Italia 90: SChillaci

Trent’anni fa incominciavano le “Notti Magiche”

L’8 giugno di trent’anni fa iniziava Italia 90, uno dei mondiali che ha più acceso e appassionato il cuore degli italiani e che ha rappresentato una sorta di spartiacque nella storia calcistica del Belpaese e non solo. Chi personalmente ha vissuto quegli anni (io purtroppo non ho potuto “assistere” all’evento dato che nascevo qualche mese dopo) definisce quel mondiale l’episodio conclusivo dell’Italia degli Anni Ottanta, quella del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) contrassegnata da un benessere effervescente quanto effimero che ha portato l’Italia a diventare la quinta potenza del mondo dietro a Stati Uniti, Germania Ovest, Giappone e Francia. Senza ombra di dubbio Italia 90 furono anche la “coda lunga” di tutto quel processo di ascesa del movimento calcistico italiano che è stata la conseguenza dell’apertura nel 1980 del tesseramento dei campioni stranieri e soprattutto della grande impresa ai mondiali spagnoli nel 1982.

La Serie A ovvero l'”NBA del calcio

È proprio dopo il 1982 che la Serie A divenne ufficialmente “l’NBA del calcio”: il campionato perfetto dove difese di ferro e l’organizzazione tattica italianista delle squadre italiane rendevano la vita durissima a tutti i più grandi fuoriclasse che venivano a giocare nel nostro calcio attratti dai lauti stipendi, anche in squadre di provincia con poco blasone come i casi di Zico all’Udinese. Questo processo di forte ascesa si cementificò ulteriormente nell’estate del 1988 quando alle nostre squadre fu permesso il tesseramento del “terzo straniero”: nacquero così squadroni leggendari come il Milan degli Olandesi (Gullit-Van Basten-Rijkaard), l’Inter dei Tedeschi (Brehme-Matthäus poi Klinsmann), il Napoli del Ma-Gi-Ca. A queste tre squadre, che possono definirsi a tutto titolo come le migliori del mondo, si aggiungevano altre buone squadre per gli standard europei come la Sampdoria del tandem Vialli-Mancini e la Juventus che, nonostante il ridimensionamento dovuto all’ascesa del craxiano Silvio Berlusconi, poteva contare su una squadra molto solida e tignosa guidata da un tecnico molto pratico come l’ex leggenda Dino Zoff (infatti nel 1990 la Juve vinse la doppietta Coppa Italia-Coppa UEFA). Bisogna inoltre considerare il livello medio altissimo anche delle squadre di media-bassa classifica di Serie A che potevano contare tutti su ottimi portieri, difese ben registrare e giocatori stranieri che nelle loro rispettive nazionali erano titolari inamovibili. Infine va detto che quello italiano era un movimento calcistico che, dopo quasi trent’anni di “dittatura” standardizzata di calcio all’italiana stava iniziando ad adottare principi innovativi come la difesa zona ed il pressing diventando così un vero e proprio laboratorio di tattiche e idee avanguardistiche. Nel triennio 1988-91 l’Italia conobbe un apice calcistico, a livello tecnico, tattico spettacolare e mediatico che non ha mai toccato in precedenza e che mai toccherà in futuro.

Bergomi francobolla Van Basten: immagine simbolo dell”NBA del calcio” ovvero la Serie A degli Anni Ottanta.

Una grande occasione perduta

Trent’anni fa l’opinione pubblica si attendeva grandi cose dalla Nazionale di Azeglio Vicini, che agli Europei del 1988 aveva raggiunto la semifinale mostrando un gioco veloce e sbarazzino con tanti giovani protagonisti. Il terzo posto finale può essere quindi letto come una grandissima occasione mancata ma a pensarci bene quella squadra forse non era ancora matura per aprire un ciclo, un ciclo che avrebbe dovuto essere aperto almeno nel biennio 1984-1986 (ma Bearzot preferì continuare a puntare sui suoi vecchi leoni con innesti poco fortunati). L’Italia calcistica e la sua Federazione quindi peccò ancora una volta di scarsa organizzazione strategica. Inoltre quella squadra, seppur forte, non era basata su un “blocco” come quella del 1982 ma era una sorta di mosaico tra tutte le maggiori rappresentative del nostro calcio.

