza azzardato. Dall’altra parte invece Scaloni è parso il bimbo che sale sulla giostra, forse ancora un po’ troppo giocatore per fare il selezionatore, però capace anche di trasformarsi in un padre per difendere i propri ragazzi in certi momenti della partita. A livello tattico Sampaoli era forse meno ordinato e ligio a un disegno logico rispetto a Scaloni. Squadra aggressiva che porta pressione già nella metà campo avversaria. Parola d’ordine: non attendere mai! Uno schieramento quasi d’altri tempi con una sorta di “WM” con Fazio e Otamendi protetti da Biglia o Mascherano e con Tagliafico e Mercado più in linea con il mediano di turno piuttosto che con i centrali di difesa. La “M” invece era composta da Di Maria a sinistra con più spinta rispetto al compagno opposto Banega che spesso lasciava andare Mercado. Poi c’era Messi che da apparente “10” si ritrovava spesso “9” con i compagni di reparto che gli lasciavano il varco. Questo accadeva spesso anche in fase di non possesso cercando così la pressione alta e ampia. Purtroppo però il termine “spesso” nel calcio non basta.
Russia 2018 è stato un Mondiale che si è complicato già nel girone con Islanda, Croazia e Nigeria, culminato con la sconfitta per 4-3 contro la Francia, risultato di misura solo nel punteggio, alleggerito dal gol di Aguero allo scadere. Ecco, forse sarebbe stato utile, anzi indispensabile più un Matuidi in versione Blues rispetto a un Di Maria. Come sicuramente sarebbe stato più utile saper gestire lo spogliatoio, una sorta di bomba a orologeria deflagrata tra la sconfitta contro la Croazia e la fortunosa vittoria contro la Nigeria con la presunta autogestione di Messi e compagni. L’eredità per Lionel Scaloni è stata pesante, raccogliendo definitivamente lo scettro del suo predecessore (del quale era vice) dopo un esame di cinque partite superato quasi a pieni voti. Il suo percorso è iniziato a Los Angeles lo scorso 8 Settembre con un facile 3-0 contro il modesto Guatemala. Dei giocatori che dopo meno di un anno hanno partecipato alla Copa America ce n’erano solamente nove; Tagliafico, Ramiro Funes Mori, Pezzella, Saravia, Paredes e Lo Celso nel 4-3-3 iniziale e Armani, Acuña e Dybala in panchina. Mancavano giocatori come Otamendi, Di Maria, Aguero e soprattutto Messi ma c’erano anche elementi che forse in Brasile potevano far comodo come Palacios, Gonzalo “El Pity” Martinez, Correa, Pavón e l’incognita Icardi. Da lì, l’evoluzione nei nomi è stata progressiva e allo stesso tempo drastica quando si trattava di escludere: Mercado, Mammana, Enzo Perez, Meza e poi i già citati Pavón, Palacios, Gonzalo Martinez, Correa e ancora Icardi, Battaglia, Ascacibar, Salvio e Montiél.
Negli schieramenti, via via, Scaloni ha dimostrato duttilità e adattamento a seconda dell’avversario; tanta qualità contro il Guatemala, più quantità contro la Colombia il 12 Settembre negli States, a East Rutherford e poi ancora tanta qualità contro l’Iraq e nuovamente maggior equilibrio nello sfortunato 0-1 contro il Brasile in terra araba ad ottobre. E’ il centrocampo che fa spostare l’ago della bilancia nella misura tra piedi buoni e garra.Si tratta di un processo evolutivo che ha senso se analizziamo convocazioni e formazioni ma anche estremamente coraggioso in quanto più adatto a un club e non a una selezione. Per quanto riguarda la spedizione in Brasile, male con la Colombia e con il Paraguay anche per scelte discutibili dello stesso Scaloni, invece le restanti tre partite con il dinamico Qatar, il Venezuela e il Brasile hanno mostrato un’Albiceleste in crescita che rende giustizia alle idee del CT e del suo percorso iniziato a Los Angeles contro il Guatemala. Come detto, alcune scelte sono parse discutibili, in primis l’arrendersi velocemente all’idea che Acuña debba giocare mentre Pereyra che, gioca in Premier League a ritmi fuori portata per tanti, non sia adattabile e che la sua chance se la sia giocata male contro il Paraguay. Così come l’insistere su uno spaesato De Paul e con un poco puntuale Foyth che alterna cose belle a cose inspiegabili, che ti fa una diagonale perfetta all’89’ ma ti si addormenta settanta minuti prima sul gol di Gabriel Jesus. Il minutaggio limitato contro il Tottenham probabilmente ha inciso. L’alternativa al giovane esterno è stato Saravia mentre l’esperto Mercado l’ha vista in TV.
Messa così può sembrare un’analisi spietata, dilaniante ma paradossalmente, malgrado l’ennesimo obiettivo fallito dell’Argentina, Scaloni ha gettato le basi per un futuro importante per lui e per la Seleccion. Ha l’appoggio totale di Messi e degli altri senatori del gruppo, ha dimostrato di saper gestire anche chi non ha accettato alcune scelte come Lautaro Martinez che poi si è reso protagonista in positivo nel resto del torneo, grazie anche al lavoro fatto durante l’anno ad Appiano Gentile da Mister Spalletti che lo ha completato tanto. Tra un anno sarà una rosa di senatori e giovani già esperti, tipo il già citato Foyth o Tagliafico che tra Ajax e Nazionale negli ultimi due anni si merita i gradi di veterano malgrado abbia ancora ventisei anni. Il Mondiale in Qatar fra tre anni può essere l’apice del disegno scaloniano, troppo bistrattato dopo lo 0-2 contro il Brasile padrone di casa, figlio anche di un palo, di una traversa e di un VAR desaparecido che non vede due rigori solari non fischiati da Zambrano.
Vero, sono mancati i gol di Messi e Aguero ma non è mancata la coralità, comunque da perfezionare, che vede la Pulga più al centro di tutto e toccare più palloni rispetto al solito quando è in Nazionale; inoltre la squadra è diventata più pensante e meno anarchica anche rispetto agli ultimi mesi dell’era Sampaoli. Il 2020 può essere l’anno del riscatto e il 2022 quello della leggenda. Probabilmente abbiamo criticato Scaloni troppo presto, tutti, compreso Maradona. E’ un calcio schiavo del risultato ma restiamo romantici.