Negli ultimi anni, grazie al clima favorevole costruito dai social, si sono diffuse cure alternative a quelle ufficiali anche per le peggiori malattie, e quel che è peggio è che molte persone vi hanno creduto, o abboccato, prendendole assolutamente per buone. La buona fede è certamente sempre scusabile o quantomeno contestualizzabile, ma quando si pensa che il tumore al seno possa essere curato col bicarbonato o altre follie del genere, forse è bene cominciare a mettere dei paletti.
Sono così facilmente rinvenibili, su Facebook o su altri social network, gruppi e pagine che promuovono cure miracolose, dove il santone di turno, vestendo i panni del medico o dell’omeopata (una categoria, quest’ultima, non priva di molte ambiguità o comunque di contorni non sempre proprio ben definiti, fra scienza e parascienza), sconfessa i metodi scientifici e medici tradizionali proponendo al loro posto terapie e metodologie alternative, che alla fine della fiera si rivelano semplicemente dannose o nel migliore dei casi soltanto inefficaci, fermo restando il grosso prelievo economico a danno di coloro che vi fanno affidamento. Anche nelle televisioni locali molti di questi tristi figuri sono apparsi proponendo i loro prodotti, tutt’altro che a buon mercato, arricchendosi sulla fiducia e persino sulla disperazione di coloro che vi hanno fatto ricorso. E’ bene stare attenti a tutto ciò e, a livello politico, cominciare a pensare anche a qualche provvidemento di legge all’uopo, giacché ciò consiste molto semplicemente in una vera e propria truffa, in uno sporco raggiro, a danno di persone che, trovandosi con l’acqua alla gola, sono a quel punto disposte a credere o ad affidarsi tutto. Non siamo molto lontani, dopotutto, dai vari maghi, cartomanti, negromanti e via dicendo che, sempre da internet o dalle piccole televisioni locali, propongono grazie alla lettura delle carte, ad amuleti e talismani, o ancora a costosissime fatture, chissà quali prodigiose guarigioni.
Su internet, di siti dedicati alle cosiddette cure naturali, spesso buone per una prevenzione generale ai fini del mantenimento di una buona salute già esistente ma non certo per rimediare ad una situazione patologica ormai irreversibile, ce ne sono quanti se ne vuole. Le sette religiose o pseudoreligiose, aduse a proporre cure e terapie insolite, alternative e miracolose per molti tipi di malattie, non mancano d’intromettervisi o di venirvi comunque menzionate, come se davvero il loro presunto bagaglio medico o scientifico avesse un qualsivoglia valore.
Pochi giorni fa, per esempio, un famoso sito italiano dedicato alle cure naturali, ma con moltissimi contributori provenienti dal resto dell’Europa ed in particolare da Londra, ha parlato proprio del Falun Gong, la famosa setta di provenienza cinese di cui spesso il collega Filippo Bovo, negli scorsi mesi, ha descritto le varie malefatte nei suoi articoli. L’articolo pubblicato da questo importante e seguitissimo portale appare fin da subito con un titolo che punta immediatamente a mettere in dubbio la pericolosità del Falun Gong. Il sottotitolo, del resto, spiega che “A Londra, in molte parti d’Europa e recentemente anche in Italia, si sta parlando del Falun Gong. Una pratica di Qi gong ma anche un credo forte che ha creato diverse tensioni in Cina”.
Secondo l’autrice dell’articolo, nella capitale britannica, in un centro di ricerca della salute, sarebbe stato possibile leggere questo: “Il Falun Gong è un sistema di pensiero totalmente pacifico che innalza la qualità del livello di comportamento morale.”, Lord Avebury, UK Parliamentary Human Rights Group“. Fermo restando quanto gravemente enunciato da questo politico inglese, occorrerebbero però maggiori dettagli. Di quale centro di ricerca della salute stiamo parlando? Perché al suo interno vi era la possibilità di venire a conoscenza di una simile dichiarazione? Si trattava forse di un opuscolo che qualcuno, anche inosservato, aveva lasciato in sala d’attesa, o si trattava di materiale che lo stesso centro in qualche maniera “offriva” o “proponeva” ai suoi visitatori e clienti? E, ancora più nello specifico, chi è questo Lord Avebury? Probabilmente ci si riferisce ad Eric Lubbock, Signore ovvero Lord di Avebury, nato il 29 settembre 1928 e morto il 14 febbraio 2016, figura indubbiamente eminente nella campagna tipicamente anglosassone per i “diritti umani”, spesso condita come ben sappiamo anche da non poche menzogne o distorcimenti dei fatti.
Nella sua lunga vita, Eric Lubbock ha scritto alcuni libri che ben presentano la sua professione: da “Iran, State of Terror”, finalizzato alla criminalizzazione del governo iraniano, a “Guatemalan Elections”, teso ad annichilire qualunque idea di governo progressista e socialista nel paese latinoamericano per rimpiazzarla coi soliti governi schiavizzati agli interessi del capitale nordamericano. Già con questo curriculum possiamo immaginare quale potesse essere la simpatia di questo importante personaggio politico londinese nei confronti della Cina popolare: perché il problema è che, soprattutto nel mondo aglosassone ma, a ricaduta anche in tutto il resto dell’emisfero occidentale, l’idea che Pechino possa diventare una grande potenza in grado di tutelare ed affermare i propri interessi sull’Occidente e soprattutto sui suoi paesi più dominanti, è del tutto inaccettabile. Nel migliore dei casi, per questo tipo di mondo politico (e non importa se parliamo di liberali, laburisti o conservatori, di democratici o di repubblicani, e così via), la Cina può soltanto essere un gregario, ma non certo un partner alla pari, e men che meno un paese dotato di una superiorità politica, militare od economica.
