Spread. Non v’è più ormai cittadino italiano che non conosca il significato di tale parola, entrata nel linguaggio comune nel 2011 durante il Governo Monti, ed ora tornata alla ribalta in seguito al braccio di ferro tra l’attuale Esecutivo e le istituzioni dell’Unione Europea.

Quali sono i fattori che ne influenzano l’andamento temporale?
Che ripercussioni ha sulla vita di tutti i giorni?

Nel presente articolo cercheremo di rispondere a tali domande, con l’intento di fornire al lettore gli elementi necessari per una piena comprensione del problema in parola, troppo spesso al centro di mistificazioni giornalistiche e strumentalizzazioni politiche.

Dato che la seguente trattazione è rivolta principalmente ai profani della materia, tutte le considerazioni svolte sono scevre di tecnicismi e analisi di carattere specialistico. Prima di iniziare però, è doverosa una premessa.

Ha ben poco senso parlare di spread, se prima non se ne comprende l’origine, pertanto, occorre dedicare qualche riga alla spiegazione del bilancio pubblico.

Ogniqualvolta i ricavi dello Stato non sono sufficienti a sostenere il costo della spesa pubblica, si presentano due possibilità: decidere se finanziare il deficit attraverso l’emissione di titoli di Stato, oppure attraverso l’emissione di nuova moneta. Nel caso dell’Italia però, come per tutti gli altri paesi membri dell’Unione Europea, non v’è alcuna possibilità di scelta, in quanto l’emissione di nuova moneta è facoltà della sola Banca Centrale Europea.

A questo punto, entra in gioco lo spread.
Infatti, lo spread non è altro che la differenza, espressa in punti base, tra il rendimento dei titoli di Stato italiani a dieci anni, i cosiddetti Btp, e quello dei corrispondenti titoli tedeschi, chiamati Bund. Ciò significa quindi, che quando leggiamo che lo spread è arrivato a 315 punti base, valore registrato ieri pomeriggio, la differenza tra i rendimenti dei due titoli, espressi in punti percentuali, è pari al 3,15%, poiché ad ogni punto percentuale corrispondono 100 punti base.

Ciò detto, possiamo ora entrare nel vivo del problema.
Il finanziamento del deficit attraverso i titoli di Stato, presuppone che il mercato sia disposto ad acquistarli, altrimenti allo Stato non rimarrebbe altra possibilità che ridurre la spesa pubblica; tradotto in parole povere, chiusura di ospedali, scuole fatiscenti, volanti della Polizia senza benzina e via discorrendo. Quindi, stando così le cose, sembrerebbe che il mercato giochi un ruolo fondamentale ai fini della qualità della vita di tutti noi.

Ma di preciso, cos’è il “mercato”?
Da chi è composto?
Cosa sarà mai questa entità astratta di cui tutti parlano come se fosse una specie di divinità?

Il mercato è fatto da uomini. Sveglia! Uomini esattamente come tutti noi. Uomini con le loro ansie, paure, preoccupazioni ed esuberanze.

Quando pensiamo al mercato, non dobbiamo immaginare soltanto finanzieri del calibro di Warren Buffet, ma anche piccoli risparmiatori e semplici appassionati di borsa, per poi finire, naturalmente, agli speculatori professionisti, consulenti finanziari e professori di economia.

Ora, non voglio certo paragonare un professionista della finanza ad un piccolo risparmiatore, però, occorre anche sottolineare che perfino gli speculatori professionisti possono farsi suggestionare dal caos mediatico, commettendo conseguentemente errori di valutazione. Errori, ad esempio, che possono determinare l’aumento dello spread.

Ci spieghiamo meglio.
Gli aumenti dello spread si verificano ogniqualvolta gli investitori hanno l’impressione che i Btp siano meno sicuri rispetto al passato, il che costringe lo Stato ad aumentarne il rendimento nella speranza che gli investitori si convincano ad acquistarli.
Ora, è fuori dubbio che in molti casi la paura è frutto di scellerate politiche governative, però, è anche vero che i mezzi di comunicazione ci mettono del loro.

