Il GIP di Siracusa, su richiesta della Procura, ha disposto il sequestro preventivo di due impianti industriali: la Esso e gli stabilimenti Isab Nord e Isab Sud. È un provvedimento inaudito, se si considera che il polo petrolchimico siracusano è fra i più importanti d’Europa.
Il tutto è nato dagli esposti di alcuni cittadini indignati e movimenti ambientalisti. Soddisfazione espressa da Procura, associazioni ambientaliste e dal sindaco Giancarlo Garozzo (PD). Il GIP ha dato 15 giorni di tempo alle società per decidere se aderire alle prescrizioni. Sia la Esso, che l’impianto Isab Sud dovranno ridurre le emissioni effettuando “la copertura delle vasche costituenti l’impianto di trattamento acque”.
Dovrà essere presentato un progetto che non dovrà eccedere i 12 mesi, con garanzia fideiussoria. Gli stabilimenti Esso, Isab Nord e Isab Sud dovranno effettuare il monitoraggio del tetto di tutti i serbatoi contenenti prodotti volatili o mantenuti in condizioni di temperatura tali da generare emissioni diffuse; realizzare impianti di recupero vapori ai pontili di carico e scarico; adeguare i sistemi di monitoraggio delle emissioni, attraverso l’adozione di sistemi di monitoraggio in continuo, mettendo a disposizione i dati registrati per via telematica all’Arpa di Siracusa.
Per quanto riguarda il livello di emissioni nell’atmosfera, in particolare degli ossidi di zolfo e degli ossidi d’azoto, solo lo stabilimento Esso dovrà ridurli.
Il sindaco di Siracusa, Giancarlo Garozzo si è detto contento dell’interesse della magistratura. “Sono contento che la magistratura abbia rivolto la sua attenzione su quanto accade nella zona industriale e sui ripetuti casi di molestie olfattive di questi anni. Il sequestro preventivo conferma la bontà del lavoro svolto dall’amministrazione comunale al tavolo Aia del ministero dell’Ambiente, perché le prescrizioni imposte alle aziende per la restituzione degli impianti siano uguali a quelle che siamo riusciti a introdurre nel corso delle riunioni in sede Aia”.
La Esso offre piena collaborazione: “Raffineria operativa, collaboriamo con magistrati.” “Il provvedimento, subordinato a misure che sono allo studio dei nostri tecnici, lascia attualmente la raffineria nel suo normale assetto operativo.” L’Isab, dal canto suo, sottolinea: “Abbiamo sempre osservato le norme. Ci siamo sempre comportati in aderenza alle autorizzazioni che ci sono state rilasciate”.
E mentre i Verdi esultano, i sindacati, pur plaudendo al lavoro dei magistrati, invitano a tutelare l’economia dell’area. “Questo per garantire, insieme all’ambiente e alla salute, il giusto diritto al lavoro di migliaia di persone, tra diretti e indotto. Come sindacato restiamo rispettosamente in attesa degli esiti degli accertamenti, sottolineando, contestualmente, la necessità di tutelare una fetta di economia ancora oggi importante per quest’area”. Lo dicono in una nota congiunta i segretari regionali siciliani della Usr Cisl, Ust e Femca territoriale.
Oltre al sequestro preventivo, la magistratura si è mossa con l’iscrizione nel registro degli indagati, a vario titolo, per le ipotesi di reato di inquinamento ambientale e impedimento del controllo, di otto persone, fra i vertici amministrativi e i responsabili degli impianti di Esso e Isab. I pm Margherita Brianese, Davide Lucignani e Marco Di Mauro, coordinati dal procuratore Francesco Paolo Giordano, al termine di un’indagine partita nel 2015, sostengono un “significativo contributo al peggioramento della qualità dell’aria dovuto alle emissioni degli impianti”.
Ora, se è cosa buona e giusta tutelare l’ambiente e la qualità dell’aria che respiriamo, è anche da tenere presente che, per un lavoratore non o poco qualificato, perdere il lavoro può avere conseguenze ben più drammatiche sulla qualità della vita sua e della sua famiglia, di quanto possano averlo le sostanze inquinanti. Se la questione dovesse protrarsi a lungo, infatti, si rischia di distruggere una delle eccellenze europee, con conseguenze pesantissime per decine di migliaia di famiglie, contando anche l’indotto.
La perdita del lavoro spesso comporta la perdita della casa (se c’è un mutuo da pagare) o comunque l’impossibilità di mantenerne una (se in affitto). E dato che ormai ottenere una casa popolare è impossibile, se non si è immigrati, il destino che attende i lavoratori del petrolchimico, se si seguirà la strada sciaguratamente unilaterale di voler tutelare solo l’ambiente e non i lavoratori, è quello della rovina economica e della morte forse non solo sociale.
Perché una tutela dell’ambiente che non si accompagni a una tutela del lavoro o almeno del reddito delle famiglie dei lavoratori in bilico, si traduce nella mera tutela della qualità della vita solo per i ceti più fortunati, e nella rovina per la classe lavoratrice.
È insomma giusto tutelare l’ambiente, a patto che non ci si dimentichi che, per i ceti più bassi, la qualità della vita è strettamente collegata al lavoro e al reddito da esso ricavato.
Massimiliano Greco