Steve “Kalamazoo” Mokone (nome completo Stephen Madi Mokone) è stato il pioniere tra gli africani del calcio. Prima di lui, nel calcio arcaico degli ultimi anni dell’800 trovò spazio il portiere mulatto Arthur Wharton, nativo della Costa d’Oro (ora Ghana), che tra il 1885 e il 1902 difese la porta di alcuni club britannici.
Negli anni ’10 invece arrivarono, sempre in Inghilterra, alcuni studenti-calciatori egiziani, come Hassan Hegazi (Dulwich Hamlet, Fulham), Tewfik Abdallah (Derby County), Mohammed Latif (Glasgow Rangers) e Mostafa Kamal Mansour (Queens Park Rangers), seguiti negli anni ’40 da Mohamed El Guindy e Abdul Kerim Sakr (entrambi all’Huddersfield Town) Sono però tutti “trasferimenti interni”, figli del colonialismo inglese. Mokone invece fu il primo “negretto” a firmare un contratto da professionista in un club europeo provenendo da un paese africano indipendente. Ma la sua figura, soprattutto nella fugace apparizione italiana, è avvolta da molti misteri, dovuti in particolare dai toni enfatici dell’articolo con il quale è ricordato sul sito del Presidente della Repubblica Sudafricana (1). Nelle prossime righe proveremo a dirimere alcune questioni.
Nasce il 23 marzo 1932 a Doornfontein, uno dei quartieri neri di Johannesburg. Sono anni complicati per i neri sudafricani visto che proprio in quel decennio il Partito Nazionale, guidato dai razzisti afrikaner, definì le linee guida dell’apartheid, che divenne legge dello stato nel 1948, ma di fatto era già applicato dall’atto di fondazione della Repubblica (1910). In Sud Africa, come ogni altro aspetto della vita sociale, il calcio è diviso in due federazioni e due leghe: c’è la National Football League, dedicata ai bianchi, e la South African Soccer League, dedicata ai neri. Il governo di Pretoria era decisamente tollerante verso il “campionato nero” e, anzi, chiudendo più di un occhio lasciava correre anche qualche stipendio illegale ai calciatori, a discapito del loro status di dilettanti. Dietro a questa politica “liberale” in realtà si nascondeva il più classico dei ludem et circenses, sfruttando lo sport più popolare al mondo, ma mal tollerato dai bianchi afrikaaner, che invece elessero il rugby a sport cardine della cultura nazionale legata all’apartheid.
Nella Lega dei colored gioca il giovane Kalamazoo, con la maglia dei Bucks Bush di Durban, alternando il campo con lo studio, visto che il padre lo voleva avvocato. (studiava nella Ohlange High School di Durban, la scuola nella quale Mandela votò per la prima volta nel 1994). A solo 16 anni Mokone è selezionato per giocare alcune gare con una semiufficiale nazionale nera sudafricana e attira gli sguardi di alcuni osservatori giunti dall’Inghilterra. Si fanno avanti il Newcastle e il Wolverhampton, ma Paul, il padre, bloccò il trasferimento del figlio in Inghilterra: prima doveva terminare gli studi.
L’occasione si ripresenta qualche anno dopo, nel 1955, quando il Coventry City è pronto a tesserare l’attaccante sudafricano. Qualche lungaggine burocratica per ricevere il passaporto e una trattativa politica (era, fin da giovanissimo, militante della lega giovanile dell’African National Congress, il movimento fondato da Nelson Mandela), rallentano il trasferimento ed appena nell’agosto del 1956 (un anno prima giunse in Inghilterra il nigeriano, quindi ancora “coloniale” Tesilimi Olawale “Teslim” Balogun, che firmò con il Peterborough United, senza però mai scendere in campo. Esordirà appena nel 1956 con la maglia del Queens Park Rangers). Conquistò da subito compagni e tifosi, oltre che gli addetti ai lavori, ma nel campionato della Third Division scende in campo in appena 4 gare, mettendo a segno una rete nella gara contro il Gillingham (finale 4-1 per il City). Mokone era un giocatore tutto tecnica e velocità, che mal si adattava al “kick and rush” del calcio albionico (definì il calcio britannico “primitivo” (2)). Inoltre aveva un pessimo rapporto con l’allenatore Harry Warren, che sembra l’aveva anche appellato con frasi razziste, e che non ne apprezzava gli aspetti tecnici poco inclini al rude gioco delle divisioni inferiori.
