Come previsto, le elezioni generali spagnole di domenica scorsa sono state il déjà-vu, o quasi, di quelle tenutesi il 20 dicembre, determinando ancora una volta un parlamento senza una maggioranza. I quattro principali partiti in corsa si sono spartiti il 90% dei voti e 325 seggi sui 350 del Congresso dei Deputati.

Il vincitore può essere considerato il Partito Popolare di Mariano Rajoy che aumenta voti e seggi, conquistando il 33% pari a 137 deputati e ottiene anche la maggioranza assoluta al Senato, con 130 seggi su 208.

Al secondo posto troviamo ancora i socialisti del PSOE di Pedro Sanchez, che riescono a restare davanti a Podemos che sognava lo storico “sorpasso”. Nonostante ciò il PSOE raccoglie il peggior risultato della sua storia recente in termini di voti e seggi, rispettivamente 22.7% e 85, perdendo anche la supremazia nella roccaforte andalusa, pur resistendo nelle province di Huelga, Siviglia e Jaen.

Unidos Podemos, la coalizione che raggruppava Podemos di Pablo Iglesias e i comunisti di Izquierda Unida, più le varie emanazioni locali in Catalogna, nel Valenziano e nei Paesi Baschi, non riesce a sfondare e si deve accontentare del 21.1% che frutta 71 deputati, lo stesso numero uscito dalla precedente consultazione. Considerando il risultato di Izquierda Unida nel 2015, la coalizione perde un milione di voti, confermando che spesso e volentieri la “sommatoria” di varie sigle ottiene meno voti di quando ci si presenta divisi.

Il partito di centrodestra Ciudadanos di Albert Rivera perde 400.000 voti e si attesta al 13.1%, pari a 32 deputati. I restanti 25 seggi sono distribuiti tra le formazioni regionali e indipendentiste della Catalogna, dei Paesi Baschi e delle Isole Canarie. Con un Congresso nuovamente spaccato, si rendono ancora necessarie delle lunghe e faticose trattative.

Rajoy però, che è arrivato nettamente primo, stavolta rivendica a buon diritto la leadership delle trattative: la sua proposta, spalleggiata dall’Unione Europea, è quella di un governo “moderato e stabile” che comprenda il suo PP, il PSOE e Ciudadanos. Si tratterebbe in pratica di una grande coalizione in salsa spagnola, un formula politica completamente nuova per quelle latitudini e per ora difficilmente digeribile, soprattutto da parte dei socialisti che hanno già fatto sapere di non voler partecipare alla nascita di un nuovo governo Rajoy e neanche di astenersi sul voto di fiducia. Sicuramente impraticabile è la strada che porta a un governo di sinistra tra PSOE e Podemos, a cui si dovrebbero aggiungere i catalani. Altrettanto difficile sarebbe il ricorso a elezioni anticipate, per la terza volta in meno di un anno, ma questa ipotesi sarà scongiurata in tutti i modi soprattutto all’indomani dal risultato del referendum britannico, che ha precipitato l’Unione Europea in una fase di turbolenze e di incertezza.

Attualmente l’unica prospettiva credibile è quella di un governo di centrodestra composto dai popolari e da Ciudadanos, con l’appoggio determinante del Partito Nazionalista Basco e della Coalizione Canaria, che si fermerebbe proprio sulla soglia richiesta per una maggioranza di 176 deputati su 350. Neanche questi numeri quindi potrebbero bastare, a meno che, dalle fila del PSOE, non si registrasse perlomeno l’astensione (che in sede di voto di fiducia favorisce la maggioranza) di qualche “responsabile”, già individuato in Pedro Quevedo, eletto nelle Canarie (è leader del partito Nueva Canarias) come indipendente in quota PSOE e che adesso potrebbe finire nel gruppo misto. L’astensione di Quevedo potrebbe permettere la nascita del governo “responsabile” di Rajoy e Rivera, e salvare l’onore del partito socialista, che non ha intenzione di entrare in una grande coalizione per timore di essere, stavolta sì, cancellato da Podemos (il PASOK in Grecia docet). In tutto questo non bisogna però dimenticare l’imprevedibilità del leader ciudadano Rivera, disposto ad appoggiare un governo che non sia in totale continuità con il precedente, e il riferimento è proprio alla figura di Rajoy, ma è difficile pensare che quest’ultimo, dopo la vittoria elettorale, sia disposto a farsi da parte. Rivera, comunque, cambia idee più volte e alla fine non dovrebbe frapporre troppi ostacoli alla formazione di un governo, soprattutto quando le pressioni esterne saranno fortissime. L’Unione Europea, infatti, non vuole aprire un altro fronte nella penisola iberica, avendo già altri problemi per la questione Brexit, le critiche provenienti da altri paesi come la Polonia e le possibili svolte, tra quest’anno e il prossimo, in Italia (dove si voterà per il referendum costituzionale) e in Francia (dove si voterà per il presidente e il parlamento).

In casa Podemos invece si è già aperto il dibattito sulle cause della “sconfitta”, intesa come mancato sorpasso al PSOE e conseguente egemonia sull’area di sinistra. C’è chi ha visto nella Brexit una di queste cause, poiché Podemos era un potenziale salto nel vuoto, chi ha criticato la campagna ondivaga di Iglesias, populista radicale ma a volte anche troppo indulgente verso i socialisti con cui, una volta superati elettoralmente, sperava di intavolare una trattativa da una posizione di forza. Tutto ciò forse porterà a un congresso straordinario del partito. Anche Izquierda Unida, cannibalizzata da Unidos Podemos, ha da recriminare. Mentre Ciudadanos, da posizioni di centrodestra, non ha beneficiato di un voto che si sperava maggiormente “di protesta”, considerando anche il forte vento che soffia su tutta l’Europa.

A questo punto il bandolo della matassa rimane sempre nelle mani dei due partiti storici, troppo legati al rigido (ex) bipartitismo spagnolo per poter mettersi insieme: nessuno vuole perdere la purezza agli occhi dei suoi elettori. Da monitorare anche il ruolo che avrà nelle trattative il re Filippo VI, che si trova a gestire una vera e propria “transizione”. Rajoy però è in vantaggio e può contare sull’appoggio dei poteri forti che dopo la Brexit non possono permettersi un altro scivolone in un grande ed importante Paese, ma che ormai si trova alla periferia d’Europa, sostanzialmente tagliato fuori dalle decisioni del conciliabolo formato da Germania e Francia e puntellato dall’Italia.

Giulio Zotta