Come avevamo già rilevato nel nostro recente commento sul Documento di Economia e Finanza pubblicato dal Ministero dell’Economia, seppur il governo giallo-verde ha dovuto fare concessioni alla UE per quando riguarda il deficit, prima stimato al 2,4% per il prossimo triennio e poi aggiustato al 2,4% solo per il 2019 e ridotto al 2,1% e al 1,8% nel biennio 2020-2021, i conti proposti dal Ministro Tria presentavano alcune criticità che potevano non piacere in sede europea. E così è stato.
La risposta della Commissione Europea non si è fatta attendere e già nella serata di venerdì 5 ottobre, il duo Dombrovskis-Moscovici ha fatto recapitare in Italia una breve lettera in cui manifestava la totale contrarietà della Commissione verso il Def del nostro governo.
La bocciatura fa leva soprattutto a quel dato del saldo strutturale che noi avevamo già rilevato. Come abbiamo detto, il deficit strutturale è il disavanzo dello Stato al netto delle misure una tantum e della componente ciclica. Le regole sul Fiscal Compact vorrebbero che questo indice fosse ridotto fino allo 0,5%, mentre il nuovo Def lo aumenta fino al 1,7% e lo tiene costante per tutti i tre anni considerati. Si tratta di un aggravio di spesa strutturale dello 0,8% rispetto allo 0,9% di deficit strutturale fatto nel 2018.
Inoltre c’è la questione dell’avanzo primario, cioè il saldo economico al netto degli interessi sul debito pubblico. Il Def del governo giallo-verde, lo riduce nel 2019 fino al 1,3% rispetto al 1,8% del 2018, anche se intende riportarlo sopra il 2% nel 2021.
In ultimo c’è la questione delle stime di crescita, che appaiono molto fiduciose e ottimiste e che se non raggiunte potrebbero far aumentare il deficit oltre le regole UE, a meno che non vengano considerate rigide clausole di salvaguardia da far scattare in automatico nel caso in cui la crescita venga ad essere minore di quella auspicata.
Comunque, a parte queste piccole criticità, la manovra del governo sembra invece abbastanza in linea con l’operato dei governi precedenti, soprattutto rispetto al governo Renzi. Per cui la reazione così scontrosa da parte della Commissione Europea sembra giustificata più da questioni di tipo politico, che non da reali motivazioni economiche.
Probabilmente Moscovici e Dombrovskis si sono risentiti del fatto che il governo abbia deciso di prendersi autonomamente spazi di flessibilità, senza prima imbastire una trattativa con la UE, come l’Italia aveva fatto negli scorsi anni. Inoltre, c’è probabilmente anche la volontà di rendere più complicate le cose per un governo considerato “nemico dell’Europa”, perché composto da forze sovraniste e populiste.
L’arma su cui la Commissione Europea può fare affidamento non è tanto quella delle sanzioni all’Italia, quanto piuttosto quella dello spread. Un clima di scontro tra Italia e UE rende il mercato dei titoli di Stato più volatile e più soggetto alla speculazione.
E’ questo il coltello che i Commissari europei possono impugnare per “normalizzare” l’Italia, forti delle esperienze precedenti del 2011 con il governo Berlusconi e del 2015 con il referendum greco sull’austerità. Nelle prossime settimane potrebbe arrivare anche il declassamento a “spazzatura” del rating sui titoli di stato italiani da parte delle agenzie Moody’s e Standard & Poor’s che non solo potrebbero produrre un maggior aumento dell’indice dello spread ma che impedirebbe anche alla BCE di poter acquistare Btp attraverso procedure come il QE e altri, messi in atto per frenare la speculazione.
Insomma, la storia sembra già scritta ed è forse per questo che il Ministro Tria ha cercato subito di stemperare i toni, proponendo un dialogo con la Commissione per vedere se è possibile una conciliazione sui numeri del Def. Tuttavia, anche in questo caso l’Italia dovrebbe cedere e acconsentire a ridurre gli effetti “espansivi” della prossima manovra.
L’alternativa è acuire lo scontro e rispondere allo spread con un’altra arma, temuta in sede europea, che il governo giallo-verde tiene nel cassetto del contratto di governo: i Mini-Bot di Claudio Borghi.
Marco Muscillo