La breve esperienza però gli consente di superare David Abrham Julius come primo sudafricano nero ad aver firmato un contratto da professionista in Europa. Julius, che diverrà portoghese con il nome di David Abraão Júlio, dopo aver giocato in Mozambico con i Lourenço Marques, avrà un’ottima carriera con lo Sporting Lisbona (tra il 1957 e il 1964) e vestirà addirittura per 4 occasioni la maglia rossoverde della nazionale lusitana. Fra gli altri africani neri ricordiamo: Paul Bonga Bonga, congolese di Ebonda, che giocò con lo Standard Liegi tra il 1957 e il 1963, squadra con la quale vinse due titoli belgi e nel 1961 fece parte della selezione “Resto del Mondo” assieme a giocatori del calibro di Nílton Santos, Gento, Pelé, Kubala, Di Stéfano e Puskás; i due nigeriani, Francis Feyami al Cambridge City e Elkanah Onyeali al Tranmere Rovers; Kokou Guy Acolatse primo “colored” a vestire la maglia di una squadra della Bundesliga tedesca, la sempre ribella maglia del St.Pauli nel 1963.
Finita la prima esperienza inglese trovò un ingaggio, un po’ casuale, in Olanda, nella terza divisione grazie all’Heracles di Almelo: il manager dei bianconeri, Jan Bijl, alla ricerca di un rinforzo, scrisse a 14 svincolati del campionato inglese e solamente Mokone rispose di essere disponibile per un provino (dopo averne fallito uno nientepopodimenochè al Real Madrid) (3). Gioca contro l’Eintracht di Francoforte e segna subito: “Lo prendiamo”! Nella piccola città dei Paesi Bassi, ancora lontani dalla rivoluzione culturale che spazzò il bigottismo protestante di quelle terre, Mokone è una sorta di oggetto misterioso che fa arricciare il naso ai più benpensanti. Ma in campo fa finalmente vedere il suo valore. Nella prima stagione segna 15 reti e guida la squadra alla vittoria della Tweede divisie. L’anno successivo la squadra raggiunge un lusinghiero settimo posto nella Eerste divisie, ma Mokone è spesso ai box fermato da un infortunio alla caviglia. Lo raggiungo però ad Amlelo altri due sudafricani: Gerald Francis, che passerà subito al Leeds United in Inghilterra, e Darius Mfana Temba Dhlomo, che appesi gli scarpini al chiodo, divenne musicista e militante politico.
Non trova conferma la gara giocata con la maglia del PSV contro il Botafogo di Garrincha e Didì, per il semplice motivo che i brasiliani in Olanda giocarono solo contro Fortuna 54, Willhelm II e Feyenoord (4), e nemmeno l’interessamento dell’Inter.
Chiusa la seconda stagione in Olanda, Mokone prova a trovare nuova fortuna in Gran Bretagna. Dalle parti di Almelo però ha lasciato ricordi indelebili, se pensiamo che la città gli ha dedicato una strada e che un giornalista locale, Tom Egbers, ha raccontato la sua vita nel libro De zwarte meteoor (La meteora nera).
In Inghilterra, il sudafricano trova spazio a Cardiff, nel locale City. I gallesi giocano in Second Division ma la società ha costruito uno squadrone per centrare immediatamente la promozione. Mokone, nei piani dei tecnici, è l’uomo in più. Partirà subito alla grandissima nella prima di campionato contro il leggendario Liverpool: il Cardiff vince 3-2 e Mokone mette a segno una rete. Sembra l’inizio della stagione dell’affermazione ma da lì in poi giocherà solamente altre due gare, vittima dei problemi alla caviglia.
