La vittoria di Zuzana Caputova, 45enne ambientalista, europeista, attivista anti-corruzione, oltreché nota per la sua corposa agenda liberal a favore dei diritti civili e della comunità LGBT, è apparsa a molti come una sorpresa in quell’Europa del Gruppo di Visegrad da più parti additata come culla dei nuovi sovranismi di matrice populista ed euroscettica. Priva di esperienze politiche, è sicuramente risultata nuova e per questo anche convincente agli occhi dell’elettorato scosso dalle recenti contrapposizioni che hanno interessato il paese provocando esattamente un anno fa la caduta dell’ex premier Robert Fico. In questo senso, potremmo dire che anche la sua vittoria sia stata insomma frutto di una certa “antipolitica” che guarda con insofferenza ai politici di professione, considerati corrotti e disonesti, e che serpeggia sempre in abbondanza nell’umore profondo degli elettori soprattutto nei momenti di crisi.
Prima donna a venir eletta Presidente nella storia della Slovacchia, ricoprirà un ruolo soprattutto onorifico e di garanzia, data la natura costituzionale del paese, ma di sicuro la sua elezione costituisce un forte segnale in un’Europa dove, fino a ieri, i “populisti” sembravano destinati a vincere con facilità ovunque, e non c’è dubbio che gli europeisti” cercheranno di capitalizzarla mediaticamente e politicamente il più possibile, in vista delle ormai vicine elezioni Europee. Questo anche perché la sua prevalenza sull’avversario, il socialista Maros Sefcovic, pari al 58,2% contro il 41,73, difficilmente ammette repliche. Sefcovic, espressione del partito socialdemocratico SMER-SD dell’ex premier Fico e del suo successore Peter Pellegrini, ha indubbiamente pagato le proteste che in Slovacchia si erano scatenate dopo l’assassinio del giovane cronista Jan Kuciak e della sua compagna Martina Kusnirova. In quell’occasione erano stati denunciati anche i legami d’affari che portavano la ‘ndrangheta a prosperare a Bratislava. In un simile mare in tempesta, non è stato difficile per la Caputova, partita col 9% dei primi sondaggi, guadagnare posizioni, anche perché l’appoggio che riceveva dai vari partner e sponsor interni ed esterni, europei in primis, non è stato di certo carente.
Tuttavia, questo scontro fra la Caputova e Sefcovic serve anche a farci capire come, i vari populisti o sovranisti un tempo più semplicemente noti come euroscettici, appartengano a famiglie politiche ben diverse fra di loro, e nella maggior parte dei casi persino contrapposte o divise da un’acerrima rivalità. Lo slovacco Robert Fico, socialista, e l’ungherese Viktor Orban, conservatore, vedono i loro partiti sedere in banchi ben diversi al Parlamento Europeo. Lo stesso vale anche per tutte le altre formazioni europee euroscettiche, a destra come a sinistra: qualcuno sta nel PPE, qualcun altro nel PSE, altri ancora in tutt’altre formazioni, più a destra o a sinistra ancora, o addirittura a metà strada fra i due grandi partiti moderati e a presenza ufficialmente europeista al 100%. Non ci sono solo Marine Le Pen o Matteo Salvini, o ancora il Movimento 5 Stelle, ma pure formazioni con un buon pacchetto di voti che militano nella sinistra ancora colorata di rosso, da Jean-Luc Mélenchon agli spagnoli di Podemos. Persino nella roccaforte tedesca, alla destra di AfD si contrappone la sinistra di Aufstehen, ed anche in questo caso, neanche a farlo apposta, i due gruppi in comune hanno solo il fatto di essere definiti dai loro avversari o detrattori come “populisti”, “sovranisti” o “euroscettici”.
Sarà dunque interessante vedere anche quali alchimie si profileranno all’indomani delle Europee. Al momento, di sicuro, gli europeisti di tutto il Vecchio Continente si sentono riprendere quota grazie a questa vittoria, anche se in Italia non sembrano ancora essersene accorti più di tanto. Ma di sicuro non tarderanno nemmeno in Italia, come del resto e a maggior ragione in tutta l’UE, a fare della Caputova uno dei loro nuovi simboli ed esempi politici, da incensare nella speranza di ripeterne il “miracolo” anche al di fuori della Slovacchia. Ma rimane il fatto che, con molta probabiltà, dalle urne delle prossime Europee non usciranno reali vincitori. I vari “populisti”, come dicevamo, sono divisi fra loro, sia fra destre e sinistre che all’interno delle destre e sinistre stesse, e non governeranno mai insieme. E’ invece possibile che si riproponga la formula della Grande Coalizione, già vista nel 2014 e che a questo punto potrebbe riproporsi o col medesimo asse PPE-PSE o con una nuova formula, dove magari il PPE si associa ai populisti conservatori più addomesticabili.
Ad ogni modo, bisognerebbe concludere aggiungendo come, ai tanti osservatori europei, sfuggano dei dettagli di non poca importanza. Il Gruppo di Visegrad, per esempio, ben prima di farsi la fama di “fronte populista” o “antieuropeista”, era al contrario noto come l’area più “europeista” fra tutti i paesi che un tempo si trovavano al di là dela Cortina di Ferro. Furono infatti i primi, fra tutti i paesi un tempo comunisti e del Patto di Varsavia, ad accedere all’UE e alla NATO, spesso proprio su spinta di quei leader e di quelle formazioni che oggi, avendo intrapreso una linea diversa rispetto agli Anni Novanta e ai primi Anni Duemila, vengono invece definiti “populisti”. Prendiamo ad esempio proprio l’ungherese Viktor Orban: oggi viene additato come lo spauracchio populista da tutti gli europeisti esistenti da Londra fino a La Valletta, ma quando governò per la prima volta il suo paese, nel 1998-2002, era uno di loro, e faceva la loro stessa politica. Fu infatti lui a far entrare l’Ungheria nell’UE e nella NATO, indossando le vesti del liberale moderato e di comprovata fede anticomunista. Poi, però, quando nel 2010 è tornato al governo, si è avvicinato alla Russia e alla Cina, ha cominciato a chiedere all’UE di non ingerire troppo nei suoi affari interni e ha attuato una serie di riforme, non soltanto costituzionali, che l’hanno trasformato agli occhi degli europeisti in un “populista” sovranista, nazionalista e persino nazista. Peccato, però, che i nazisti veri, in Ucraina, quegli stessi europeisti invece li sostengano accreditandoli come sinceri democratici: ma questa è già un’altra storia…