Con il declino del “sistema Agnelli” come conseguenza dell’ascesa della “Milano da bere” in formato calcistico (Berlusconi & Pellegrini), i sottili equilibri territoriali su cui si basava la politica di allora furono trasportati anche in azzurro: il povero Vicini per accontentare tutti cercò di tarare la sua nazionale in misura eterogenea cercando di far felici tutte le maggiori squadre dell’epoca e le relative piazze. Solo in questo senso si spiegano le convocazioni e le maglie da titolare di giocatori come Ferri (Inter, preferito al più forte sampdoriano Vierchowod), De Agostini (Juve), De Napoli (Napoli), Giannini (Roma), tutti giocatori che in semifinale contro la tignosa e ostica Argentina maradoniana, come vedremo, faranno la differenza in negativo.

A questo si aggiunse un CT come Azeglio Vicini, bravissima persona per carità, ma dotato di poco polso e carisma e fin troppo permeabile a certe influenze che gli arrivavano dall’esterno. Per fare un paragone il suo predecessore Enzo Bearzot era un uomo dalla scorza dura che sapeva tenere testa alle pressioni che gli giungevano da certi ambienti, soprattutto dalla carta stampata. Inoltre, caso unico e incredibile, il va anche considerato che gli organizzatori non seppero creare un tabellone per evitare che la nazionale padrone di casa, dopo aver giocato il gironcino iniziale, gli ottavi e i quarti di finale all’Olimpico di Roma, fosse costretta a migrare a Napoli dove, ironia del destino, ci toccherà affrontare proprio nella “casa” di Diego Maradona un’Argentina arrivata in semifinale quasi per caso!

I calciatori azzurri con le maglie delle nazionali partecipanti

Una Nazionale forte ma forse troppo mitizzata

Per valori tecnici l’Italia di Vicini vista ad Italia 90 è stata una squadra indubbiamente di valore ma fin troppo mitizzata, a mio avviso quella squadra è stata inferiore sia a quella del quadriennio 1978-82 che quella vista negli Stati Uniti nel 1994. La formazione tipo scelta dall’Azeglio Nazionale prevedeva il classico modulo all’italiana con marcature a uomo e libero staccato (quando anche in Italia stava per far breccia la zona pura sull’esempio del Milan “olandese” di Sacchi). La difesa era semplicemente da urlo: Walter Zenga difendeva la porta, parliamo semplicemente del miglior portiere del mondo. Il libero era semplicemente Franco Baresi, anche lui il migliore nel ruolo e forse di ogni tempo assieme a Beckenbauer e Scirea, davanti a lui agivano in marcature Beppe Bergomi e Riccardo Ferri, la coppia dell’Inter di Trapattoni abituata a giocare con questo sistema di gioco a zona mista. Sull’out mancino agiva su tutta la fascia Paolo Maldini che con il Milan sacchiano stava rivoluzionando il concetto di difensore di fascia, non più semplice terzino sinistro che fluidifica sulla fascia bensì esterno basso che deve saper muoversi in sincronia, in catena con l’altro esterno alto. Sovrapposizioni, diagonali difensive sembrano concetti ovvi nel calcio di oggi ma allora erano rivoluzionari.

Se la difesa era davvero formidabile, qualche dubbio lo riservava il centrocampo, il settore dove le squadre italiane hanno sempre sofferto sia dal punto di vista fisico che tecnico. In questa squadra mancavano elementi di grande duttilità come i vari Oriali, Tardelli e Benetti o giocatori di classe cristallina come Antognoni. De Napoli, che agiva sul centro destra era un buon incontrista che nel suo club doveva semplicemente verticalizzare il pallone per Maradona. Sul centro sinistra i vari Ancelotti (troppo vecchio), Berti (troppo acerbo) o De Agostini (buon giocatore ma nulla più) non offrivano grandi garanzie a una Nazionale che doveva vincere il mondiale a tutti i costi.

In attacco Vicini aveva sperimentato una formula molto ardita con un inedito doppio rifinitore. Al classico trequartista Beppe Giannini si affiancava spesso infatti Roberto Donadoni, tornante solo nominale che in realtà si spostava continuamente di fascia fungendo così da trequartista aggiunto. Dopo il flop iniziale della coppia d’attaccanti pesante formata da Vialli e Carnevale il tecnico romagnolo ebbe l’indubbio merito fiuto di ideare un tandem di pesi mosca formato dalle due grandi rivelazioni del mondiale: Roberto Baggio, forse uno dei più grandi talenti cristallini espressi dal nostro calcio e Totò Schillaci, l’uomo simbolo di quel mondiale con i suoi gol di rapina e i suoi occhi sgranati.