Da qui in poi la carriera di Mokone assume risvolti mitici. Più fonti riportano addirittura un contratto con il Barcellona (!), in un periodo in cui la Delegación Nacional de Deportes vietò di mettere sotto contratto giocatori stranieri (anche se i club ispanici goderono comunque di un certo lassismo, soprattutto quando i nomi erano “pesanti” o arrivavano da paesi comunisti). Non esistono però prove di questo contratto e, sempre secondo la vulgata, Mokone lasciò immediatamente Barcellona per andare in prestito all’Olympique Marsiglia. Anche qui nessuna prova e naturalmente nessuna presenza.
Riprendendo i dati biografici, nel 1961, sembra abbia giocato una gara amichevole nel Barnsley FC, città nella quale conobbe la futura moglie, la signora Joyce.
Dopo praticamente quattro anni di inattività, in ricerca di fortuna europea, decide di rientrare in Africa, più precisamente nella Rhodesia meridionale (l’attuale Zimbabwe). Gioca nel campionato locale, con la maglia del Salisbury City (squadra della capitale, attuale Harare). Con la nuova squadra arriva secondo nel Campionato nazionale e nelle semifinali della Castle Cup, la coppa che riunisce le squadre della Rhodesia del Nord (attuale Zambia) e del Sud. Non perde l’occasione di manifestare le sue idee politiche e milita nel Zimbabwe African people’s Union, il movimento fondato il 17 dicembre 1961, da un gruppo di rivoluzionari: Joshua Nkomo, Ndabaningi Sithole, Jason Moyo e Robert Mugabe.
Nel novembre del 1962 è in prova al Torino, consigliato da Emil Ostrlcher, già dirigente della Honvéd e in successivamente del Real Madrid. La squadra allenata dall’argentino Benjamin Santos viaggia nelle metà classifica della Serie A e ha l’opportunità di visionare il sudafricano. A distanza di anni sono nate delle leggende su questa esperienza italiana a cominciare dalla prima amichevole, che avrebbe dovuto mettere di fronte il Torino e il Verona e nella quale Mokone avrebbe addirittura segnato tutte e 5 le reti dei granata, per un finale di 5-2. Grazie all’archivio del giornale piemontese La Stampa, che ovviamente seguiva con molta attenzione le sorti del Torino, scopriamo che non ci fu nessuna amichevole tra granata e gialloblù, ma che per il Torino l’allenatore in seconda Fabbri e il dirigente Vola hanno seguito un allenamento del Verona al quale ha preso parte Mokone, conclusosi con una partitella tra titolari e riserve. L’africano (chiamato dal giornale “Mokoni”) ha messo a segno tre reti, con piena soddisfazione di Fabbri: «È un giocatore tecnicamente a posto ed inoltre ha una notevole preparazione atletica. Si muove con frequenti scatti ed ha una chiara visione del gioco», mentre così è descritto dal giornalista inviato a Verona: «non molto alto, di corporatura piuttosto robusta, le spalle leggermente curve, le braccia penzoloni, Steve Mokoni ricorda un poco nella struttura fisica il prestigioso Eusebio» (5). La Stampa è però da subito chiara: i granata hanno già occupato le caselle per gli stranieri in campionato (lo spagnolo Joaquín Peiró e l’inglese Gerry Hitchens, oltre all’oriundo argentino Marcos Locatelli) ed eventualmente Mokone potrebbe tornare utile solo per le amichevoli in vista di un eventuale ingaggio nelle prossime stagioni. Ma già il giorno successivo il giornale intitola “Il sudafricano Steve Mokoni a disposizione del Torino”. Passa ancora un giorno e il quotidiano torinese batte la clamorosa notizia dell’incendio appiccato alla casa di Mokone a Salisbury ad opera dei suoi ex tifosi, traditi dal trasferimento dell’attaccante in Italia. Particolare interessante: la moglie si è salvata perché si era appena recata in chiesa. La moglie raggiunse Torino qualche giorno dopo e il giornale locale la descrisse in toni lusinghieri tanto da dar