Centinaia di migliaia di catalani sono scesi oggi in piazza per protestare contro l’operato della polizia di Madrid durante il referendum sull’indipendenza. Lo ha riferito l’emittente pubblica TV3, secondo la quale la partecipazione allo sciopero generale sarebbe stata superiore all’80% portando in piazza almeno 300mila persone.

Le manifestazioni più importanti si sono svolte nel capoluogo, Barcellona, ma ci sono state altre importanti concentrazioni anche in decine di città catalane. Le manifestazioni hanno bloccato il traffico in 24 arterie del paese, come le autostrade AP7 e C32. Lo sciopero generale è stato fortemente incoraggiato dalle autorità catalane, in primo luogo il governo della Catalogna e i municipi di Barcellona e Girona.

Sempre in giornata, il Presidente catalano Carles Puigdemont ha convocato una riunione d’urgenza del governo per tracciare la strategia del dopo referendum. In base alla legge approvata dal Parlamento catalano nello scorso agosto ed impugnata dalla Corte Costituzionale spagnola, il prossimo passo dovrebbe essere quello di una proclamazione unilaterale ed ufficiale dell’indipendenza. Tale mossa sarebbe interpretata da Madrid come una vera e propria dichiarazione di guerra, alla quale rispondere come minimo con la sospensione dell’autonomia e del governo catalani, non senza escludere neppure l’arresto dello stesso Puigdemont.

Consapevoli del fatto che per la Repubblica di Catalogna non vi sarebbero di certo facili o scontati riconoscimenti internazionali, le autorità catalane insistono quindi sulla linea del dialogo con Madrid. Puigdemont ha dichiarato che “è il momento di una mediazione internazionale” con Madrid e ha chiesto all’Unione Europea di “smettere di guardare dall’altra parte”, invitando Bruxelles a dare una mano all’indipendentismo catalano. Anche se l’obiettivo dell’indipendenza resta e non può venir messo in discussione, Puigdemont ha così rinnovato la sua disponibilità a trattare. “Oggi non dichiaro l’indipendenza, chiedo una mediazione”, ha infatti detto, aggiungendo quindi: “si deve creare un clima di distensione che la favorisca”.

Nel frattempo il premier basco Inigo Urkullu s’è offerto per mediare tra le autorità catalane e quelle madrilene: “Se mi chiamano, anche oggi, sono pronto a una riunione dove vogliono”.

Puigdemont ha fatto sapere che la dichiarazione d’indipendenza non giungerà comunque nelle prossime ore, e che forse sarà necessario aspettare almeno una settimana. Nel frattempo si potrà e si dovrà quindi trattare. L’obiettivo è quello di una separazione concordata con la Spagna, anziché una rottura traumatica.

Il premier spagnolo Mariano Rajoy nel frattempo ha incontrato i leader del PSOE e di Ciudadanos, accesi sostenitori dell’unionismo, dai quali ha però raccolto pareri discordanti. Il socialista Pedro Sanchez, infatti, ha spinto per il “dialogo immediato”, mentre Albert Rivera di Ciudadanos ha invocato il pugno di ferro contro le autorità catalane, fino al punto di usare l’art. 155 che consente di sospendere l’autonomia della Catalogna e di deporre Puigdemont.

Grande fermento si nota anche sui titoli dei principali giornali di Madrid. El Mundo invita a “non perdere un minuto contro l’indipendentismo”, mentre El Paìs parla di “ribellione” accusando Puigdemont di “arroganza xenofoba”. Dalla Catalogna giungono risposte al fulmicotone, con la sindaca di Barcellona Ada Colau che ha addirittura parlato di aggressioni sessuali da parte degli agenti spagnoli. Puigdemont ha annunciato la formazione di una commissione d’inchiesta, chiesta anche dall’ONU, e denunce penali contro la polizia e il governo di Madrid . “Andremo, ha promesso, fino in fondo”. Da Bruxelles Donald Tusk con un tweet ha fatto sapere d’aver parlato con Mariano Rajoy e di condividere le sue motivazioni di ordine costituzionale, invitandolo a trovare una soluzione in grado di contrastare l’aumento della tensione e l’uso della forza.

I toni fra la Spagna e la sua regione ribelle continuano dunque ad essere ancora molto forti, al punto che smorzarli appare ormai sempre più difficile.