Romania, proteste contro corruzione

In questi giorni le pagine di tutti i quotidiani e le rubriche di molte trasmissioni televisive dedicano molto spazio alle proteste romene contro la corruzione e l’impudenza dei governanti, la “casta” diremmo noi. Non è però cosa nuova; anzi, si potrebbe dire che nella Romania postcomunista le proteste di piazza, per motivi diversi e anche opposti e con esiti diversi, siano state la normalità.

Sarebbe molto difficile e comunque noioso elencarle tutte! Vi sono però stati dei momenti particolari in cui le proteste ebbero particolare virulenza ed è su quelli che è bene soffermarsi, ancorché brevemente, con maggiori dettagli a causa della loro importanza.

Se facciamo astrazione da proteste a carattere di scontro etnico (incidenti di Târgu Mureş, allora si scriveva ancora Tîrgu con l’ortografia “comunista”, in marzo 1990, fra romeni e ungheresi/szekler), le prime grandi proteste avvennero a Bucarest (ed in altre città, specialmente Iaşi e Timişoara) subito dopo le elezioni del 20/5/1990, le prime di epoca postcomunista, che videro la grande vittoria del FSN (a tutti gli effetti pratici erede del vecchio PCR che si liquefece il 22/12/1989 e fu poi messo fuori legge dalle nuove autorità) ed il plebiscito per il suo capo, Ion Iliescu, già alto dignitario del PCR (e financo del PMR=Partidul muncitoresc român, Partito operaio romeno, nome in uso tra il febbraio 1948 e il luglio 1965) ritenuto legato all’ala più “filosovietica” (dunque ostile al ceauşeschismo) e caduto in disgrazia nel 1971 (mai ebbe però serie persecuzioni, va detto).

È probabile, visto ora sine ira et studio, che la maggioranza dei romeni all’epoca fosse per il FSN e per Iliescu (verosimilmente perché pensavano di favorire in questo modo il mantenimento di alcune politiche del PCR, sui prezzi, il lavoro, ecc; si disillusero presto in quanto il FSN, come poi faranno gli altri, pensò ad appropriarsi di tutte le ricchezze dello Stato per sè, e non certo agli interessi dei romeni); dunque seppur non vi sia stata certo “par condicio” e magari pure qualche “broglietto” per inveterata abitudine (specialmente nei judeţe di Oltenia e Muntenia, al Sud, tuttora feudi “rossi” in genere, dove talora ad Iliescu fu ascritto il 99, 99% dei voti come ai vecchi tempi), parrebbe pretestuoso negare la vittoria popolare, in quell’occasione, del FSN.

I giovani studenti la pensarono diversamente, videro in ciò una sorta di neo-comunismo (e da molti punti di vista avevano ragione) ed iniziarono manifestazioni pacifiche ma insistenti, per chiedere nuove elezioni e le dimissioni di Iliescu.

In Bulgaria, altro paese in cui all’inizio la de-comunistizzazione fu molto cauta, più o meno proprio in quei giorni gli studenti invocarono le dimissioni di Petăr Mladenov, marxista duro e puro, già Ministro degli Esteri di Todor Živkov dal 1971 al 1989 e poi successore di Živkov alla guida dello Stato e del BKP dal novembre 1989, e infine riuscirono ad ottenerla nel luglio 1990, dopo che fu messa in circolazione una registrazione in cui Mladenov, già in 1990 avanzato, avrebbe richiesto l’intervento dei carri armati per stroncare le proteste; gli successe il 1/8/1990 il non-marxista Želju Želev, già dissidente, e per la Bulgaria solo allora iniziò l’effettivo postcomunismo. Visto oggi, potremmo considerarla una “rivoluzione colorata” ante litteram, ma vi era più spontaneismo, giacché in Bulgaria vi erano problemi reali interpretati dagli studenti.

Gli studenti romeni pensarono di far lo stesso, ma sottovalutarono la forza di Iliescu ed il proprio isolamento dalla maggioranza del popolo romeno. Infatti lungi dal cedere alle manifestazioni, sempre più intense, Iliescu nella più pura tradizione comunista fece appello ai minatori di Tîrgu Jiu, notoriamente ben pagati e privilegiati sotto il passato regime, i quali marciarono su Bucarest e forzarono, con molte violenze, gli studenti a interrompere le proteste (giugno 1990); verosimile che i minatori fosero inquadrati anche da agenti ed elementi della disciolta (ma lo era davvero?) Securitate.

