
E’ inutile, sembra davvero che la volontà di precarizzare la nostra popolazione sia illimitata. Non ci si vuole rassegnare al fatto che il Governo abbia abrogato davvero con il Decreto Legge n. 25 del 17 marzo 2017, le norme che disciplinano il lavoro accessorio, meglio conosciute come “voucher”.
Continuamente, le aziende, i partiti, Confindustria lamentano l’impossibilità di strutturare, come prima accadeva, il lavoratore tramite forme di lavoro nero legalizzato. Non passa giorno che il ritornello non si ripresenti. L’ultima stoccata è stata tirata in occasione della più grande convention dedicata al vino in Italia, ossia la fiera Vinitaly, a Verona. Le aziende vitivinicole si interrogavano, ieri, smarrite, di fronte ai cronisti: “come faremo, con le future vendemmie, senza assumere un lavoratore tramite i voucher”?
Logica vorrebbe: come si è sempre fatto prima della loro esistenza. Sembra tanto facile, eppure, un concetto simile diviene quasi una sorta di show televisivo da Tg in prima serata.
Non illudiamoci: il Governo presieduto dal “Conte Atlantico” Gentiloni ha abolito i voucher per scongiurare il referendum proposto da CGIL. Il quale, probabilmente, avrebbe dato un’ulteriore batosta al Governo, e da un punto di vista dell’immagine, dopo lo smacco della mancata riforma costituzionale, sarebbe stato devastante.
Ai piagnistei legati alla sparizione dei voucher, non si è rimasti purtroppo sordi. Difatti, la strada da percorrere, composta da stabilità, contratti fissi e dissoluzione del precariato è completamente disattesa da formule attuate sempre per il solito schema: non pagare, pagare poco, pagare sempre meno. Flessibilità, ossia precariato, cioè mancanza di futuro.
In questi giorni, una delle più grandi agenzie interinali mondiali, fondata in America e presente nel mercato del lavoro italiano dagli anni ’90, sta inviando alle aziende clienti una mail esplicativa, per enunciare le formule contrattuali “flessibili” dopo la scomparsa dei voucher.
Il testo è molto chiaro. Senza giri di parole si sconsigliano i contratti di lavoro ad intermittenza (job on call), le collaborazioni autonome ed i contratti a tempo determinato (!). Ognuno di essi, in termini di flessibilità, rappresenterebbe secondo l’agenzia interinale un problema: ambiti di applicazione limitati (!), limitazione di durata (!!), oneri economici gravosi per l’azienda. E se addirittura analizziamo cosa l’agenzia intenda come problema per i contratti a tempo determinato, andiamo sul paradossale: limiti di durata (36 mesi) ed obbligo di rispettare uno stop tra un contratto e l’altro (!!!).
Rivediamo un attimo il concetto. L’agenzia non sta promuovendo come modello il contratto a tempo indeterminato, esaltando i difetti di tutti gli altri. Sta invitando le aziende ad una scappatoia per eludere tutte le altre forme, ed avvicinarsi alla forma voucher. La soluzione proposta infatti è il contratto di somministrazione, il quale: non avrebbe obblighi di stop&go tra un contratto e l’altro; i lavoratori non maturano diritti di precedenza; nessun limite di utilizzo ex lege; non vi sarebbe alcun onere amministrativo per l’utilizzatore; godrebbe di formazione finanziabile attraverso FORMATEMP.
In poche parole, l’agenzia interinale sta promuovendo il precariato: ancora una volta si cerca di usare escamotage legali per aumentare la disoccupazione anziché combatterla. Semplicemente perché l’inserimento di un lavoratore con contratti “anche per poche ore di missione” (citazione testuale del testo della mail, da rileggere attentamente) non porta lui alcun giovamento. Sarà a breve, nuovamente un nuovo disoccupato.
La chiosa della mail è geniale: “Siamo a disposizione, senza impegno, per qualsiasi approfondimento e per fornire eventuali preventivi per il costo della somministrazione. Vi ricordiamo che, in caso di Lavoratori selezionati dall’Azienda e gestiti amministrativamente da (……..), la tariffa sarà agevolata”. E’ chiaro, senza agevolazioni, che senso ha scegliere quest’agenzia?
