Può capitare davvero molto spesso d’imbattersi in articoli, anche su media dotati di un certo credito, il cui tono polemico e retorico è tale da insospettire il lettore più accorto o perlomeno più diffidente, proprio per la veemenza e l’assolutismo dei loro contenuti e delle conclusioni a cui, senza nessuna obiezione, vogliono giocoforza approdare. In realtà non sempre l’enfasi retorica è tale da risultare tanto controproducente, dato che i giornalisti e gli autori più smaliziati a loro volta hanno imparato a muoversi più subdolamente, cercando piuttosto di guadagnarsi la fiducia del lettore proprio con un linguaggio ed un approccio più morbidi e moderati. Ma, quando s’è in assenza di tali “espedienti”, ecco che allora lo sbugiardamento dell’articolo e di chi l’ha scritto diventa proprio palese ed innegabile.

E’ proprio in certi siti di matrice religiosa ma dediti comunque all’informazione di stampo politico e persino “diplomatico” (nel senso quantomeno di politica estera e di una certa lettura dei fatti geopolitici) che si possono rinvenire gli esempi più frequenti di questo modo di fare comunicazione, sebbene non siano come già detto gli unici e talvolta neppure i peggiori. Per carità, a volte è giusto pure esprimersi in modo “schietto”, ovvero diretto e sincero, senza troppo abusare di quegli “espedienti” che nominavamo poco fa. Tuttavia ci piaceva, in questa occasione, prendere in oggetto un articolo scritto qualche mese fa, dall’agenzia cattolica “Corrispondenza Romana”, il cui titolo (“Il pericolo comunista cinese e la miopia culturale del mondo cattolico”) appare già di per sé, discretamente polemico o comunque battagliero, e lo stesso dicasi del resto per certi aggettivi e definizioni che si possono rinvenire al suo interno. Nell’ambito del Cattolicesimo più tradizionalista, quello più lealista del re ovvero più papista del papa, la storia ha del resto sempre offerto numerosi esempi di movimenti ed idee di stampo a dir poco conservatore, addirittura talvolta bollato come “reazionario” anche da altri cattolici.

In questo senso, i Lefebvriani sono stati forse il caso più noto e magari anche uno dei più recenti, ma di sicuro non sono stati gli unici, e del resto anche quando operarono il loro scisma dalla Chiesa Cattolica vi mantennero all’interno sempre delle solide basi e degli altrettanto solidi contatti. Anzi, mentre dalla Chiesa se ne uscivano i Lefebvriani, al suo interno vi continuavano a restare soggetti e correnti che erano persino più oltranzisti e conservatori di loro: perché il mondo è fatto di sfumature e di sovrapposizioni che, proprio nel campo ideologico e teologico, spesso e volentieri si manifestano nel loro modo più ricco e pure meno comprensibile ai molti.

L’articolo, comunque, parte anche da delle considerazioni pragmatiche: l’Italia, pur essendo ancora fra le prime dieci potenze economiche al mondo (ufficialmente sarebbe ancora la settima, ma non tutti i dati in merito collimano e c’è da temere che in futuro collimeranno ancor meno), non ha nelle varie dinamiche internazionali un ruolo politico d’effettivo rilievo. Nella realtà dei fatti questo ruolo è sempre stato scarso rispetto ai suoi principali partner europei ma anche ad altri Stati meno rilevanti in senso economico o demografico, ma che bene o male riuscivano a godere di una maggior autonomia e soprattutto a sfruttarla con più efficacia. Ci sono stati dei momenti, nella sua storia repubblicana, dove l’Italia ha anche “alzato un po’ la testa”, ma ben presto ha dovuto riabbassarla, perché aver perso la Seconda Guerra Mondiale alla fine per il nostro Paese non è stato un fatto da niente, come condizioni politiche post-belliche impostele dai vincitori, ed anche perché pure nella nuova “casa comune europea” a quel ruolo non può sfuggire, mentre invece riesce a sfuggirvi fin troppo agevolmente la Germania (che, sia economicamente che politicamente, risulta di fatto come una “vincitrice” anche nei confronti non soltanto nostri, ma pure di Francia ed altri, mettendosi una spanna al di sopra di loro; mentre a livello di famiglia della NATO, non è più tanto una “numero due” quanto una nazione che nei fatti può permettersi di trattare alla pari con tutti gli altri, mentre invece l’Italia fa “la cameriera che serve ai tavoli”).

Tuttavia, se l’Italia a 75 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale risulta ancora una nazione perdente o una “potenza di seconda classe” mentre altri non hanno più questo problema, è per tutto un insieme di ragioni che hanno fatto comodo soprattutto ai vincitori: e si badi bene che si parla sia dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale che della Terza, ovvero della Guerra Fredda, che ha visto la Germania Occidentale “vincitrice morale” con la riunificazione e l’assorbimento della Germania Orientale, mentre il campo socialista collassava su sé stesso e anche i paesi neutrali o non allineati si polverizzavano o indebolivano a loro volta. L’Italia, in quel nuovo contesto post 1990, con la struttura politica ed economica propria della Prima Repubblica, rappresentata non soltanto dai partiti d’allora ma anche dal suo sistema ad economia mista, non poteva più navigare in acque certe: ed infatti così è stato, col naufragio ben pilotato dall’alto e dall’esterno di quel suo peculiare e fino ad allora bene o male funzionale sistema politico, sociale, economico ed istituzionale.

