A Singapore, com’è giusto che sia, è già tutto pronto per quello che si può tranquillamente descrivere come “l’incontro del secolo”. Le aspettative sono tante, anche se forse rispetto all’inizio si sono già parzialmente ridimensionate: difficilmente con questo incontro verrà meno la “guerra fredda” fra Stati Uniti e Corea del Nord, un fatto ormai pluridecennale e che ha scritto pagine dolorose nel Novecento, quando nella Penisola di Corea vi fu una “guerra calda”. Ma sicuramente la foto della stretta di mano fra i due leader, se mai una stretta di mano avverrà, diventerà un simbolo dell’epoca che stiamo vivendo.
Il Capella Hotel, nell’Isola di Sentosa, sarà il teatro dell’incontro. Le autorità di Singapore sono a dir poco sotto pressione per tutte le misure di sicurezza e riservatezza del caso. In attesa del 12 giugno, quando il vertice avverrà, gli osservatori scandagliano ed analizzano le dichiarazioni delle due parti, alla ricerca di premesse su cui costruire analisi e previsioni.
Trump, nelle sue ultime uscite, pare ad esempio che sia stato talvolta un po’ contraddittorio. Ha detto che il summit non sarà una semplice occasione mediatica, una “photo-op”, e che potrebbe vedere la firma di un accordo di massima per la normalizzazione dei rapporti e per la trasformazione in trattato di pace dell’attuale armistizio seguito all’interruzione della Guerra di Corea. Ma, al contempo, ha anche dichiarato che sarà “solo un primo passo” e che “il difficile verrà dopo”. Ha espresso un profondo ottimismo, tipico anche della sua natura storicamente piuttosto baldanzosa, quando non addirittura euforica (“Il mio onore è coinvolto” e “Credo veramente che abbiamo la possibilità di fare qualcosa di incredibile per il mondo”), ma ha anche ammesso che potrebbe alzarsi dal tavolo negoziale ed andarsene di punto in bianco. Pure quell’immagine, purtroppo, farebbe la storia e rimarrebbe negli annali. L’ipotesi non va scartata a priori.
Trump, poi, ha operato pure un significativo cambio di linguaggio: non parla più di esercitare “massime pressioni” su Pyongyang pur di ottenere la denuclearizzazione, ma solo di generiche “pressioni”, una piccola e semplice differenza che in termini politici e diplomatici può però avere un grande valore. Dando un colpo al cerchio oltre che alla botte, ha però aggiunto di essere comunque sempre pronto ad inasprire le sanzioni in caso di fallimento dei colloqui.
Ma, se il vertice sarà un successo, a quel punto Trump si è sbilanciato al punto di dichiarare che potrebbe persino invitare Kim alla Casa Bianca. Anche questo, se avvenisse, sarebbe un episodio di portata storica e politica enorme. A chi l’ha criticato per la scarsa preparazione dell’Amministrazione a questo summit, ha semplicemente replicato sbrigativamente che “Penso di essere ben preparato. Non penso di dovermi preparare troppo. È più una questione di atteggiamento, di volontà di realizzare le cose”. Del resto, a Singapore, potrà contare su un valido braccio destro come Mike Pompeo, che Kim l’ha già incontrato e che gli ha quindi un po’ preparato il terreno.
Secondo Pompeo la denuclearizzazione della Corea del Nord dev’essere completa ed irreversibile, ma ciò si scontra con la visione più “alla pari” di Kim, che non vuol sentire parlare di un disarmo unilaterale del proprio paese, cosa che lo priverebbe inoltre di un deterrente fondamentale con cui prevenire successive e possibili operazioni di “regime change”. A Pyongyang ricordano benissimo cos’è successo, a tal proposito, alla Libia, e del resto un altro influente membro dell’Amministrazione Trump, John Bolton, ha proprio manifestato espressamente l’intenzione di seguire quel precedente anche con la Corea del Nord. Certo, a causa di queste sue posizioni Bolton appare, dentro l’Amministrazione, un po’ isolato, ma Trump non ha pensato certo di silurarlo.
Secondo molti analisti, in ogni caso Kim è già il vincitore di questo incontro, e del resto essere riusciti ad ottenerlo costituisce già di per sé una vittoria. Con poche mosse, anche inattese, la Corea del Nord è infatti uscita dall’angolo riprendendosi totalmente la scena. Solo fino a pochi mesi fa Kim era accusato dell’omicidio del fratellastro e dello zio, e sulla sua testa pendeva la minaccia dell’annientamento da parte di un Trump che lo derideva chiamandolo “Little Rocket Man”. Adesso, invece, Kim è l’interlocutore N. 1 che ha visto aumentare enormemente la propria statura internazionale, e che tanto Trump quanto gli alleati russi e cinesi (ma non solo loro) corteggiano ed incontrano ben più che volentieri. Dopo l’incontro con Xi Jinping, infatti, si profila ora anche quello con Vladimir Putin a Vladivostok. Ma qualcuno insinua che il leader nordcoreano potrebbe comparire, sempre a sorpresa, anche a Qingdao, dove si tiene il vertice della SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shangai), anche in quel caso prendendosi tutta la scena. Del resto, anche se solo vi mandasse un comune emissario, sarebbe comunque un enorme segnale per tutta la comunità internazionale.
Il Giappone, in tutta questa vicenda, si sente profondamente isolato ed addirittura “bypassato” da Trump, che incontra direttamente Kim ignorando così il suo premier Shinzo Abe. Non a caso, prima d’incontrare Trump al G7, Abe ha ottenuto un incontro privato con Trump alla Casa Bianca, chiedendogli soprattutto sostegno sulla questione dei cittadini giapponesi che Pyongyang aveva rapito negli Anni ’70 e ’80 e che per la Corea del Nord è ormai una questione chiusa. Abe ha bisogno urgente di successi diplomatici da rivendere in patria, dove le difficoltà aumentano: secondo i giapponesi, infatti, il summit del G7 non ha fruttato al loro paese niente di buono, anzi, solo nuove minacce. Il prossimo mese, infatti, Washington e Tokyo dovranno mettersi d’accordo su un Accordo di Libero Commercio che l’economia giapponese teme particolarmente, e che pur tuttavia dovrà accettare e digerire per non incappare nell’alternativa di vedersi comminare dagli Stati Uniti dazi e restrizioni alla sua industria automobilistica.