Infatti, gli aumenti dello spread che seguono decisioni politiche innovative, il più delle volte non sono preoccupanti, in quanto fisiologiche reazioni del mercato nei confronti delle novità, le quali, come tutti sappiamo, in un primo momento spaventano sempre; ciò che invece dovrebbe far riflettere, è la criminale enfatizzazione di tali aumenti da parte del mondo dell’informazione, i cui rappresentanti si comportano da veri e propri oppositori politici nei confronti di tutti i Governi ritenuti “non-allineati”.

La strategia seguita è sempre la stessa, formulare previsioni economiche iper-pessimistiche, ipotizzando scenari apocalittici, al fine di scoraggiare l’adozione di politiche alternative. Per non cadere nella trappola, occorre tenere a mente che per formulare previsioni economiche attendibili, non ha alcun senso analizzare le variazioni giornaliere dello spread, poiché le dinamiche della borsa sono talmente complesse, ed interdipendenti, che le variazioni giornaliere dei titoli rappresentano un fatto del tutto normale; invece, ciò che davvero conta è l’andamento medio nel tempo, la cui previsione è attendibile soltanto se calcolata a partire da una serie storica sufficientemente significativa.

Tradotto in parole povere, se si vuole conoscere l’effetto di una certa misura politica sullo spread, occorre pazientare non meno di cinque mesi dal giorno dell’implementazione della misura stessa.
Invece, per quanto attiene ai fattori che influiscono positivamente sullo spread, basti pensare che tale indice è fortemente sensibile a tutte quelle misure che hanno effetti benefici sull’economia del paese.

Si consideri, ad esempio, il caso delle politiche occupazionali. La riduzione della disoccupazione ha certamente un effetto positivo sullo spread, poiché determinando un maggior gettito fiscale, nonché una riduzione della spesa assistenziale nel lungo periodo, contribuisce a rendere più solide le finanze del paese, allontanando quindi il pericolo di insolvenza nei confronti dei detentori dei titoli di Stato.

Esaminate le cause che determinano variazioni dello spread, è ora possibile analizzarne gli effetti.

Come è ormai noto, un elevato valore dello spread è un fatto decisamente negativo, poiché le ripercussioni socio-economiche che ne conseguono sono piuttosto significative, fino a diventare devastanti nei casi più estremi.

Innanzitutto, un elevato valore dello spread è spesso fonte di declassamenti da parte delle agenzie di rating, cosa di per se non preoccupante, se non per il fatto che i giudizi di tali agenzie hanno un ruolo determinante ai fini dell’acquisto di titoli di Stato da parte della BCE.

Ciò significa quindi, che se le agenzie di rating valutano negativamente la stabilità finanziaria di un paese, la BCE non ne acquisterà più i titoli di Stato, di conseguenza neanche il resto del mercato, e il fallimento è assicurato.

Ma i problemi non finiscono qui.
Infatti, relativamente al mondo delle banche, essendo lo spread una misura del “livello di affidabilità” del debitore, ad ogni suo aumento corrisponde una maggiore probabilità che gli istituti di credito perdano quanto investito in Btp, il che determina una maggiore stretta nella concessione dei prestiti ai privati.

Infine, occorre considerare un ulteriore aspetto.
Se da una parte l’aumento dello spread determina un maggior indebitamento da parte dello Stato, per via dell’aumento degli interessi sul debito, dall’altra garantisce agli investitori maggiori guadagni; comunque, nel complesso, gli effetti negativi sono di gran lunga superiori rispetto a quelli positivi.

Tanto ancora ci sarebbe da dire, ma quanto esposto può considerarsi un buon punto di partenza per chiunque fosse interessato ad approfondire l’argomento.