Non avendo quindi più a propria disposizione “i gettoni” per poter giocare alla pari con gli altri al tavolo del casinò, od avendone comunque oggi assai di meno, l’Italia si trova così per forza di cose a dover andar sempre dietro all’iniziativa dei suoi partner storici, ormai divenuti sempre più suoi tutori a mano a mano che s’indebolivano e perdeva in autonomia e capacità di marciare sulle proprie gambe, sia in senso fisico che “mentale”. E questo, come ben si può immaginare, nelle dinamiche internazionali, pesa, pesa eccome.

Per il resto, immaginarsi uno “scontro secco” tra la Cina da una parte e l’Occidente dall’altra, con suoi alleati India e Giappone, come descritto sommariamente nell’articolo, appare una semplificazione a dir poco esagerata, non a caso fin troppo ideologica. Chi guarda alla politica giapponese in sé, per esempio, ha piuttosto l’impressione che Tokyo pratichi ormai sempre più disinvoltamente la logica dei due forni, dato che la sua economia vive tanto del mercato asiatico e cinese in primo luogo quanto di quello occidentale, ovvero americano ed europeo. Mentre la questione del Pacifico, fra Stati Uniti e Giappone, non ha più esattamente la medesima coincidenza, perché anche l’equilibrio delle forze in campo induce a diverse prese di posizione, dove Tokyo non può più concepirsi semplicemente come “estrema barriera” della vecchia strategia di “contenimento anticomunista” che Washington aveva immaginato ai tempi di Truman e di Eisenhower. Un problema, quest’ultimo, che più volte è stato vissuto anche in Corea del Sud e a Taiwan, dove la politica dei due forni è ancor più di casa, mentre le Filippine dal canto loro hanno “attraversato il Rubicone” già da qualche anno e così pure altre nazioni del Sud Est Asiatico: si pensi al Vietnam, al Laos, ma in generale un po’ a tutte le nazioni del cosiddetto ASEAN (curiosamente, un’istituzione che era nata dopo la Seconda Guerra Mondiale proprio per delimitare la crescita dei paesi socialisti in quell’area e per tutelare gli interessi delle vecchie potenze coloniali occidentali, mentre oggi ha assunto tinte a dir poco opposte).

Tuttavia la “fantageopolitica” ha sempre avuto un forte richiamo tanto su coloro che la producono, che finiscono per credervi a loro volta, quanto sui gruppi religiosi ed ideologici che vi si “raccomandano”, e che non di rado hanno magari contribuito anche a delinearla o ad arricchirla di dettagli e suggerimenti, oltre che a credervi. Il Segretario di Stato USA Mike Pompeo, ormai agli sgoccioli, è un evangelico che va piacevolmente a braccetto con elementi distintivi della Chiesa di Dio Onnipotente (setta nata in Cina e che, dopo una serie di gravi crimini, è stata messa al bando, trovando riparo e sostegno soprattutto negli Stati Uniti; oggi, di fatto, è il gruppo religioso anticinese più “accreditato” in Occidente, dove la sua retorica contro il governo di Pechino, per quanto assai becera, trova comunque sempre orecchie che ben ne gradiscono l’ascolto), così come con altri elementi non meno rilevanti del Falun Gong (altra setta, di natura non cristiana, nata in Cina e poi messa al bando dopo gravi attentati, ed oggi coccolata tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, dove peraltro ha messo in piedi un vero e proprio impero economico fatto di giornali, riviste, TV, attività teatrali, e quant’altro).

E proprio con questi “elementi” Pompeo ha collaborato attivamente, facendosi suggerire non poche mosse di tattica e di strategia nella lotta contro la Cina, definita “principale nemico degli Stati Uniti”, più della Russia o di altri paesi che, del resto, con la Cina hanno uno stretto legame di partenariato strategico. Ma anche Trump e Bannon, l’ideologo del movimento sovranista, ha sempre avuto tali soggetti nel suo staff e non ne ha mai fatto mistero, al contrario facendosene motivo di vanto o d’orgoglio. Pure tale aspetto, insieme agli altri già menzionati, contribuisce ad influenzare il linguaggio dei sovranisti e delle destre più becere (anche neocon, ma attenzione pure ai liberal progressisti, mossi da fili diversi che però li portano a compiere le stesse azioni) in Europa, dove infatti quasi ogni giorno possiamo vederle ripetere a pappagallo, pari pari, ciò che gli è stato precedentemente istruito in America. Anche questo, del resto, fa parte del linguaggio e del comportamento settario.

(A breve con la seconda parte)