Il 2019, proseguendo la tendenza notata pure nel 2018, ha già portato all’Africa nuove sorprese, in un clima di mobilitazione politica che appare sempre più intenso e vivace. Il Sudafrica e la Nigeria, le due più importanti economie del Continente, quest’anno vedranno i loro governi alla prova delle urne, e non è garantito che le forze politiche che li guidano ormai da anni non possano essere soppiantate dalle opposizioni, a ben guardare neppure troppo imprevedibilmente. Nel frattempo, l’influenza dei partner storici dell’Africa e dei suoi numerosi paesi, dalla Cina agli Stati Uniti, dall’UE alla Russia, non senza dimenticare Giappone, Turchia e petromonarchie del Golfo, sta conoscendo grosse variazioni e cambiamenti, e anche questo costituisce un fattore tutt’altro che trascurabile.
Del resto, una riprova di quanto importanti siano i processi attualmente in atto nel Continente Africano lo si è già avuto con l’arrivo del 42enne Abiy Ahmed alla guida del governo dell’Etiopia, cosa che ha coinciso con la destituzione del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, al potere nel paese dal 1991. Questo fatto, di per sé già epocale, ha come ben sappiamo inaugurato a sua volta nuovi ed ulteriori cambiamenti, ancor più massicci e destinati ad avere ulteriori echi negli equilibri geopolitici non soltanto del Corno d’Africa, ma di tutto il Continente e delle aree limitrofe.
Guardando al resto del Continente, comunque, non sono pochi i nodi che vanno esaminati. Nella Repubblica Democratica del Congo, per esempio, dopo una settimana di febbrile attesa sono stati finalmente annunciati i risultati delle elezioni politiche. Sembrerebbe che il vincitore sia il candidato dell’opposizione, Felix Tshisekedi, ma i sostenitori dell’altro candidato, Martin Fayulu, hanno subito parlato di “frode elettorale” iniziando a protestare con una certa veemenza. Se però la crisi politica ed elettorale trovasse finalmente un termine, vorrebbe dire che dopo 18 anni in Congo calerebbe il sipario sull’epoca del presidente Joseph Kabila, con la prima transizione democratica conosciuta dal paese dal 1960, anno dell’indipendenza ufficiale dal Belgio. Le elezioni nel paese, del resto, venivano rimandate già da due anni, e anche ciò non era di certo servito a calmierare una tensione politica decisamente palpabile.
In Nigeria, pure, la situazione non sembra proprio tranquilla. Alla guerra contro Boko Haram, affiliata all’ISIS, nell’area più settentrionale del paese, si sono poi assommati episodi di vera e propria guerra civile fra i proprietari terrieri e i braccianti, oltre alle preoccupazioni legate ad un’economia in rallentamento. La Nigeria, sesto paese dell’OPEC per produzione di greggio, oltretutto considerato a livello internazionale della miglior qualità, in questo momento è quasi paralizzata dallo scontro fra il presidente uscente, il 76enne Muhammadu Buhari, e lo sfidante Atiku Abubakar, di 72 anni, già vicepresidente fra il 1999 e il 2007.
Pure in Sudan le rivolte delle opposizioni e di vari gruppi contro il presidente Omar al-Bashir, al potere dal 1989, stanno conoscendo un aumento in termini di numero, partecipazione ed aggressività. Nel vicino Sud Sudan, che era parte del Sudan fino al 2011 dopo esservisi staccato in seguito ad una lunga lotta indipendentista, continuano nel frattempo gli scontri militari, costati fino ad oggi la vita a quasi 400mila persone. Il paese è il terzo nell’area subsahariana per riserve petrolifere, e già questo fa capire quanto sia importante la partita in gioco all’occhio di molti, anche non sud sudanesi. In ogni caso, tanto per il Sudan quanto per il Sud Sudan la diplomazia dei paesi del Corno d’Africa è fortemente attiva per ricercare ed implementare una soluzione pacifica, e soprattutto l’Eritrea sta portando avanti con determinazione un progetto di riconciliazione e pacificazione.
Sempre nei paraggi, e sempre con una grande attenzione diplomatica da parte dei paesi limitrofi, Asmara in testa, si continua a consumare la crisi interna della Somalia. Anni di lunghe e protratte destabilizzazioni da parte occidentale così come di gruppi legati ad al-Qaeda quali gli al-Shabaab, hanno trasformato la Somalia in un mosaico che ora dev’essere pazientemente ricomposto con metodi pacifici e politici. Il paese è fortemente diviso soprattutto fra i poteri del nord e del sud, come ai tempi delle due vecchie colonie inglese ed italiana, e già risolvere questa frattura costituisce indubbiamente un enorme successo.
