
Il 2 maggio, in Ucraina, è stato commemorato il quarto anniversario della tragedia nella Casa dei Sindacati di Odessa (una città di un milione di abitanti sul Mar Nero, fondata dall’imperatrice russa Caterina la Grande), nella quale sono state uccise decine di persone disarmate che cercavano di proteggere i propri oggetti di valore. Poi, nella città, come in molte altre città dell’Ucraina, hanno avuto luogo degli scontri tra gli attivisti filo-russi e i neonazisti ucraini.
La parte ovest e centrale dell’Ucraina tende a gravitare verso l’Occidente, mentre la parte est e meridionale (compresa Odessa) verso la Russia. I contrasti culturali, linguistici (la popolazione dell’est e del sud parla per la maggior parte russo) e politici nelle due metà del Paese hanno portato alla tragedia di Odessa. Il 2 maggio 2014 vi sono stati scontri nella città del Mar Nero, dove sono arrivati decine di autobus con a bordo tifosi di calcio provenienti da altre regioni del Paese per sostenere i neonazisti ucraini. Organizzare “l’arrivo dell’amicizia”, come i neonazisti hanno ironicamente chiamato le loro azioni, sarebbe stato impossibile senza il beneplacito dei servizi di polizia e di intelligence ucraini.
Molti di quelli che sono arrivati a Odessa quel giorno erano equipaggiati con armi da fuoco, che possono facilmente diventare armi da combattimento; altri possedevano armi da taglio, appositamente progettate per combattere in città. I neonazisti ucraini hanno ricevuto tacita assistenza dallo Stato e quindi erano armati e meglio organizzati: sono riusciti a spingere i propri avversari fino all’edificio della Casa dei Sindacati, dove hanno immediatamente iniziato a gettare molotov, ordigni incendiari. È stato in seguito stabilito che i materiali combustibili si trovavano già precedentemente nel palazzo. Di conseguenza, l’enorme edificio di cemento è andato in fiamme.
La maggior parte degli attivisti filo-russi e delle persone che si trovavano lì sono stati soffocati dal fumo o bruciati vivi dal fuoco, ma molti sono morti per via dei proiettili delle armi da fuoco. Questi fatti sono stati ripresi in pieno giorno dalle lenti di fotocamere e videocamere. La polizia si trovava sul luogo e guardava impotente le fiamme e le sparatorie. I neonazisti hanno sbarrato la strada al furgone dei vigili del fuoco che si stava recando a spegnere l’incendio. Quando delle persone hanno cercato di sfuggire all’incendio saltando dalle finestre della Casa dei Sindacati, sono state uccise dai militanti neonazisti.
Le terribili immagini di ciò che è accaduto ritraggono anche i volontari che hanno supportato i neonazisti. Tra questi vi erano anche ragazzine di 16-17 anni, che con entusiasmo riversavano una miscela combustibile in bottiglie che i militanti del Pravy Sektor (“settore destro”) hanno gettato nelle finestre della Casa dei Sindacati. Alcune di queste ragazze hanno poi postato con orgoglio le foto delle loro “gesta” sulle proprie pagine sui social network.
Il massacro degli attivisti filo-russi di Odessa sancì il momento in cui i neonazisti ucraini presero il potere de facto in una città di un milione di persone, relegando le autorità di polizia e i civili al ruolo di semplici comparse. Lo scopo di questa campagna era di intimidire gli avversari, ovvero i sostenitori della Russia e il movimento antifascista in Ucraina. Lo scopo è stato raggiunto: molte persone, dopo questi fatti, hanno avuto paura di protestare contro le autorità ucraine.
Tuttavia, sembra che Odessa non fosse la prima scelta come luogo del “sacrificio”. Secondo fonti del Donbass, infatti, inizialmente, la prima scelta sarebbe stata una delle città nella regione di Lugansk, verso la quale erano anche stati organizzati degli autobus per trasportarvi i tifosi di calcio, neonazisti provenienti da diverse regioni dell’Ucraina. È tuttavia possibile che i neonazisti ucraini siano stati frenati dalla previsione della possibile reazione dei residenti locali, i quali non nascondevano la loro ostilità verso gli insorti ucraini, ed erano molto più determinati dei cittadini di Odessa.
