Siria: offensiva turchia contro i curdi

In queste settimane, la stampa mondiale ha dato nuovamente molta risonanza al conflitto in Siria. Analizziamo la situazione facendo un passo indietro.

Il 30 settembre 2015, su invito del legittimo governo siriano, le forze armate russe sono arrivate nel Paese mediorientale, principalmente le forze aeronautiche militari (VKS). A quel punto, l’ISIS aveva già sotto controllo oltre il 50% del territorio siriano e dei principali giacimenti petroliferi, e le forze governative erano state sconfitte. I giorni del governo di Bashar al-Assad sembravano essere contati.

La decisione di intervenire in Siria è stata una delle iniziative più insolite e audaci di tutti gli anni della presidenza di Vladimir Putin e, per capirla, bisogna fare un passo indietro nel tempo. La Russia ha avuto a che fare con il terrorismo islamico prima e in misura maggiore rispetto agli altri Paesi del continente europeo. Durante gli anni Novanta, il governo di Mosca ha combattuto contro i separatisti in Cecenia, a cui si erano uniti altri estremisti di tutto il mondo musulmano. La svolta nella guerra di Cecenia avvenne solo dopo che Vladimir Putin divenne Primo ministro e poi presidente della Russia.

Pertanto, nell’autunno del 2015, la Russia è entrata in Siria per completare ciò che aveva iniziato negli anni Novanta e per finire i terroristi islamici “a distanza” – ovvero, nel territorio di un altro Paese. Dalle regioni musulmane della Russia, infatti, si sono riversati in Siria numerosissimi jihadisti, oltre che molti immigranti provenienti dai Paesi musulmani dell’Asia centrale, che vivevano in Russia.

Il 30 settembre 2015, le forze aeree russe in Siria disponevano solo di 32 aerei e 17 elicotteri – molto meno di quelli a disposizione della “Coalizione internazionale” guidata dagli USA. In seguito, il contingente è stato aumentato, ma non di molto: l’enfasi dell’attacco era incentrata sull’intensità e sull’efficacia dell’uso di queste forze. Dagli aeroporti militari che ospitavano i russi, ogni giorno partivano 100 sortite di aerei, ognuno dei quali, con equipaggi intercambiabili, volava 3-4 volte al giorno.

La Russia è riuscita anche a stabilire la cooperazione militare con l’esercito governativo siriano e la milizia locale e un dialogo politico con le forze di opposizione siriane che avevano combattuto contro Assad e contro l’ISIS. Grazie agli sforzi della Russia, era stato creato un vertice di tre Paesi tra loro ostili o non molto amichevoli: Siria, Iran e Turchia.

I principali risultati dell’intervento russo nel conflitto militare e politico in Siria, dal 2015, sono:

-il processo di disintegrazione della Siria in diversi Stati e semi-Stati sotto il controllo degli Stati Uniti e degli stati locali è stato interrotto;

-l’ISIS e le sue decine di migliaia di soldati, ben attrezzati e ben finanziati, è stato effettivamente sconfitto. È opinione diffusa che questo Stato jihadista sia stato creato dalle agenzie di intelligence americane, che sono interessate al fuoco in Medio Oriente e ai milioni di rifugiati che inondano l’Europa;

-la maggior parte del territorio della Repubblica Araba Siriana è stata liberata dai jihadisti (ISIS e altri gruppi). Oggi ci sono pesanti battaglie in corso tra l’esercito di Assad e i terroristi, che continueranno a lungo nel nord del Paese, nella provincia di Idlib, dove si trova l’esercito dei jihadisti “Hayat Tahrir al-Sham”, una coalizione di fazioni guidata da militanti del Fronte di Al-Nusra o del gruppo Jabhat al-Nusra, il ramo siriano di al-Qaeda;

-la marcia trionfale dell’ISIS in Medio Oriente, che avrebbe potuto trasformarsi in un enorme impero terroristico, è stata interrotta.

Inoltre, l’autorità internazionale della Russia è molto cresciuta nel Medio Oriente e nel mondo, e le armi russe sono molto richieste sul mercato mondiale perché si sono dimostrate molto efficaci contro gli eserciti terroristici in Siria.

Un processo di negoziazione tra gli Stati coinvolti nel conflitto siriano è stato da tempo avviato ad Astana (la capitale dell’ex Repubblica Sovietica del Kazakistan), ma in questi giorni la situazione si è di nuovo accesa per via del ritiro delle truppe statunitensi dal nord della Siria e della conseguente invasione della regione da parte della Turchia, pochi giorni fa.

La decisione di Donald Trump di ritirare le proprie truppe è stata vista come un tradimento dai curdi del nord della Siria, alleati degli USA. È possibile che gli USA, nonostante i conflitti interni al governo e allo stesso partito repubblicano, causati da questa decisione, abbiano deciso di “sacrificare” l’alleanza con i curdi per non compromettere quella con la Turchia, che è un Paese membro della NATO.

Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha dichiarato che la Russia è pronta a “promuovere il dialogo tra Damasco e Ankara”, e che l’operazione militare della Turchia nel nord della Siria è il risultato delle azioni statunitensi nella zona.

Tuttavia, né la Russia né l’Unione Europea hanno finora preso apertamente posizione riguardo al conflitto. Una delle ragioni potrebbe essere la volontà di non compromettere i rapporti con la Turchia.

Un’altra ragione, e forse quella che andrebbe valutata con più attenzione, è la possibilità di un ritorno dell’ISIS in Siria e non solo. Infatti, l’attuale conflitto tra la Turchia e i curdi potrebbe alleggerire la pressione della Siria di Assad sull’ISIS, tuttora presente nel nord della Siria, e quindi consentire un ritorno dell’ISIS in Siria e non solo.

Inoltre, nelle carceri nel nord della Siria, sono detenuti molti “foreign fighters” che si erano uniti ai terroristi: moltissimi di questi hanno passaporti dell’Unione Europea e della Federazione Russa, e questo conflitto darebbe loro la possibilità di tornare nei propri Paesi d’origine.

Pertanto, il conflitto iniziato in questi giorni potrebbe rappresentare per gli USA non solo un compromesso per mantenere l’alleanza con la Turchia, ma anche un implicito ricatto per i Paesi europei, minacciati da una fuoriuscita di rifugiati siriani.

Silvia Vittoria Missotti