Sulla costa del Golfo di Guinea, invece, destano timori le ribellioni che si sono manifestate nelle due regioni a maggioranza anglofona del Camerun, paese nettamente a maggioranza francofona. Il presidente Paul Biya ha proposto un programma di disarmo e di riconciliazione, dando però un ultimatum ai rivoltosi che non deporranno le armi entro i tempi concordati. La situazione, dunque, è anche in questo caso in continua evoluzione.
Anche la regione del Sahel nel suo complesso appare tutt’altro che tranquilla e sicura. Nel Mali, già da anni, è fortemente attivo un movimento separatista che si mescola a movimenti fondamentalisti e contro cui i francesi sono intervenuti ancora ai tempi di Hollande. In totale nel paese ci sono 15mila peace-keepers dell’ONU oltre a quattromila soldati francesi, ma ciò non ha impedito la propagazione dei combattenti in altri paesi come il Burkina Faso o persino la Repubblica Centrafricana, a tacere poi del Niger.
La questione del Mali, del resto, è direttamente figlia della crisi libica, che ormai siamo abituati a seguire giorno per giorno, anche a causa degli effetti che essa ha sul Mediterraneo e il nostro paese. Ma tale instabilità riguarda anche i paesi circostanti, e pure il Ciad, infatti, è alle prese con un movimento, il Consiglio del Comando Militare per la Salvezza della Repubblica (CCSMR), che pare sia sostenuto da molti combattenti libici e le cui azioni hanno non di rado causato problemi anche all’estrazione di greggio, di cui il paese è molto ricco.
Pure lo Zimbabwe, conclusasi l’era Mugabe, pare conoscere nuovi momenti d’incertezza, col carovita che ha indotto i medici a scendere in piazza per rivendicare aumenti salariali, mentre anche gli insegnanti scolastici minacciano di fare altrettanto. Sullo sfondo, continuano ad albergare le dispute fra maggioranza ed opposizione dopo le recenti elezioni presidenziali, le prime dopo l’uscita di scena dell’anziano Mugabe.
La Guinea-Bissau, dopo anni di continua instabilità, continua a conoscere nuovi problemi. Approfittando delle difficoltà del potere centrale, il paese ha infatti conosciuto una sempre maggior penetrazione da parte di elementi legati al fondamentalismo islamico, così come da parte dei narcotrafficanti, attivi soprattutto con la cocaina. Spesso gli uni sono anche gli altri, e viceversa, mentre il presidente Jose Mario Vez appare in crisi di credibilità soprattutto fra i giovani, a causa anche delle elezioni rimandate nel tempo.
Anche il Togo, un tempo considerato la “Svizzera dell’Africa”, sta subendo momenti di difficoltà, dato che il presidente Faure Gnassingbe se la deve vedere con l’impasse di una grande riforma costituzionale svolta insieme al principale partito d’opposizione che fatica ad andare avanti, mentre si rafforzano le proteste di piazza contro di lui. Faure Gnassingbe è al potere dal 2005, e a quel tempo venne accolto come un grande riformatore democratico dopo la lunga parentesi del vecchio presidente, Gnassingbe Eyadema, rimasto in sella per 38 anni.
Anche altri paesi come la Costa d’Avorio, reduce dall’invasione francese voluta da Sarkozy nel 2011 e che inaugurò la lunga stagione al potere di Ouattara, sono alle prese con una complicata transizione. Nel caso della Costa d’Avorio, il ritorno al governo degli uomini del vecchio presidente Gbagbo, destituito dai francesi, appare un dato di fatto, rafforzato dal fatto che nel frattempo la Corte Penale Internazionale lo ha liberato non disponendo in sostanza di elementi reali con cui condannarlo.
In Algeria, invece, si cerca un successore all’anziano Bouteflika, di cui spesso le notizie relative al precario stato di salute sono state alla base di non poche speculazioni e preoccupazioni. In questo caso, però, ci sarà sempre la garanzia di continuità data dalla forte importanza riconosciuta, a livello non soltanto politico, ai militari.
Di fatto, il 2019 sarà un anno di grossi cambiamenti ed avvicendamenti un po’ in tutto il Continente Africano, con effetti che non tarderanno a palesarsi sulla sua salute politica e quindi anche sulle scelte e la vita dei suoi principali interlocutori mondiali.