Nell’autunno 2013 in Ucraina scoppia la protesta che passerà alla storia come Euromaidan, nome che deriva dalla locazione originaria dei movimenti di dissenso, la piazza Maidan di Kiev.
Migliaia di persone si riversarono in piazza accusando il governo Yanukovich, eletto legittimamente nel 2010, del mancato accordo di libero scambio con l’Unione Europea.
Da protesta popolare, l’Euromaidan divenne un laboratorio politico tramite il ruolo e l’azione di due fattori di primaria importanza nell’interpretazione, il primo, e nello svolgimento, il secondo, dei fenomeni internazionali: i mass media e le ingerenza politiche estere. La narrazione mediatica che provò a descrivere e fotografare gli eventi del Maidan portò a un’interpretazione parziale dei fatti, avvicinandosi più a un disegno impreciso che a un’istantanea di qualità.
L’incomprensione di base degli eventi fu la totale assenza di una spiegazione completa della profonda divisione etnico-culturale dell’Ucraina, separata da un confine immaginario e tagliata in due: una parta decisamente filo-occidentale, con il centro nell’Oblast di Kiev, e una parte marcatamente filo-russa, concentrata nelle regioni del Donbass.
Una piazza, quella del Maidan, dipinta e narrata come se rappresentasse la totalità di un paese in realtà caratterizzato da radicate differenze etniche, linguistiche, religiose e culturali. Una manifestazione che dall’inizio divise l’Ucraina, come evidenziavano i primi sondaggi indipendenti che riportavano una parità d’opinione sull’essere d’accordo o meno con il movimento di protesta.
L’Euromaidan, movimento che avrebbe portato al crollo del governo Yanukovich, venne quindi fatto passare come volontà indiscutibile del popolo ucraino nella sua interezza, quando solo 3 anni prima l’Osce certificava come valide le elezioni che portarono al potere il presidente Yanukovich.
Un ulteriore errore mediatico fu dovuto alla poca conoscenza delle istituzioni ucraine: Yanukovich dopo la decisione del mancato accordo di libero scambio con l’Unione Europea, preferendo rimanere in orbita russa venne accusato di dispotismo e di aver violato la costituzione. Niente di più falso. La Corte Costituzionale ucraina il 30 settembre del 2010, dichiarando incostituzionali i cambiamenti del 2004, ripristinò il dettato costituzionale del 1996, restituendo a Yanukovich i poteri risalenti all’era Kruchma. Piena giurisdizione su trattati di politica estera, come quello preso in questione.
Il presidente ucraino, quindi, non prevaricò nessun dettato della costituzione quando scelse di non firmare l’accordo di libero scambio con l’Unione Europea. Possano o no piacere, leggi e istituzioni di stati sovrani dovrebbero essere rispettati, o quanto meno conosciuti, per evitare approssimazioni mediatiche fuorvianti.
Il primo vero episodio anti-costituzionale fu l’ingresso nella Rada di milizie paramilitari armate che spinsero il premier a dimissioni coatte, prima di fuggire in Russia. Episodio che venne invece riportato dai mass media nostrani come il culmine della “rivoluzione ucraina”, che aveva finalmente sconfitto l’ormai conclamato “despota e tiranno filorusso”. Un secondo fattore che certamente ha trasformato la protesta del Maidan in un esperimento politico con fini strategici è stata la forte ingerenza estera, specialmente americana.
Sin dall’inizio delle manifestazioni fu essenziale il ruolo delle Ong statunitensi presenti sul suolo ucraino: le organizzazioni riuscirono a stimolare la società civile del paese, creando reti e network sociali in grado di unire le diverse fazioni filo-occidentali, facendo presa su giovani e studenti e massimizzando i risultati di chi tentava di dirigere le proteste.
Tra le Ong più note c’è la Open Society Foundation, fondata dal magnate George Soros nel 1993, che nel 2012 ha investito ben 12 milioni di dollari in Ucraina, media di gran lunga superiore agli investimenti fatti negli altri paesi europei, come si può notare nel bilancio della fondazione.
Altre Organizzazioni non governative presenti ed attive in Ucraina sono state la NED (National Endowment for Democracy), protagonista di 65 progetti nel paese; la National Democratic Institute for International Affairs e la Millennium Challenge Corporation. Per finire una menzione particolare va riservata al ruolo di Freedom House, Ong ben radicata in territorio ucraino, che si occupa di stilare annualmente una classifica chiamata “Indice di libertà”, con lo scopo di monitorare il grado di libertà di uno stato sulla base di indici relativi a diritti politici e alle libertà civili.
È la stessa Freedom House che analizzando lo “Status” dell’Ucraina declassa il paese da “libero” a “parzialmente libero” nel 2010, in occasione delle elezioni di Yanukovich. La stessa Freedom House aveva dichiarato l’Ucraina paese “libero” nel 2005, dopo la rivoluzione arancione. Rivoluzione che l’Ong in questione aveva finanziato economicamente e nella quale, in occasione del ballottaggio tra Yanukovich e Yushchenko, giocò un ruolo di straordinaria importanza mobilitando più di mille osservatori che segnalavano tramite exit pool il netto vantaggio del secondo candidato sul primo.
Oltre al ruolo delle Organizzazioni non governative agli albori del Maidan spicca la partita giocata da personaggi del mondo diplomatico statunitense. Tra questi sono da citare Victoria Nuland e John Mc Cain. La prima, neo conservatrice di origine ucraina, nel settembre del 2013 venne nominata da Obama segretario di stato per gli affari eurasiatici. La Nuland e Mc Cain furono molto attivi durante il periodo delle manifestazioni di piazza, prendendo spesso parola sul palco e rivolgendosi alla folla con frasi come “l’America è dalla parte degli ucraini che vogliono il cambiamento”.
I due politici dimostrano di aver un’idea ben precisa in mente: influenzare la protesta affinché l’Ucraina si distacchi totalmente dall’orbita russa. Incominciano a tessere rapporti con i promotori della protesta come Klycko (l’ex pugile a capo del partito Udar) e Yatseniuk (che diventerà primo ministro del paese), mentre Mc Cain si reca a cena con Oleh Tjahnybok, leader di Svoboda, partito che aveva incendiato gli animi della rivolta.
Qualche settimana prima di questo incontro, l’ambasciata americana in Ucraina aveva convocato alcuni tra i principali oligarchi presenti nel paese. Tra questi risulta un incontro con Petro Poroshenko, futuro presidente ucraino, e con Igor Kolomoyski, governatore della regione di Dnipropetrovsk che armerà un discreto numero di battaglioni paramilitari per la guerra in Donbass.
I Leader della protesta, futuri uomini di potere e oligarchi: gli esponenti del mondo americano riuscirono a costruire un importante disegno e progetto politico che, insieme al lavoro svolto dalle Ong, avvolgerà l’Ucraina nella morsa delle élite filo-occidentali e avverse alle politiche russe.
Le azioni di ingerenza estera, unite alle politiche del governo ucraino nascente, hanno contribuito a creare una spaccatura insanabile all’interno del paese. La polarizzazione dell’Ucraina ha quindi portato ad un escalation di violenza che ha sconvolto le regioni sud-orientali, martoriando il popolo ucraino già provato dalle crisi economiche.
Lorenzo Zacchi