L’autrice dell’articolo, del resto, con estrema onestà ammette come “Il regime in Cina, senza reali motivi se non dovuti alla paranoia, nel Falung Gong vede e ha visto una minaccia sin dal luglio 1999, anno in cui furono avviate azioni di massa per eliminare questi gruppi di praticanti”. Questo è il suo punto di vista, perché molto semplicemente al pari dei suoi lettori condivide questo tipo di visione politica, subdolamente ideologizzata sebbene si presenti come obiettiva e super partes. Tutto questo mondo di personalità appartenenti ad una certa area radical-chic, non immune in passato e nemmeno ora da alcune stravaganti fantasie New Age, si ritengono depositarie e ricercatrici di una verità che in realtà non c’è e che non possiedono, e credono che la Cina sia il paese dove non esiste libertà che, in modo del tutto fraudolento ed arbitrario, avrebbe sottratto il Tibet al Dalai Lama, sotto la cui egida teocratica i tibetani vivevano in uno stato d’estrema felicità, mentre al contrario oggi sarebbe angariati, oppressi ed impoveriti.
Sono insomma sinofobi, secondo una scuola ideologica, politica e culturale che il nostro Occidente alimenta sin dall’Ottocento, e dal pari sono anche russofobi, perché credono che la Russia sia, in qualunque sua veste politica e storica (zarista, sovietica o attuale), la grande minaccia per il loro evoluto ed invidiabile mondo occidentale che per costoro si riduce soprattutto ad aperitivi e corsi di pseudo-yoga praticati rigorosamente in aree ZTL del centro, e che li porta ad assumere reazioni isteriche contro Putin che risponde a tono alla NATO e ai neonazisti del governo ucraino, o che semplicemente non accetta il predominio di Stati Uniti ed Unione Europea. Insomma, è sempre il solito “colonialismo interiorizzato”, che porta i “liberali” di destra e di sinistra europei ed occidentali a vedere come il male assoluto qualsiasi cosa che scalfisca la superiorità dell’Occidente, o che magari non l’accetta passivamente dandosi alla resa unilaterale (si pensi all’Eritrea, al Venezuela, al Nicaragua, a Cuba, e a tanti altri piccoli paesi del “Terzo Mondo” colpevoli di non volersi fare plagiare ed incatenare).
D’altronde, dovremmo anche chiederci se chi prenda per buone certe parole (“Il regime (parola non casuale) in Cina, senza reali motivi se non dovuti alla paranoia, nel Falun Gong vede e ha visto una minaccia sin dal luglio 1999, anno in cui furono avviate azioni di massa per eliminare questi gruppi di praticanti”) sia davvero a conoscenza dei fatti che avvennero proprio a Pechino, e non solo, in quel particolare periodo storico. In Piazza Tienanmen, nel cuore della capitale cinese, davanti alla Città Proibita, i militanti del Falun Gong si diedero infatti fuoco, incitati dal loro guru Li Hongzhi, e tale decisione ridusse alcune di quelle persone, miracolosamente sopravvissute, in condizioni drammatiche, totalmente disabili e sfigurate dalle fiamme. Non fu l’unico episodio, perché altri se ne verificarono nel corso degli anni, ma parlando anche solo di quelli che non avvennero nella capitale cinese, ma a Tianjin e Zhongnanhai, sempre vicino a Pechino, nel 1999, si trattò comunque d’intimidazioni vere e proprie, con manifestanti che circondarono le sedi istituzionali dell’Università e del Governo, per ore (nel caso di Zhongnanhai vi stettero più di tredici ore), venendo democraticamente e pacificamente tollerati finché non s’intuì quali fossero le loro reali motivazioni. Numerosi sono stati gli episodi del genere, in altre città della Cina, negli anni successivi, senza ovviamente dimenticare i casi di “auto-immolazione” avvenuti a Pechino.
A chi parla di mancanza di “reali motivi” o di “paranoia” andrebbero dunque fatti presenti questi numerosi episodi, che sono costati la vita a non poche persone e che ne hanno rovinate altre ancora, sempre per loro scelta (darsi fuoco ha ovviamente delle conseguenze), sebbene si siano poi pentite diventando in seguito fiere accusatrici dello stesso Falun Gong, che ovviamente da quel momento ha cominciato a vederle come traditrici, vendute al regime o da esso strumentalizzate ed imboccate subdolamente.
L’articolo che abbiamo menzionato in questa rassegna, dunque, è molto semplicemente un contenuto propagandistico, che cita statistiche risalenti ad esempio ad un documento ONU del 2005 che, guardacaso, venne ispirato da Londra e da Washington in funzione anticinese. E’ poi un articolo che, senza però dilungarsi più tanto data la mancanza d’argomenti davvero probanti, cerca comunque d’associare il Falun Gong e le sue pratiche al più comune, esteso e solitamente meno dannoso “Qi Gong”. Del resto, a comporre i suoi contenuti non mancano neppure i dati forniti dallo stesso sito ufficiale del Falun Gong, non certo il massimo dell’oggettività. E’ un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono.