Ancora sangue in Siria. Quattro cittadini statunitensi sono rimasti uccisi in un attacco kamikaze, rivendicato dall’Isis, nella città di Manbij. I morti sono complessivamente 21. L’attentato è stato compiuto da un kamikaze nei pressi dell’affollato ristorante ‘al Umarà’, di fronte al quale stazionava un veicolo di una pattuglia americana, scortata da combattenti curdo-siriani.

“Due militari, un civile del dipartimento della Difesa ed un contractor del Pentagono sono stati uccisi e tre militari sono stati feriti a Manbij”, ha precisato in una nota il Comando centrale Usa.

Daesh ha rivendicato l’attentato kamikaze. “Un attacco suicida sferrato con una cintura esplosiva ha colpito una pattuglia della coalizione internazionale nella città di Manbij”, si legge su ‘Amaq’, il suo organo di propaganda. Sospetto il tempismo dell’Isis che colpisce le truppe a stelle e strisce ad un mese circa dall’annuncio del presidente Donald Trump di volerle riportare a casa, tra le proteste vibranti di pezzi influenti del “deep state”.

“L’attacco, ha detto il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, potrebbe essere stato messo a punto per convincere Washington a non ritirare i propri soldati dal Paese mediorientale”. “Continueremo a colpire Daesh, perché vogliamo farlo sparire da questi territori”, ha aggiunto Erdogan.

Il vicepresidente Usa Mike Pence è stato perentorio: “Resteremo nella regione e continueremo la lotta per garantire che lo Stato islamico non mostri più la sua faccia sporca”.

In Siria, gli americani mantengono circa duemila soldati, schierati nel nord e nel nord-est, sulle due rive dell’Eufrate. All’inizio di gennaio sono arrivate proprio a Manbij sia la polizia militare russa che le forze governative siriane.

Nella città l’equilibrio è fragile e la situazione molto delicata. Occupata nel 2013 dai jihadisti dello Stato islamico e due anni più tardi liberata dalle tutt’altro che limpide Forze siriane democratiche (Fds), appoggiate dalla Coalizione internazionale a guida Usa e dalle unità curde, oggi la città è auto-amministrata da un Consiglio cittadino che gode di una sostanziale autonomia che si inserisce nelle già complesse dinamiche della regione del Rojava.

Ankara spinge per l’espulsione dei militanti curdi dello Ypg, mentre le forze governative di Bashar al Assad hanno fatto sapere di essere entrate a Manbij proprio su richiesta delle Unità di protezione popolare.