Suvvia, in fondo, i Signori di quest’interinale sono anche buoni. Se pensiamo che qualche giorno fa, appariva la sconcertante notizia che lavoratori italiani, prestano la loro opera in Italia (nell’Oltrepò pavese) ma ricevono uno stipendio in valuta romena. Ciò è quanto emerso dalla denuncia dei sindacati della Filt-Cgil che scorso hanno organizzato uno sciopero alla Ceva Logistics Italia. Il meccanismo è semplice: il contratto è romeno e prevede uno stipendio in parte in euro, in parte in leu, moneta romena.
Il gioco è semplice: si percepiscono circa 300 euro, e non si ha copertura contributiva. Anche questo, tuttavia, noi di Opinione Pubblica lo avevamo già denunciato.
Alla luce delle nostre denunce, l’interrogativo rimane legittimo: davvero Governo, Sindacati, Aziende e settori produttivi vogliono combattere la disoccupazione nel nostro Paese?
Valentino Quintana
“E’ chiaro, senza agevolazioni, che senso ha scegliere quest’agenzia?” Temo che il senso ce l’abbia eccome. Tramite l’accordo commerciale che l’agenzia del lavoro stipula con le aziende utilizzatrici, viene stabilito che gli oneri previdenziali e retributivi siano a carico dell’agenzia stessa. In tal modo le aziende utilizzatrici scaricano il costo del lavoro delle risorse “utilizzate” su tali agenzie, talvolta preferendo pagare di più la prestazione di lavoro del dipendente somministrato piuttosto che assumersi il rischio che l’assunzione diretta in ogni caso comporta, ad esempio legato ad eventuali malattie, infortuni e conseguenti cause di lavoro etc; di fatto il costo della risorsa diventa volatile, vantaggio non indifferente in un mercato del lavoro sempre più competitivo e mutevole. Ne è una prova il fatto che esistono contratti di somministrazione anche a tempo indeterminato, mediante i quali il lavoratore si lega all’agenzia ma può anche non cambiare realtà aziendale per svariati anni ( tipicamente avviene in aziende grandi) pur non essendovi mai assunto direttamente. In altri termini l’agenzia guadagna su ogni risorsa che assume, accedendo in molti casi a fondi pubblici come il formatemp per la formazione della stessa, fondi che dovrebbero invece essere destinati direttamente alle aziende che hanno bisogno di assumere risorse; sfruttando l’estrema flessibilità dei contratti che, seppur fondati sul principio di parità di trattamento e sul principio di solidarietà, non hanno durata minima, nè un numero massimo di rinnovi e la possibilità del cumulo delle prestazioni fornite, si annulla di fatto la possibilità del lavoratore di potere arrivare ai 36 mesi continuativi per ottenere il diritto ad un’assunzione stabile; quindi l’instabilità potrebbe teoricamente durare all’infinito. Ma l’aspetto più inquietante della vicenda è che, trattandosi di un contratto di natura commerciale fra privati ( agenzia-utilizzatore), i sindacati ammettono di non poter accedere a tutte le informazioni contenute in tali accordi, quindi non si riesce neanche a sapere quale sia l’effettivo guadagno di tali agenzie ed il giro di danaro sulla testa di ogni lavoratore.
Quella del pagamento in moneta rumena non lo avevo ancora saputo.
Se le inventano tutte per sfruttare e pagare nulla i lavoratori italiani.
E comunque siamo sempre alle solite, si cambia nome ad un provvedimento per poi riproporlo ugale se non peggiore.
Basta vedere tutti i referendum come son andati e come i governi italiani hanno buggerato i cittadini che avevo scelto di eliminare una legge per poi vedersela riproporre pari pari ma con nome diverso, esempio più conosciuto è il Ministero dell’Agricoltura diventato poi Ministero delle politiche agricole.
Più presa per i fondelli di questa?
E poi si parla di democrazia. Ma con che faccia!!!!
Alp Arslan