La formazione dell’Italia prima della semifinale contro l’Argentina.

Il cammino dell’Italia

Il gioco della nazionale di Italia 90 nei fatti era terribilmente dipendente dai movimenti rapidi del duo di punta. Infatti con un centrocampo formato da buoni pedalatori e da un regista abbastanza anonimo come Giannini, inadatto a giocare nelle classiche “tonnare” di centrocampo, l’imprevedibilità della squadra azzurra poteva essere data solo dalla tecnica dei suoi due terminali. Per questo motivo l’Italia giocò due ottime partite contro Cecoslovacchia e in parte contro l’Uruguay proprio perché Baggio e Schillaci erano davvero inarrestabili e in stato di grazia e da soli potevano reggere il peso dell’intera squadra.

Poi, siccome il calcio d’estate è solitamente riservato solo ed esclusivamente a chi corre di più, l’Italia ha incominciato a evidenziare i suoi limiti strutturali. Contro l’Irlanda, giunta ai quarti di finale non si sa come dopo tre pareggi e un ottavo vinto ai rigori, gli azzurri vennero letteralmente dominati a centrocampo dai modesti irlandesi, per nostra fortuna Schillaci segnava ogni pallone che toccava e l’attacco degli irlandesi era troppo debole per perforare la nostra difesa. Specie il secondo tempo fu di una sofferenza inaudita con l’Eire che spadroneggiò in mezzo al campo in lungo ed in largo.

Tutto ciò che è successo in semifinale contro l’Argentina a posteriori fu ampiamente prevedibile: certo i fattori ambientali, l’ostilità di mezza Napoli che faceva il tifo per il proprio idolo Maradona, gli episodi (l’uscita a farfalle di Zenga, la cinica lotteria dei rigori) hanno avuto un loro peso. Ma contro un’Argentina che faceva della “garra” e nelle tonnare a centrocampo l’unica sua arma di forza, giocare con un centrocampo così povero di qualità e con un Vialli in attacco evidentemente fuori fase è stato un atto quasi masochistico.

https://www.youtube.com/watch?v=x0mYpegtp9o

Una grande abbuffata per i “soliti noti”

In definitiva le Notti Magiche di Italia 90 sono state sia una grande occasione perduta ma anche una grande opportunità di business per le tasche dei “soliti noti“. Il mundial italiano anche in questo caso è stato lo specchio fedele di un paese e di una classe politica, quella della Prima Repubblica, che ha avuto tantissimi meriti (se confrontata con quella dei predecessori e quella dei successori…) ma anche tantissime zone d’ombra. Il Sistema Italia, con l’organizzazione di quel mondiale all’insegna degli sprechi, delle tante morti bianche sul lavoro e di stadi ed infrastrutture faraoniche costruite con materiale scadente e tecnologie ormai obsolete, ha davvero perso un’occasione d’oro per portare il Belpaese nel novero dei paesi davvero moderni e strutturalmente sviluppati. Così autentiche cattedrali nel deserto come il Delle Alpi di Torino (già demolito) o il San Nicola di Bari o infrastrutture come la Stazione “fanatsma”Ostiense o la metropolitana di Napoli (inaugurata qualche anno dopo Italia 90) possono essere letti un po’ il contraltare architettonico della sgangherata mascotte Ciao!, una delle più brutte della storia dei mondiali! Va comunque riconosciuto che quell’Italia, con i suoi limiti organizzativi e strutturali era comunque ancora un paese capace di creare ricchezza, benessere e far sognare in grande (magari in modo effimero) un popolo intero: sembra davvero passata un’epoca rispetto a quella attuale. Un’ultima cosa: vale la pena ricordare chi era l’organizzatore dei mondiali e cioè il rampollo di Casa Agnelli Luca Cordero di Montezemolo, simbolo di un paese dove come insegnava il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa “bisogna cambiare tutto affinché non cambi niente”…

Ciao!, la “sgangherata” mascotte di Italia ’90

(Fine 1a puntata).