L’episodio ebbe una sequela 15 mesi dopo allorché i minatori, sentendosi traditi da Iliescu che dopo tante promesse non aveva dato nulla e ancora più dal governo di Petre Roman che aveva iniziato una politica ultra-liberista, marciarono di nuovo su Bucarest (fine settembre 1991) inserendosi nella lotta fra Ion Iliescu “conservatore” (legato alla tradizione del PCR, ma ora strizzante l’occhio anche all’opinione nazionalista, quindi rifacendo in parte il cammino dell’odiato, da lui, Ceauşescu) e il Primo Ministro Petre Roman, figlio del cominternista di provata fede sovietica Valter Roman (appartenente alle minoranze etniche come quasi tutti i comunisti romeni prebellici tranne Ceauşescu, romeno fino al midollo, e già comunista, anche se contava poco, in quegli anni), che invece era occidentalista puro, sosteneva la democratizzazione e, dietro la retorica, soprattutto le privatizzazioni su grande scala (in politica estera Petre Roman era chiaramente pro-USA, pro-Bruxelles e contrario ai legami con i regimi arabi e vicino-orientali con cui Ceauşescu aveva intensificato i rapporti negli Anni ’80; Iliescu invece fino al golpe fallito di Mosca dell’agosto 1991 e all’inevitabile crollo dell’URSS di pochi mesi dopo, continuava a vedere il suo riferimento principale in un Gorbačëv di giorno in giorno più debole e come minimo riteneva il Cremlino altrettanto importante della Casa Bianca, salvo poi rapidamente cambiare idea).

Ciò portò alla caduta del governo di Petre Roman e poco dopo alla scissione nel FSN fra l’ala di Roman (che mantenne nome FSN, per il momento e più tardi si fonderà con i cosiddetti democratici) e l’ala di Iliescu (che presto assumerà nome FDSN, da cui nascerà il PDSR e poi il PSD che esiste tuttora); fu solo da quest’epoca che iniziò la vera democrazia pluripartitica romena, ma il popolo ne trasse pochi giovamenti.

Le elezioni del 1992 furono più libere, è vero (le prime con standard semi-europei) ma il governo di Nicolae Văcăroiu (1992-1996) svolse una politica economica sgradita al popolo ed iniziò a privatizzare in modo estensivo, pur essendoci ancora Iliescu, che ormai iniziava a riposizionarsi anche in politica estera e non solo in politica interna in seno più filo-occidentale (le privatizzazioni in Romania, in molti casi, non sono state molto meglio di quelle nella Russia di El’cin, ed è tutto dire), donde continue proteste, anche se non particolarmente eclatanti.

Nel novembre 1996 si tennero le elezioni presidenziali e le vinse Emil Constantinescu, il candidato dell’opposizione che si definiva democratica (più gli elementi di Petre Roman); la sua vittoria fu accompagnata da grandi manifestazioni di massa, di protesta contro Iliescu, ecc. Ci fu un breve, ma intenso entusiasmo, quasi che la rivoluzione anticomunista del dicembre 1989 solo allora fosse giunta a pieno compimento.

La presidenza Constantinescu avrebbe infatti dovuto essere di rottura rispetto al passato ma fu, nei fatti, un fallimento eclatante: le privatizzazioni furono accentuati ma soprattutto questi furono anche gli anni delle peggiori soperchierie e di accresciuta instabilità politica. Pochi sono oggi i romeni, anche di centro-destra, che spendono una parola buona per Constantinescu.

Il popolo che aveva manifestato a suo favore all’inizio, scese così di nuovo in piazza contro di lui ed i suoi governi. La seconda presidenza Iliescu (ormai del tutto pro-privatizzazioni e pro-NATO in politica estera), nel 2000-2004, tutto sommato non vide grandi manifestazioni, non più della norma.

Ben presto le manifestazioni ricominciarono con l’avvento alla presidenza di Traian Băsescu (2004-2014), candidato delle “destre” (cioè anti-PSD, il partito del vecchio Iliescu “Iliescu cel bătrân”), per quanto fosse anch’egli nel FSN dopo la rivoluzione. Băsescu all’inizio ricevette un consistente appoggio popolare e nel 2007, grazie anche all’appoggio di ampi settori popolari, riuscì a scampare al referendum che avrebbe dovuto confermare la sua destituzione (qualcosa di simile avverrà 5 anni dopo, nel 2012, ma quella volta non più per un presunto appoggio popolare, ormai svanito, ma solo per stanchezza del corpo elettorale). Băsescu in seguito divenne crescentemente impopolare e nell’inverno 2011/2012 si tennero manifestazioni contro di lui ed i suoi governi simili a quelle attuali.

Il nuovo presidente Klaus Iohannis (eletto a fine 2014), un sassone di Sibiu, venne al potere con un discreto consenso popolare (specialmente in Transilvania, Crişana, Maramureş ma anche Bucarest e Iaşi; vi furono manifestazioni popolari, già in precedenza, contro il suo sfidante Victor Ponta, PSD, che era Primo Ministro dal 2012 e lo rimase ancora per quasi un annetto); il consenso tuttavia fu presto perduto e lo si vide già in manifestazioni popolari meno imponenti l’anno scorso (né vi é consenso maggiore per il PSD, però).

Insomma, per concludere questa breve e confidiamo non del tutto inutile carrellata di storia romena post-1989, il popolo romeno da oltre 25 anni manifesta una forte insoddisfazione che in ultima analisi nasce dalla protesta e dallo sdegno per la corruzione rampante di politici di ogni schieramento e per il modo con cui la de-comunistizzazione è stata effettuata, ovvero saccheggiando beni pubblici ed erodendo garanzie sociali, ad esclusivo profitto di privati che in più, in molti casi, sono vecchi elementi, quasi invariabilmente i peggiori, del disciolto PCR e della Securitate o addirittura loro parenti.

Massimo Vassallo