credito alla versione di Gian Paolo Ormezzano, memoria storica granata, secondo il quale fu comprato «perché a uno dei soci principali del Torino piaceva molto sua moglie» (6). Nonostante l’incidente, Mokone timbra altre due reti in amichevole contro i dilettanti del Cenisia (finale 5-0) entrambi su assist di Hitchens. Da queste due gare, evidentemente, nasce il mito dei “5 gol” di Mokone in maglia granata. Non trova invece nessun riscontro il gol in amichevole contro la Dinamo Kiev, anche perché il Torino non giocò alcuna amichevole contro la squadra di punta del campionato sovietico (7), semmai scese in campo, a Torino, per una gara contro lo Spartak Mosca nel marzo del 1963 nella quale Mokone però non giocò (8). Le due gare giocate spiegano probabilmente i motivi per i quali Mokone è ritornato in Rhodesia visto che in entrambe le occasioni ha sofferto il clima dell’inverno italiano: «Dicevano che l’Italia è il paese del sole. Non è vero» (9) commentò. L’ultima notizia arriva il 26 novembre: Mokone rientra a Salisbury per sistemare alcune cose personali. Lo rivedranno a Torino in luglio: «nel tardo pomeriggio di ieri ha fatto una puntata nella sede granata Steve Mokone, il negretto del Sud Africa che, come si ricorda, il Torino non ha potuto tesserare ma che ha mantenuto nei quadri economici della società per l’intera stagione» (10).
da La Stampa del 16 novembre 1962
Per trovare il primo “coloured” africano nel campionato italiano bisognerà aspettare il 1981 quando l’Ascoli tesserò il capitano della Costa d’Avorio, François Jean Zahoui, che giocherà con la maglia bianconera appena 11 gare.
Tornando a Mokone, non corrisponde inoltre a verità l’amichevole che avrebbe giocato con il Valencia contro il Santos di Pelé (11).
Chiuse definitivamente la carriera europea volando in Australia dove trovò squadra con il George Cross FC, che gli offrì anche il posto da allenatore. Tutt’ora presentato come uno dei più talentuosi giocatori ad aver vestito la maglia della squadra di Sunshine, nonostante l’esperienza sia stata brevissima: arrivò a Melbourne il 17 giugno e ripartì il 9 agosto sempre del 1964. Ufficialmente rinunciò al lavoro per andare in Canada, dove doveva seguire la moglie Joyce che era stata vittima di un incidente stradale. Nonostante tutto, in appena 5 gare l’allenatore/giocatore Mokone portò a casa tre sonanti vittorie (un 5-0 e due 4-0) e due pareggi a reti bianche, risultati che però non bastarono al George Cross che chiuderà la stagione al secondo posto della Victorian State League, ad un punto dal South Melbourne Hellas (12).
Nelle Americhe si conclude la travagliata carriera di Mokone ma inizia una ancora più travagliata vicenda personale. Negli Stati Uniti si mette a studiare e diventa assistente professore di psichiatria presso l’Università di Rochester. Si separa con la moglie e inizia una battaglia legale per l’affidamento della figlia. La moglie è un’infermiera, mentre lui è un accademico ormai affermato e ottiene comodamente la custodia della figlia. A questo punto le acque si intorpidiscono. Sono anni complicati per i militanti per i diritti sociali e civili sudafricani. Mokone è impegnato in prima persona: nel 1968 lancia assieme ad altri atleti il Comitato degli Sportivi Africani, che si oppose alla decisione di riammettere il Sudafrica razzista alle Olimpiadi. Assieme a lui ci sono pezzi grossi dello sport americano: il giocatori di baseball degli Yankees di New York Jim Bouton e il messicano Ruben Amaro, il cestista Wilt Chamberlain, il tennista Arthur Ashe, gli atleti John Carlos e Ulis Williams. La loro posizione è sostenuta anche dall’Unione Sovietica che attraverso il suo Comitato Olimpico si oppose alla decisione di ammettere Pretoria ai Giochi di Città del Messico.