Dopo i fatti del 2 maggio 2014, infatti, nel Donbass è iniziata la resistenza attiva alle autorità ucraine e ai loro alleati, ovvero i neonazisti. L’11 maggio, a Donetsk e a Lugansk, si sono tenuti dei referendum: oltre il 90% dei votanti hanno optato per la secessione dall’Ucraina e per la creazione delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. Quando è iniziata la guerra tra l‘esercito ucraino, accompagnato dai paramilitari neonazisti, e le milizie del Donbass, questi ultimi erano armati solo di bastoni e coltelli, e nel migliore dei casi di fucili da caccia. La tragedia di Odessa ha rafforzato la volontà del Donbass di resistere.
Molte persone, compresi alcuni cittadini di Odessa che hanno lasciato la propria città natale dopo gli eventi del 2 maggio 2014, sostengono che il numero effettivo delle vittime fosse molto più elevato del dato ufficiale – 48 persone. Uno dei testimoni della strage, che si trovava per caso nella Casa dei Sindacati, ha parlato di oltre 300 morti.
Nonostante siano trascorsi esattamente quattro anni dal giorno della tragedia, i fautori dell’attentato non sono stati ancora puniti, e questo fatto è riconosciuto anche dagli stessi media ucraini. Molti neonazisti sono stati identificati, poiché alcuni di essi non avevano il volto coperto mentre sparavano nelle finestre della Camera dei Sindacati, tuttavia non sono mai stati arrestati, a differenza delle vittime stesse, alcune delle quali sono state uccise in carcere, mentre altre sono scomparse senza lasciare traccia. Secondo alcuni cittadini di Odessa, le autorità non vogliono toccare gli attuatori della strage per paura di far venire a galla la spiacevole verità, ovvero che la polizia ucraina, con l’approvazione delle autorità politiche statali, avrebbe di fatto organizzato il massacro di Odessa. Le autorità avrebbero tacitamente aiutato i militanti neonazisti a svolgere il lavoro sporco.
Il 2 maggio 2015, nel primo anniversario del massacro, nel comune lombardo di Ceriano Laghetto è stato inaugurato un monumento dedicato ai “Martiri di Odessa”. L’area su cui il monumento è stato eretto ha preso lo stesso nome. Si tratta probabilmente dell’unico comune al mondo che ha un’area dedicata alla strage avvenuta nella città ucraina.
Nel quarto anniversario della tragedia, a Odessa erano presenti 2 mila 500 soldati dell’esercito, la guardia nazionale e persino i combattenti del distaccamento d’élite “Alfa”, al fine di scongiurare la ripetizione dell’attacco. I neonazisti, impauriti dalla presenza dei militari, hanno attuato delle piccole vendette meschine, come picchiare un residente locale che portava fiori alla Camera dei Sindacati per onorare il ricordo dei morti. Allo stesso tempo, le autorità ucraine ostacolano l’investigazione dei crimini commessi quattro anni fa e la loro divulgazione sulla stampa.
Nel marzo 2016, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha pubblicato una relazione dell’ONU sulla situazione dei diritti umani e delle libertà in Ucraina. Questo documento afferma che le autorità ucraine non vogliono indagare o consegnare alla giustizia i responsabili della tragedia. Secondo gli autori del rapporto, l’inchiesta ufficiale dell’Ucraina su tale fatto non era indipendente, ma condizionata da interferenze politiche dirette e indirette.
Anche in seguito al rimprovero da parte dell’ONU, l’Ucraina non ha però cambiato la propria linea di azione. Il 2 maggio 2018, il SBU (servizi di sicurezza) dell’Ucraina ha vietato l’ingresso nel Paese al giornalista ceco Jan Rychetský, del quotidiano Parlamentní Listy, fino al 2020. Secondo la testata online ucraina Evropeyskaya Pravda, Rychetský era arrivato in Ucraina il 1 maggio per riportare l’anniversario della tragedia di Odessa, ma le guardie di frontiera non lo avevano lasciato entrare nel Paese, facendo riferimento al divieto del SBU. Questo fatto è stato riportato dallo stesso giornale ceco Parlamentní Listy.
L’Ucraina sogna di entrare nell’Unione Europea, ma i fatti degli ultimi quattro anni, a partire dalla strage di Odessa fino all’espulsione di un giornalista europeo che voleva portare alla luce la verità sulla vicenda, lasciano presagire che questo non avverrà nel prossimo futuro.
Silvia Vittoria Missotti