Come detto la situazione si fa torbida per Mokone che una sera rientrando a casa è assalito da tre persone mascherate. Qualche giorno dopo, siamo il 20 novembre 1977, un aggressore lancia sul viso dell’ex moglie idrossido di sodio e la settimana successiva di un attacco simile è vittima l’avvocato della signora Joyce, Ann Boylan Rogers, che rimane sfigurata e cieca da un occhio. Mokone è subito accusato per queste aggressioni (dopo essere stato accusato di truffa per una carta di credito falsa, accusa poi caduta), ma si dichiara non colpevole. Nel 1978 è condannato a 12 anni di carcere, nonostante una mobilitazione che coinvolge anche l’arcivescovo Desmond Tutu, che conobbe Mokone da studente in patria. Ancora Egbers, il giornalista olandese che aveva dedicato il libro biografico a Mokone, indagò su quel processo trovando non poche incongruenze e soprattutto scoprì una serie di lettere tra il Dipartimento sudafricano per gli Affari Interni e la CIA in cui si chiedeva di “mettere in riga” l’ex attaccante, che progredendo nella carriera accademica era divenuto sempre più politicizzato e carismatico. Inoltre l’agguato non avrebbe avuto senso, visto che Mokone aveva già ottenuto la custodia della figlia e l’avrebbe solo danneggiato.
Verrà liberato alla scadenza dei 12 anni, nel 1990, lo stesso anno in cui, grazie ad un’imponente pressione internazionale verrà liberato anche Nelson Mandela, imprigionato anch’esso grazie alla collaborazione tra Servizi sudafricani e CIA (13).
Ma il nuovo Sud Africa non si è dimenticato di Stephen Madi Mokone: nel 2003 il presidente del nuovo Sud Africa Thabo Mbeki lo insignì dell’Ordine di Ikhamanga, la più alta onorificenza della nazione per la realizzazione nelle arti creative e dello spettacolo con la motivazione: «Per il risultato eccezionale nel campo del calcio e per il contributo di rilievo allo sviluppo dello sport non razziale».
Mokone morì il 20 marzo del 2015, all’età di 83 anni.
Note:
1. https://www.thepresidency.gov.za/pebble.asp?relid=7810
2. Ruth Johnson, Howard Holmes and Phil Vasili, South African Footballers in Britain, Copyright Football Unites, Racism Divides 2009, pag. 30
3. South African Footballers…, pag.31
4. https://mundobotafogo.blogspot.it/2009/01/terceira-excurso-internacional-europa.html
5. G.M., A Verona tre reti di Mokoni il negro «osservato» dal Torino, La Stampa, 9 novembre 1962
6. Gabriele Romagnoli, Mokone, l’ala dei misteri dall’apartheid a Torino, La Repubblica, 8 giugno 2010
7. Fonti verificate: archivio de La Stampa, archivio de L’Unità, archivio de Il Corriere dello Sport, libro Le football en U.R.S.S., Edition en Langues Etrangeres (che riporta nell’appendice statistico tutte le gare delle formazioni straniere in Unione Sovietica, fino al 1957)
8. A.P., Pari: 1-1 Spartak e Torino, L’Unità, 25 marzo 1963
9. La signora Mokone, La Stampa, 21 novembre 1962
10. Cliff Jones vorrebbe venire alla Juve, La Stampa, 12 luglio 1963
11. Il Valencia giocò due amichevoli contro il Santos: il 24 giugno 1959 e il 25 giugno 1960 (0-1). In nessuna delle due giocò Mokone
12. https://www.sunshinegeorgecross.com/component/content/article/996-steve-kalamazoo-mokone-story
13. Marcella Guidoni, La memoria nascosta di Nelson Mandela, in Eurasia-Rivista.org,
https://www.eurasia-rivista.org/la-memoria-nascosta-di-nelson-mandela/21948/